Dopo il voto, Macedonia ancora in crisi
Dovevano risolvere la lunga crisi politica in Macedonia: le elezioni dell’11 dicembre, segnate da risultati interlocutori e accuse di brogli, rischiano invece di aprire nuovi scenari di rischio
(Questo articolo è stato pubblicato in contemporanea da ISPI – Istituto per gli studi di politica internazionale)
La Macedonia sembra sempre di più sull’orlo del caos istituzionale e politico. Le elezioni dello scorso 11 dicembre, che dovevano portare il paese fuori dalle sabbie mobili di una profonda crisi politica che paralizza Skopje da inizio 2015, non sono riuscite a risolvere il feroce scontro tra maggioranza e opposizione, lasciando spazio a scenari incerti e tutt’altro che rassicuranti.
Da due anni il governo targato VMRO, il partito di centro destra dell’ex premier Nikola Gruevski – al potere ininterrottamente da ormai un decennio – è ai ferri corti con l’opposizione guidata dal Partito socialdemocratico (SDSM) e dal suo leader, Zoran Zaev.
A esacerbare lo scontro una serie di registrazioni rese pubbliche dallo stesso Zaev a inizio 2015, che proverebbero corruzione e gravissime violazioni proprio da parte di Gruevski, tra cui l’aver coperto l’uccisione di un manifestante da parte della polizia e l’aver intercettato illegalmente per anni più di 20mila cittadini macedoni. Gruevski ha sempre respinto con fermezza ogni addebito, accusando a sua volta Zaev di lavorare per “servizi segreti stranieri” intenti a destabilizzare la Macedonia.
Il muro contro muro ha immobilizzato definitivamente la Macedonia, già bloccata da anni nel suo percorso di integrazione europea dal veto della vicina Grecia, che reclama il termine “Macedonia” come sua eredità culturale esclusiva, e chiede al vicino di modificare il proprio nome costituzionale.
In un crescendo di accuse reciproche, l’Unione europea (insieme agli Stati Uniti) è intervenuta pesantemente per trovare una via d’uscita. Frutto dello sforzo diplomatico è l’accordo di Pržino, sottoscritto nell’estate 2015, che prevede la creazione di una procura speciale incaricata di indagare le accuse al governo, le dimissioni di Gruevski ed elezioni anticipate da tenere nel 2016.
Dopo due tentativi andati a vuoto, ad aprile e a giugno, le elezioni sono state finalmente fissate per inizio dicembre, dopo aver parzialmente risolto i due elementi più problematici: il ruolo dei media, considerati in gran parte sotto il controllo della VMRO, e la sistemazione delle liste elettorali, piene di nomi “fantasma” utilizzati – secondo l’opposizione – per falsificare i risultati elettorali.
Dopo una campagna elettorale tesa, è arrivato il giorno del voto che, nelle speranze di cittadini e comunità internazionale, avrebbe dovuto ridare fiato e stabilità alla Macedonia. La giornata elettorale è trascorsa senza incidenti gravi. Alla chiusura dei seggi, però, sia la VMRO che il SDSM si sono affrettati a dichiararsi vincitori, mentre i dati parziali mostravano una lotta serrata all’ultimo voto.
Dopo lunghe ore di silenzio – che hanno dato vita a speculazioni e voci incontrollate – lunedì sera la Commissione elettorale centrale ha dato lettura dei risultati finali: la VMRO è ancora il primo partito, col 38% dei voti (e 51 seggi su 120 in parlamento), lo SDSM è a un passo, col 36,7% e 49 deputati.
I voti restati sono in gran parte appannaggio dei partiti della comunità albanese di Macedonia, che rappresenta più di un quarto della popolazione. L’Unione democratica per l’Integrazione (DUI) da anni junior partner della VMRO al governo, resta il primo partito albanese col 7,3% dei voti, ma crolla da 19 a dieci seggi, seguono due movimenti di nuova formazione, BESA col 4,9% e Alleanza per gli Albanesi col 2,9%.
In teoria, i giochi sono quindi fatti: una nuova alleanza VMRO-DUI in parlamento conterebbe su 61 parlamentari, maggioranza risicatissima ma sufficiente per dare fiducia ad un nuovo esecutivo. In realtà, però, la formazione di una nuova maggioranza appare come un rebus di soluzione quasi impossibile.
La pesante debacle della DUI, infatti, rende improbabile che il partito voglia rigettarsi in un abbraccio con la VMRO, che è costata pesantemente in termini di sostegno del proprio elettorato, che sembra profondamente insoddisfatto dei risultati ottenuti negli anni al governo. Un’alleanza della VMRO con gli altri partiti albanesi appare impossibile, visto il livello di antagonismo politico di queste formazioni verso Gruevski e il suo partito.
Missione impossibile o quasi anche per Zaev e il suo SDSM, che potrebbe avere una chance solo convincendo tutti i partiti albanesi a formare una larga coalizione anti-VMRO. Un’operazione che però si scontra col forte grado di rivalità interna nel campo albanese.
Nell’atmosfera di incertezza generale, si parla già apertamente della possibilità di un governo tecnico, magari di larghe intese, che porti la Macedonia a nuove elezioni anticipate, che potrebbero tenersi insieme a quelle locali già programmate per la prossima primavera.
Una prospettiva che lascia aperti tutti i problemi e le spaccature che attraversano sempre più in profondità la società e la politica macedoni, e che deve fare i conti con un clima di tensione che potrebbe degenerare in scontro aperto.
L’opposizione parla di brogli e chiede il riconteggio delle schede e la ripetizione del voto in alcuni seggi, invitando tutti i partiti a non permettere a Gruevski di formare un nuovo governo prima che le accuse vengano chiarite. La VMRO a sua volta ribatte, sostenendo che non lascerà a Zaev l’opportunità di “rubare la scelta democratica dei cittadini […] la cui pazienza potrebbe trasformarsi in rabbia”. Una situazione delicata, che nuove provocazioni da una parte o dall’altra potrebbero far degenerare in fretta.
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