Dobrovoljačka, 2015
Il ricordo delle prime giornate della difesa di Sarajevo nelle due commemorazioni svoltesi domenica nella capitale bosniaca
In una Sarajevo semideserta per il lungo week end del Primo Maggio si sono tenute domenica scorsa due commemorazioni parallele per gli eventi della Dobrovoljačka ulica, avvenuti all’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina. Da un lato alcune associazioni di veterani della difesa della capitale bosniaca, tra cui i “Berretti Verdi” e la “Unione dei Veterani” di Sarajevo Stari Grad, dall’altro una delegazione di familiari e rappresentanti delle istituzioni proveniente dalla Republika Srpska.
Le manifestazioni si sono svolte nello stesso luogo, sulla via Dobrovoljačka (oggi Hamdija Kreševljakovića) presso il ponte di Drvenija, a distanza di pochi minuti l’una dall’altra, in presenza di un folto schieramento di forze di polizia.
Non ci sono stati incidenti e l’intero programma si è svolto pacificamente, nonostante alcuni timori della vigilia.
1992
Il 3 maggio 1992, in questa strada nel centro di Sarajevo, transitava un convoglio dell’allora Esercito Popolare Jugoslavo (JNA). Secondo gli accordi presi con le autorità della repubblica di Bosnia Erzegovina, che da poche settimane aveva dichiarato la propria indipendenza, i militari avrebbero avuto diritto di passaggio abbandonando in cambio le proprie caserme nel centro della capitale bosniaca. L’accordo era supervisionato dalle Nazioni Unite, in un clima di forte tensione esasperato dal fermo da parte dei militari serbi del presidente bosniaco Alija Izetbegović, il giorno prima, all’aeroporto della capitale. Durante l’evacuazione il convoglio fu attaccato e ci furono diverse vittime tra i soldati della JNA. Il numero delle vittime, sei secondo quanto dichiarato a Osservatorio dal generale Jovan Divjak , (e secondo quanto affermato dallo stesso comandante della JNA, Milutin Kukanjac ), è contestato dalle istituzioni serbo bosniache, così come la modalità di svolgimento degli eventi. Nel corso degli anni, la data ha assunto una rilevanza simbolica sempre maggiore, e le prime giornate di maggio sono considerate da molti come il vero e proprio inizio della difesa di Sarajevo.
2015
Intorno alle 9.30 sono confluite sul posto alcune decine di veterani e i rappresentanti dei “Berretti Verdi”, che si sono schierati con la bandiera davanti ad una lapide, all’ingresso del ponte di Drvenija, che ricorda alcuni compagni (bosniaci) caduti nel corso della guerra in quella località. Tra i manifestanti anche alcuni ragazzini, figli di soldati morti durante la guerra, simbolicamente vestiti con l’uniforme militare.
Alle 10 Vahid Alić, rappresentante dell’associazione, ha tenuto un discorso ricordando come si erano svolti i fatti venti anni prima e sottolineando la rilevanza “cruciale” della giornata del 3 maggio ’92 per la difesa della città e dei suoi punti strategici.
Alić ha sostenuto che i militari della JNA avevano aperto per primi il fuoco durante l’evacuazione, lamentando le speculazioni sul numero delle vittime, e sottolineando che, senza la difesa della città, oggi la Bosnia Erzegovina non esisterebbe in quanto paese indipendente.
Al termine sono state ricordate le vittime bosniache riportate nella lapide all’ingresso del ponte prima con un breve rito religioso (musulmano) e poi con un minuto di silenzio (per le vittime non musulmane). Tutti i presenti, tranne i giornalisti, si sono poi allontanati dal luogo.
Il convoglio della RS
Dopo pochi minuti è arrivato il convoglio dalla Republika Srpska, composto da tre autobus e diverse macchine, scortato da forze di polizia lungo tutto il percorso attraverso i quartieri di Vraca, Grbavica e Skenderija. Circa 70 persone, con alla testa tre pope ortodossi, si sono diretti verso il centro del viale dove è stato approntato una sorta di altare, sul quale sono state disposte candele e fiori a ricordo delle vittime. I partecipanti alla delegazione portavano anche ramoscelli di ulivo.
I tre religiosi hanno tenuto una breve cerimonia, intonando liturgie, in un clima di forte commozione. Al termine della cerimonia, il ministro per i Veterani e gli Invalidi della Republika Srpska, Milenko Savanić, si è diretto presso i giornalisti che avevano seguito la manifestazione precedente, e che non erano autorizzati dalle forze di sicurezza a oltrepassare la linea di demarcazione che li separava dalla delegazione serba.
Il ministro Savanić ha sostenuto che le vittime, nelle giornate del 2 e 3 maggio, erano state 42, di cui 32 serbi, 6 croati, 2 bosniaci e 2 albanesi, uccisi “solo perché vestivano uniformi legittime”, e 73 i feriti. Savanić ha poi usato parole concilianti, rivolgendosi ai giornalisti dicendo che “bisogna ricordare il passato, ma fare in modo che questo non imprigioni il futuro”, che “non viviamo più nel mondo dei nostri genitori, ma in quello dei nostri figli”, e che “è più importante sapere dove andiamo che da dove proveniamo”. Il ministro ha concluso affermando che la pace “non ha alternative” e ricordando “l’importanza del compromesso”.
Un ex ufficiale dell’esercito jugoslavo, presente con la delegazione serba, si è poi presentato ai giornalisti ricordando di essere stato presente agli avvenimenti di quella giornata e di aver fatto parte del convoglio jugoslavo, “nel quarto veicolo della colonna”. Željko Pantelić, ex ufficiale della JNA, ha ribadito che gli ordini attribuiti alla colonna erano di “non sparare un colpo” e di seguire alla lettera l’accordo preso tra Izetbegović, Kukanjac e il generale MacKenzie dell’ONU, e che la colonna era stata attaccata dalle forze bosniache. Pantelić si è detto d’accordo con le parole del ministro, secondo cui non bisogna vivere nel passato, ma al tempo stesso ha sostenuto che “nessuno ha risposto per i crimini commessi quel giorno” e che “i responsabili dovrebbero presentarsi alla giustizia”. Alcuni giornalisti gli hanno contestato il numero delle vittime, ricordando quanto affermato dallo stesso comandante della JNA, Kukanjac.
Le lacrime di una madre, presente con la delegazione della RS, che dopo aver posato il fiore ricordava tra i singhiozzi il suo Zdravko, di Sarajevo, erano uno dei pochi fatti della giornata che nessuno contestava.
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