Dobbiamo temere i Balcani? Droni, carri armati e pistole
Perché quando si parla di terrorismo vengono sempre tirati in ballo i Balcani? Un editoriale
(Pubblicato originariamente su Pristina Insight il 28 marzo 2016)
Mentre si stanno verificando quasi mensilmente attacchi dell’Isis sul suolo europeo, un rilevante numero di media occidentali mette in rilievo nuove minacce e nuovi nemici per l’Occidente in generale, l’Europa in particolare. Un’Europa che sembra spaventata dalla frequenza degli attacchi. Un’Europa che sembra persa nel non riuscire a capire cosa e perché stia avvenendo. E questo è già di per sé sorprendente.
Oltre ai soliti sospetti verso il Medio Oriente lo sguardo viene rivolto anche ai Balcani, in particolare verso paesi a maggioranza musulmana come Bosnia, Kosovo ed Albania, ma anche verso altre ex repubbliche jugoslave. In vari articoli e dichiarazioni alla stampa i Balcani vengono descritti come “un problema in più” per l’Europa e luogo da cui potrebbe provenire una “potenziale minaccia terrorista”. Vi sarebbero due tipologie di minacce che arrivano dai Balcani: la prima riguarda le “armi dei Balcani” e la seconda “lo Jihadismo balcanico”.
Nel dicembre 2015 il settimanale TIME ha contribuito notevolmente nell’affermare nell’opinione pubblica questo collegamento. Argomentando che “l’Europa si trova ad affrontare una nuova minaccia” ha sottolineato come i terroristi degli attacchi nel novembre 2015 a Parigi abbiano utilizzato armi importate dai Balcani per commettere il loro orrendo crimine. Ha così presentato i Balcani come “la direttrice delle armi verso l’Europa occidentale”. Christophe Crépin, portavoce del sindacato di polizia francese Usa Police, ha dichiarato al TIME che “vi sono collegamenti tra il crimine organizzato e i terroristi e quel collegamento parte dai Balcani”. Il TIME poi prosegue nell’elencare alcuni attacchi commessi con armi leggere di tale provenienza contro individui, gruppi e luoghi in giro per l’Europa.
Pochi giorni dopo gli attentati di Parigi anche il settimanale tedesco Der Spiegel è stato molto veloce nel connettere gli attacchi a Parigi ai Balcani, titolando addirittura un proprio articolo: “Terrore a Parigi: la pista balcanica”. Nell’articolo si fa un collegamento tra un cittadino di nazionalità montenegrina e le armi che si presume siano state utilizzate per uccidere 90 persone nel teatro parigino. Dopo la solita descrizione del Montenegro e di altri paesi dei Balcani come guidati da mafiosi (dimenticando di specificare che tutto questo avviene con il sostegno dei governi europei) e come il cittadino montenegrino vivesse in una cucina molto sporca (rispetto alla pulita Europa) nell’articolo, ovviamente, non si dimentica di menzionare anche l’Albania e il Kosovo. In tutto questo i paesi dei Balcani sono sempre facili bersagli e particolarmente adatti per accuse di questo tipo.
Recentemente Il Foglio, un quotidiano italiano, ha pubblicato un editoriale dal titolo che suona così: “E se il Kosovo fosse la capitale dell’Isis in Europa?”. Il pezzo è stato poi ripubblicato anche da un quotidiano kosovaro. Ritengo che questo articolo abbia un titolo molto cliccabile, ma poi non fa che ricalcare quello che hanno fatto anche molti altri pezzi: cercare, come sempre, la colpa al di fuori dell’Europa. Nell’articolo si afferma come alcuni imam nei Balcani (Albania, Bosnia e Kosovo) sarebbero responsabili di radicalizzare ed arruolare anche giovani italiani. Ancora una volta il problema è ovunque ma non in Europa. Chiunque non sia occidentale rappresenta una minaccia alla pace e all’amore che regna in un’Europa innocente, e più in generale in Occidente.
Sono sicuro che – certo, se si fa eccezione ad alcuni cruciali dettagli – la maggior parte di ciò che viene raccontato in questi articoli corrisponda al vero. Non c’è bisogno di controllare. Lo stesso direttore della fabbrica di armamenti Zastava, in Serbia, ammette che alcune delle armi utilizzate nei recenti attacchi terroristici in Europa erano effettivamente state prodotte da loro. Ciononostante il problema non sta nei fatti così ben descritti. Il problema sta nella selezione di questi stessi fatti e su come venga presentata poi questa minaccia per l’Europa e in Europa. Per esempio una delle armi utilizzate negli attacchi di Parigi era stata legalmente veduta ad un’azienda statunitense due anni fa.
Descrivere i Balcani come un’area nella quale si cospira contro l’Europa con minacce terroriste è un po’ troppo. In questo contesto sembra andare bene tutto. Si colpiscono i soliti sospetti, i Balcani per il crimine organizzato – ed ora anche per il terrorismo – e poi gli europei “di origine araba”. Basta che non siano “puri”, “puliti” e “bianchi”. Nel caso siano questi ultimi i coinvolti la narrativa cambia da “terrorismo” a “atto criminale”, da “terrorista” a “psicopatico”.
Ora, il fatto interessante è che, come al solito, non ci si concentra sui problemi più ampi e cruciali che hanno poi portato a questi sintomi. Per esempio, perché il focus e gli articoli non si sono mai occupati (in modo proporzionale alle minacce poste al mondo) delle centinaia di fuoristrada, carri armati, camion militari, batterie anti-missile, lanciarazzi e altri armamenti rilevanti lasciati nelle mani dell’Isis da Russia, Usa e da un paio di altri governi occidentali? E’ grazie a questi che l’Isis ha occupato città chiave in Iraq e Siria, scatenando il caos in Medio Oriente, massacrando brutalmente migliaia di civili e radendo al suolo monumenti storici patrimonio dell’umanità. Perché concentrarsi sulle pistole e sugli AK-47 prodotti nei Balcani? E cosa dire dei droni prodotti in Occidente e in Russia di cui è venuto in possesso recentemente l’Isis?
Ma le pistole dei Balcani sembrano essere il problema principale alla base del terrorismo in Europa.
Nel descrivere alcuni paesi dei Balcani come la fonte della radicalizzazione ideologica degli europei Il Foglio chiede “E se il Kosovo fosse la capitale dell’Isis in Europa?”. Penso sia un bella domanda, che merita una risposta, ma solo dopo che il pubblico ha ricevuto risposte ad altre domande, che la precedono. Per esempio: “E se l’Italia non avesse appoggiato l’invasione dell’Iraq?” e “E se il carcere di Camp Bucca, gestito dagli occidentali, che di fatto ha prodotto le menti principali in seno all’Isis, non fosse mai esistito?”. Ci sono molti “E se…” ai quali se fossimo in grado di dare una risposta non sarebbe nemmeno necessario arrivare alla domanda posta da Il Foglio.
I Balcani hanno certo molti problemi ed esiste la questione della militanza jihadista alla quale ho dedicato il mio lavoro di ricerca, ma il punto è che nel tentare di trovare l’ago nel pagliaio gli opinion maker europei ed occidentali distolgono l’attenzione dai problemi reali. E’ vero, si possono trovare problemi e collegamenti con i Balcani, ma chi vuole andare al cuore del problema deve uscire dal proprio ufficio e recarsi nel proprio parlamento nazionale dove si decide chi invadere o bombardare la prossima volta. Questo è il cambio di prospettiva che andrebbe fatto.
Certo, vi saranno presto cambiamenti politici in Europa. Purtroppo è probabile avvengano nella direzione opposta a quella che auspico. La destra estrema sta crescendo. Si continuerà ad incolpare tutti tranne se stessi. E quindi questo significa che il problema persisterà. E si potrebbe facilmente chiedersi: “Sono i Balcani il problema per il diffondersi della jihad militante in Europa o è vero il contrario?
Shpend Kursani sta completando un dottorato di ricerca presso il dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Istituto universitario europeo di Firenze. E’ inoltre anche ricercatore presso il Centro kosovaro di studi di sicurezza.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua