Discussioni di Ginevra, sempre più difficili
Lo scorso 12 luglio si è tenuta la 58sima sessione delle Discussioni internazionali di Ginevra, un formato di diplomazia e colloqui creato dopo la guerra russo-georgiana del 2008. Tuttavia, complice anche il nuovo assetto internazionale, i margini di questa iniziativa sono sempre più stretti
Le Discussioni di Ginevra hanno ormai 15 anni e sono state la risposta politica alla guerra russo-georgiana del 2008. Organizzate in due gruppi di lavoro – sicurezza e questione umanitaria – e riuniscono a uno stesso tavolo Russia, Abkhazia, Ossezia del Sud, Stati Uniti e Georgia sotto la presidenza congiunta di Unione Europea, ONU, e OSCE.
Dopo i risultati tangibili iniziali, come la creazione dei meccanismi di reazione e prevenzione degli incidenti lungo la linea che separa il territorio amministrato da Tbilisi da quello sotto il controllo russo, Ginevra si è arenata. Fermo soprattutto il gruppo di lavoro sulle questioni umanitarie: regolarmente Russia e protettorati escono dalla stanza quando si intavola la questione del rientro degli sfollati georgiani, che rappresentavano la maggioranza in Abkhazia e una numerosa minoranza in Ossezia del Sud, dove la presenza georgiana si è ridotta a un decimo.
Oltre a essersi arenata sui contenuti, Ginevra ha subito un rallentamento nei tempi a causa dell’aggressione russa all’Ucraina. Lavorare con la diplomazia russa è diventato molto più complicato, per cui questo incontro arriva a notevole distanza del precedente, e il prossimo – salvo cancellazioni – è previsto per dicembre.
Intanto i margini di Ginevra si restringono sempre di più. Nulla è rimasto immutato in questi 15 anni, i processi di integrazione de facto dei due protettorati nella Federazione Russa continuano.
Abkhazia
Fra le due regioni, è l’Abkhazia che tenta di preservare un’identità indipendente da quella russa e teme maggiormente il processo di assorbimento, anche per l’impari potere fra le parti. Per questo gli abkhazi sono stati molto guardinghi sul tema della vendita di beni agli stranieri. Essendo un paese non riconosciuto se non da un pugno di stati, sono pochi gli investitori che si avventurano nel mercato interno sapendo che i loro beni non possono essere garantiti da accordi bilaterali.
Gli abkhazi temono che la presenza economica russa, in regime di pressoché assenza di concorrenza e con un potere di acquisto molto elevato rispetto a quello locale, cannibalizzi il mercato. Questo riguarda sia beni pubblici e che rivestono per i locali anche valore di patrimonio culturale, sia proprietà private. A giugno la Russia ha ratificato un accordo con l’Abkhazia sulla doppia cittadinanza, che permette agli abkhazi e ai russi di assumere le reciproche cittadinanze senza perdere la propria. Come cittadini, si ha quindi accesso a tutti i diritti, inclusi quelli di proprietà. Il Presidente de facto, Aslan Bzhania esercita pressioni sui 35 membri del parlamento perché adottino una legge che prevede la costruzione di un numero imponente di abitazioni , intorno alle 30.000 unità, nel giro di 10 anni. Gli abkhazi temono che queste 30.000 case ospitino 100.000 russi, che sarebbe un numero tale da mettere a rischio la demografia nazionale, che – dopo l’espulsione di circa 250.000 georgiani – è ridotta a 270.000 abitanti.
Allo stesso tempo, l’Abkhazia non ha né risorse proprie, né la capacità di arginare una eventuale ondata russa. Infatti è già emerso che prima ancora della discussione e adozione della legge nel locale parlamento, alcuni oligarchi russi stanno già costruendo un villaggio esclusivo e inaccessibile dall’esterno, i classici siti che includono tutti i servizi all’interno e che creano comunità esclusive. È un modello che contraddice sia la norma e la tradizione di sviluppo urbanistico locale che l’idea di turismo e indotto turistico che poteva far propendere a favore di una nuova legge sugli appartamenti agli stranieri. Il tessuto sociale ospitante questi tipi di siti perde completamente accesso a una parte di territorio (che in genere è recintata, e in Russia spesso monitorata a vista da personale armato) e l’indotto delle presenze di turisti è circoscritto al limitato personale che lavora all’interno del sito.
Ossezia del Sud
L’Ossezia del Sud, dove la leadership non fa segreto di ritenere ovvia l’annessione alla Russia, ha una legge sulla doppia cittadinanza con la Russia già dal 2021. I rapporti con il resto del mondo sono sempre più ridotti, e gli attraversamenti verso il territorio controllato da Tbilisi sempre più penalizzati. Nella prima metà del 2023 sono più di 400 le persone arrestate dalle guardie di frontiera russe in Abkhazia per essere entrati senza i dovuti documenti, ma è soprattutto lungo la linea amministrativa con l’Ossezia del Sud che si registrano le situazioni più critiche, come attesta un report del 2022 di Crisis Group .
Proprio per questo peggioramento della situazione la Georgia ha depositato un nuovo contenzioso presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Georgia v. Russia (IV) (application no. 39611/18) su cui la Corte si è dichiarata pronta a procedere nonostante la Russia non rientri più fra i paesi del Consiglio d’Europa.
La sessione 58 e la Risoluzione di giugno
In questo contesto, in cui si stanno esacerbando tutti gli effetti di questioni irrisolte, il 12 luglio si è tenuta la 58esima sessione delle Discussioni di Ginevra. Il comunicato stampa è laconico sull’avanzamento del processo di pace: “Il non uso della forza/gli accordi di sicurezza internazionale […] sono stati discussi in dettaglio. Tutti i partecipanti si sono impegnati attivamente sulla questione, ma senza raggiungere un’intesa comune sulla via da seguire. Le discussioni continueranno nelle sessioni future. La situazione umanitaria sul campo è stata ampiamente rivista. La questione degli sfollati interni e dei rifugiati non ha potuto essere completamente trattata come previsto dall’ordine del giorno a causa dell’abbandono della sala di alcuni partecipanti.”
Russia e protettorati accusano la Georgia di falsare la negoziazione facendo annualmente approvare una risoluzione all’ONU sul rientro degli sfollati. La risoluzione viene annualmente presentata dalla guerra del 2008, e richiede il diritto a rientrare nelle proprie terre di origine per i georgiani che ne sono stati allontanati con la forza. La Risoluzione adottata questo anno dall’Assemblea Generale, la GA/12507 del 7 giugno, segna un primato nel numero di paesi che si sono espressi a favore della mozione georgiana, e il numero minimo di chi ha votato con la Russia. Hanno votato a favore 100 paesi, 9 sono stati i contrari e 59 gli astenuti. Si sono allineati al voto contrario russo solo Bielorussia, Burundi, Cuba, Corea del Nord, Nicaragua, Sudan, Siria e Zimbabwe. Rispetto alla votazione precedente, manca al campo russo il pesante voto cinese, che l’anno scorso era contro la mozione georgiana, e quest’anno è stato di astensione.
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