Delle volte il vento
La storia della difficile amicizia tra Lume e Carmela, metafora di due mondi, e di due sogni, il sogno balcanico, e il sogno del sud Italia, uniti da un mare che per tanti anni aveva diviso e di colpo invece si lascia attraversare
Come il ritrovamento di un gioiello, riappare in libreria per l’editore Kurumuny il romanzo “Delle volte il vento” di Milena Magnani , romanzo uscito per la prima volta a metà degli anni novanta, che ha segnato in maniera indelebile il mio rapporto con il Salento, terra che proprio in quegli anni cominciava ad essere segnata da un passaggio fondamentale. Si tratta infatti di un romanzo anticipatore, un romanzo la cui genesi va cercata in quel modo disincantato di guardare il territorio, quel modo che senza pretese “movimentiste” ha aperto una breccia in quella fenomenologia antropologica-sociale-linguistica e musicale che in Salento in quegli anni andava prendendo forma.
L’altro… albanese
La narrazione della Magnani, ambientata all’epoca dei primi sbarchi degli albanesi sulle nostre coste, riesce a scandagliare il sud Italia nelle sue virtù, passioni e contraddizioni, chiedendosi attraverso la caratterizzazione del personaggio principale di Carmela cosa possa rappresentare l’altro, quell’“altro” rispetto al quale il mare è stato per decenni muro di confine e che improvvisamente ci raggiunge e si rivela a noi grazie allo stesso mare che di colpo si lascia attraversare.
Carmela è un personaggio che esprime tutti i tratti della nuova sensibilità salentina che in quegli anni si andava formando, è una donna inquieta, che si muove in una terra ancora pregna di suggestioni magico rituali di un sistema arcaico ma costretta al tempo stesso a tenere il passo con un mondo post moderno.
E poi c’è Lume, l’altra protagonista, una donna albanese giunta sulle coste italiane con una delle prime navi della speranza, che si scopre incapace di adattarsi ad un occidente scintillante. Una donna irriducibile che cerca di proteggersi dietro un recinto di cartoni che si costruisce davanti al mare, rifiutando ogni tentativo di scendere a compromessi con la nuova realtà. Come un gabbiano con le braccia spalancate, si lascia attraversare dal vento che le riporta i rumori del mare e le suggestioni delle sue coste albanesi su cui, fino a pochi anni prima, capeggiavano scolpiti sulla pietra gli inni di gloria al regime comunista di Enver Hoxa.
Due donne come due mondi a confronto
Siamo così di fronte a due donne che, in maniera quasi speculare, si muovono nel solco di una incrinatura epocale, e si mostrano impossibilitate ad aderire alla realtà in cui si trovano, di stare con i propri connazionali, con il vicinato e i coetanei. Non a caso i luoghi e le ambientazioni del romanzo, le azioni che i personaggi compiono nello spazio, come la rocambolesca corsa che il contrabbandiere Tzigaretta intraprende a un certo punto del romanzo con l’ape, possono essere letti come strade di ricerca simbolica, come sforzo di sottrarsi a quello spazio-prigione da cui i personaggi della Magnani sembra vogliano fuggire.
E in questo tentativo di fuga si coglie però, al tempo stesso, anche lo sforzo di approdare ad una nuova forma identitaria, ne è un esempio la ricerca musicale di Tonio il quale si impegna per campionare la nenia curativa di un’anziana guaritrice per inserirla in un proprio brano di musica elettronica, o il tentativo di Carmela di saltellare al ritmo della pizzica per liberarsi in modo festoso da un inquietudine senza nome, tutti gesti che esprimono una ricerca che è personale ma al tempo stesso sociale e apre alla perdita dell’innocenza che questa terra andava esprimendo in quegli anni e di lì a poco le faceva indossare nuovi panni.
Fuori da ogni retorica “Delle volte il vento” segna il passaggio o, per meglio dire, è l’apripista di quel movimento culturale che, misurandosi con le istanze di una globalizzazione incalzante, cerca di conciliare la cultura del territorio con la modernità di un interscambio globale, e cerca di farlo senza perdere per strada quel bagaglio di visionarietà e di paure, di tradizioni e speranze che una terra di frontiera come il Salento non può assolutamente rimuovere.
Milena Magnani , la cui formazione sociologica si percepisce nella puntuale capacità di cogliere il microcosmo sociale e l’interazione tra gli individui in un ambiente in via di cambiamento, sembra nutrirsi essa stessa di quella polvere sottile, che levata da un leggero refolo di vento, fa stropicciare gli occhi per meglio vedere i particolari.
I rumori tra le parole
La sua scrittura si concentra in un laboratorio rabelaisiano che vede protagonisti un borgo, un paesino “confinato” nel retaggio stringente della piazza, della radio, del mercato del pesce, del bagnasciuga della realtà epifanica che come fuochi fatui tra le pieghe si vanno distillando, e forse è proprio Carmela stessa che nella sua ricerca e irrequietezza sembra dirci che qualcosa in questo lembo di terra sta per cambiare inesorabilmente. Uno sguardo bifocale sul romanzo ci induce infatti all’anticipazione dei tempi che di lì a poco verranno: l’uso arcaico della lingua dialettale salentina, albanese e arbereshe come parte indispensabile di codice complesso che può essere in grado di veicolare la realtà, i testi di canzoni popolari che in pochi in quegli anni avevano iniziato a selezionare, l’attenzione scrupolosa per i concetti espressi solo ed esclusivamente con l’ascolto assiduo del rumore di fondo delle persone.
Detto ciò l’operazione dell’autrice ci pone di fronte alla sua esegesi della realtà: consegnare e conservare il buono, i fantasmi e gli ectoplasmi che questa terra ci ha donato e provare a districarci nel labirinto delle mille contraddizioni che da sempre abitano nei giornalieri dell’essere in questo caso meridiani.
Possiamo scorgervi anche un terzo luogo, quello pirandelliano ed espressionista degli “scalognati” o esiliati non però scelto da loro ma che in qualche modo vivono quella condizione come “Uccio scarda”, Tzigaretta , Lume e la stessa Carmela con gradi di consapevolezza maggiore o minore. Tra le righe possiamo scoprire incanti e figure create dai colori che ci restano scomposti negli occhi abbacinati dal troppo sole.
Così come Pitagora teorizzava che “tutta l’aria era piena di anime ritenute demoni ed eroi”, così gli artifici di questo meraviglioso romanzo valgono come prova iniziatica per accertare che i personaggi appartengono all’universo fantastico e visionario che ancora oggi ben si cela tra le distrazioni di questa terra. Questi personaggi così ben caratterizzati di lì a poco avranno bisogno di essere trasportati nel contesto che meglio possano interpretare la nuova scena sociale così come nei “sei personaggi in cerca d’autore”, Milena Magnani sembra accorgersi che il vento in questa terra sta cambiando.
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