Dejan Jović, una sveglia per la società croata
Quale la situazione della minoranza serba in Croazia? Ne parliamo con Dejan Jović, professore universitario e recente candidato alle elezioni europee
Professore universitario di Relazioni internazionali alle università di Zagabria e Belgrado ed ex consigliere del presidente Ivo Josipović, Dejan Jović si è candidato alle elezioni europee dello scorso 26 maggio con il Partito democratico indipendente serbo (SDSS), la formazione della minoranza serba in Croazia. Per la sua campagna elettorale, l’SDSS ha deciso di utilizzare dei cartelloni con degli slogan in caratteri latini e in cirillico, che sono stati sistematicamente strappati e coperti di scritte ingiuriose. Con Jović il punto sulle elezioni europee e sulla situazione della minoranza serba in Croazia.
Alle ultime elezioni europee, l’SDSS, il partito con cui era candidato, ha ottenuto il 2,7% dei voti. È soddisfatto del risultato?
Speravamo di ottenere un seggio, quindi direi che non abbiamo ottenuto quanto inizialmente sperato [la soglia di sbarramento alle europee è del 5% in Croazia, ndr.]. Tuttavia, considero che la campagna sia stata un successo, per almeno due motivi. Da un lato, siamo riusciti ad attirare l’attenzione dei croati sui problemi e sulle discriminazioni di cui è vittima la minoranza serba. Dall’altro, abbiamo fatto crescere il tasso di partecipazione tra gli elettori, convincendo un numero maggiore di votanti serbi ad andare alle urne.
Partiamo dal primo punto, in che modo la campagna elettorale ha fatto luce sulle discriminazioni perpetrate contro i serbi?
La nostra impressione, prima della campagna, era che le discriminazioni ai serbi fossero ignorate da gran parte della popolazione. Ma con questi cartelloni affissi in giro per il paese e con i messaggi di odio e le minacce che sono comparse sugli stessi, è come se avessimo messo un gigante specchio collettivo davanti al volto della nazione. Abbiamo posto una semplice domanda «lo sapete cosa significa essere serbo in Croazia?». E quello che abbiamo raccolto sono stati moltissimi messaggi di odio. Ci sono stati, per fortuna, anche tanti messaggi di sostegno da parte di figure di primo piano della società croata, come l’ex CT della nazionale di calcio Ćiro Blažević, o l’ex presidente Stipe Mesić e tanti protagonisti ed esponenti del mondo culturale.
Quanti cartelloni avete affisso in giro per il paese? Quanti sono stati attaccati?
Abbiamo messo 73 cartelloni elettorali in tutto il paese e direi che la maggior parte sono stati attaccati con parole o simboli che fanno riferimento allo Stato indipendente di Croazia (NDH), al movimento ustascia o con minacce di ogni tipo. Solo su un manifesto abbiamo trovato un messaggio di sostegno, scritto peraltro a risposta di una precedente minaccia.
Perché tanta ostilità nei confronti del cirillico?
È il risultato del clima sociale e politico nel paese, che fa finta di non vedere la crescente retorica anti-serba e che mantiene continuamente in vita la guerra degli anni Novanta. Basta guardare la tv croata, ogni giorno, al telegiornale, ci sono 10/15 minuti dedicati alla guerra e che la celebrano, non si limitano a commemorarla. I serbi sono sistematicamente chiamati “aggressori” ed “invasori” e questa stessa pratica si ritrova anche nei testi scolastici. Non deve sorprendere dunque che questo influenzi le nuove generazioni e che in questo clima, dove il culto di Tudjman torna in auge, attaccare un serbo sia quasi un atto di eroismo. Se non si fa niente, se i principali esponenti politici non condannano questi comportamenti, vedremo sempre più attacchi di questo tipo.
C’è stata una condanna degli attacchi ai vostri cartelloni elettorali da parte del Primo ministro Andrej Plenković o della Capo di Stato Kolinda Grabar-Kitarović?
No, nessuna condanna. E se da un lato posso capire il silenzio del premier, lui stesso impegnato nella campagna elettorale, dall’altro non posso giustificare quello della presidente, il cui compito è quello di rafforzare l’unità del paese. Chi ci ha attaccato rappresenta certamente una minoranza all’interno della società croata, ma è importante che la maggioranza non rimanga silenziosa davanti a questo fenomeno, non bisogna far finta che non stia succedendo niente. La nostra campagna voleva proprio essere una sveglia per la società croata.
Come mai avete deciso di usare il cirillico per la vostra campagna?
Siamo partiti dal presupposto che nell’Unione europea tutti devono essere liberi di essere se stessi. Ma in Croazia, l’uso del cirillico, anche dove è garantito dalla legge, come a Vukovar, è impossibile. Guardiamo all’Istria, dove i cartelli in italiano sono affissi senza alcun problema. A 25 anni dalla fine della guerra, dobbiamo essere in grado di applicare le stesse regole anche al cirillico.
Il secondo motivo che ci ha spinto a costruire la campagna in questo modo è la considerazione che l’ultima volta che il cirillico è stato proibito in Croazia è stato durante la Seconda guerra mondiale. Non possiamo dunque permettere che de facto si ripeta quanto avvenuto durante il regime ustascia. La nostra è dunque anche un’azione antifascista.
Personalmente, che cosa l’ha spinta a presentarsi come candidato?
Innanzitutto, la voglia di influenzare la politica europea. Da accademico, mi sono occupato molto delle relazioni tra l’Unione europea e i Balcani. Mi sono espresso più volte, apertamente, contro le esitazioni dell’Ue riguardo all’integrazione dei paesi dei Balcani occidentali. Considero il rallentamento nel processo di allargamento un errore grave e sono invece a favore di un’adesione simultanea e rapida di tutti i paesi dell’area. Mi sono detto che diventando un eurodeputato avrei potuto portare avanti questa mia tesi con più forza.
In secondo luogo, penso sia nostro dovere, in quanto accademici, di prender parte alla vita politica. C’è una tendenza a scoraggiare l’impegno civico, una tendenza che sul lungo termine diventa un pericolo grave per la democrazia. Chi come me studia i fenomeni politici ha il dovere a un certo punto di partecipare attivamente.
Infine, ho voluto esprimere la mia solidarietà alla comunità serba, non tanto per l’appartenenza etnica ma perché penso che la comunità serba sia una caratteristica della Croazia in quanto paese.
Ha detto che malgrado il risultato insufficiente alle europee, l’SDSS è riuscito a coinvolgere più elettori. Qual è stato l’aumento a cui fa riferimento?
In Croazia, ci sono circa 138mila elettori serbi che si identificano come tali. Di questi, 41mila hanno partecipato alle elezioni e 30mila hanno votato per noi. Significa che quasi un terzo dell’elettorato si è recato alle urne. È un buon risultato se comparato al passato.
Al di là di quanto realizzato dell’SDSS, come interpreta da politologo il risultato delle europee in Croazia?
Direi che malgrado la leggera flessione che hanno registrato, sia l’HDZ che l’SDP sono comunque riusciti a conquistare i due terzi dei seggi a disposizione della Croazia. Quindi rimangono i principali attori politici nel paese. In secondo luogo, trovo preoccupante il rafforzamento dell’estrema destra e il fatto che Ruža Tomašić sia l’eurodeputata più votata in Croazia. Di recente, il settimanale Novosti ha svelato a che punto Tomašić sia una revisionista, avendo celebrato in passato la figura di Ante Pavelić, ma questo non sembra disturbare il pubblico. Infine, i movimenti di sinistra, anche se non sono riusciti a conquistare un seggio, hanno registrato buoni risultati. È un punto di partenza su cui si può costruire qualcosa.
Che cosa vede nel suo futuro politico e in quello dell’SDSS?
L’SDSS ha voluto presentarsi come un partito progressista e liberale piuttosto che come un semplice partito comunitario. Questo perché interpretiamo la questione nazionale come un problema di uguaglianza. In futuro, penso che l’SDSS potrebbe allearsi con altri partiti di sinistra come Možemo o anche con l’SDP, se quest’ultimo si mostrerà interessato. Quanto a me, non penso a diventare un politico a tempo pieno, continuerò la mia carriera da professore, ma se una nuova opportunità dovesse presentarsi sono pronto a dare il mio contributo.
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