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Dayton, Zagabria, Sarajevo

A dieci anni da Dayton, Miljenko Jergovic esamina, con un brillante editoriale sulle pagine del settimanale DANI, cosa è cambiato nel frattempo a Zagabria e Sarajevo. Nostra traduzione

01/12/2005, Redazione -

Dayton-Zagabria-Sarajevo

Di Miljenko Jergovic, DANI, 25 novembre 2005 (tit.orig. Dayton – Zagreb – Sarajevo)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak

Guardo quella famosa foto di Dayton, scattata poco prima dell’attimo in cui si sarebbero stretti la mano i due defunti e il carcerato, e penso a tutte le cose che sono cambiate in questi dieci anni. Zagabria è diventata più bella, eccola, oggi è come nuova, una vera mini città austriaca. Gli stipendi sono aumentati, il Paese è rinnovato, solo Vukovar sta là triste e mezza distrutta, come se i croati non sapessero cosa farsene. Gli ex comunisti sono arrivati al potere, e non hanno combinato niente di buono, e così dopo quattro anni sono scesi dal potere, e poi, in modo del tuto inaspettato, è arrivato tutto il buono. La HDZ di Sanader ha fatto la coalizione con le minoranze nazionali, e all’inizio era un po’ scioccante vedere ai posti di segretari di stato e di vice ministri i membri dei partiti serbi, ma presto tutti si sono abituati, e non si stupirà nessuno se nella prossima divisione delle funzioni statali queste persone rimarranno quelle che sono, oppure andranno ancora più in alto, anche se non dovesse esserci la coalizione con le minoranze. Gli auguri per il Bajram ai musulmani e gli auguri natalizi agli ortodossi sono diventati qualcosa di consueto.

Nessuno si lamenta quando in televisione il presidente Mesic dice che il futuro della Bosnia è nello stato civile, e a nessuno sembra strano quando la ministra della HDZ per gli affari esteri dice che i croati della Bosnia ed Erzegovina devono creare la loro soggettività nel proprio Paese e non in Croazia. In realtà, sono in pochi a ricordarsi come appariva tutto questo dieci anni fa, di cosa si parlava nelle osterie, che messaggi inviava il telegiornale e quali sentimenti e paure circolavano per le strade. Durante la prima rappresentazione dei film bosniaci, che si tengono nelle sale d’élite della metropoli, oggi si ritrova l’élite culturale e politica croata, e buone critiche si possono leggere su tutti i giornali. Durante la mostra retrospettiva del famoso pittore, d’origine di Dobojlije, e dal nome musulmano, si affrettano ad arrivare il premier e il ministro della cultura, e le idee sulla terza entità, presentate durante un raduno a Neum, si accolgono senza alcun commento, come parte di una sub cultura marginale, che a Zagabria, generalmente, si guarda dall’alto, dopo che Sanader ha schiacciato Pasalic alle ormai lontane elezioni all’interno del partito. E quando un tribunale minore condanna lo scrittore Predrag Matvejevic per diffamazione di un poeta, ex diplomatico croato, il premier si fa sentire nelle vesti di cittadino e membro del PEN e dice pubblicamente che questo tipo di condanne proprio non vanno bene. Ma dai, mettiamo da parte tutto ciò, smettiamo di fare l’elenco, perché la sostanza è che in Croazia si vive molto meglio e più tranquillamente di come si viveva nell’autunno del 1995.

L’indicatore più esatto di questo tipo di vita non è la quantità dei soldi nel portafoglio, né l’avvicinamento del Paese all’Unione europea. E’ più importante che un membro della minoranza non si senta più come un maiale a Teheran. E’ importante per lui, ma anche per ogni membro della maggioranza, includendo anche colui che non ne è cosciente. Ecco, così ci sembra il decimo anniversario di Dayton! E’ vero, non è stato un accordo di pace internazionale a permettere alla Croazia di respirare, non è stato decisivo nemmeno quello precedente, a Washington, ma il fatto è che tutto il resto sarebbe stato inutile se non ci fossero stati Dayton e Washington. La pace in Bosnia ha assicurato la prosperità in Croazia. Quando col pensiero torniamo indietro a dieci anni fa, una tale prosperità ci sembra fantastica. Come se nel frattempo la gente fosse diventata più buona, e con simpatia e benevolenza guarda il vicinato più prossimo. Non mi ricordo quando è stata l’ultima volta che un vicino di Novi Zagreb mi ha chiesto quanto fondamentalismo islamico c’è in Bosnia e a Sarajevo. Chiedono per i cevapi della Carsija, per il formaggio di Travnik e per il defunto Kindje. E se quest’anno è meglio andare a Jahorina invece che in Austria. Sono piacevoli queste domande della gente comune in tempo di pace, se ti ricordi come era cinque, sei o dieci anni fa.

E com’è il decimo anniversario di Dayton in Bosnia? Dimentichiamoci adesso dell’Alto rappresentante, dei mille e un ministri cantonali, federali e statali, dimentichiamo i criminali e i mafiosi, il cattivo funzionamento di questo o di quello, e pensiamo a cos’è accaduto nel frattempo, ma che non sia per colpa loro. In quel lontano 1995, Sarajevo andava fiera della sua multi-culturalità e pluri-confessionalità, delle differenze rispetto a Mostar e a Banja Luka, e alla lontana anche rispetto a Zagabria, Sarajevo andava fiera di alcune tradizioni migliori che hanno resistito all’assedio durato per più anni. Tali tradizioni non erano nei libri o nei libri di storia, ma erano nelle teste delle persone. E se c’era qualcosa che non andava bene, se c’era una diseguaglianza, essa era istituzionale, statale o dei partiti, e non autentica, spirituale e dell’anima. Si sapeva che Sarajevo voleva essere di nuovo quella vecchia, perché se la città ha vinto contro i cetnici, vincerà anche contro quelli che dall’interno cercano di ridefinirla. E’ così, dico, che allora sembrava.

Nel frattempo tante cose hanno preso la direzione di una minore resistenza, meno per il bene, più per il male. Tanti hanno dimenticato che nella Sarajevo prima di Dayton, durante la guerra e prima della guerra, non c’erano le maggioranze e le minoranze. Almeno non nelle teste delle persone intelligenti e responsabili. Ma quando il redattore di lunga data dell’edizione bosniaca del Komunist oggi attacca Ivan Lovrenovic, e quando lo fa per il sentimento di appartenenza al popolo della maggioranza, allora mi sembra che Sarajevo abbia iniziato ad assomigliare a quella Zagabria di ieri, ormai estinta, dove godevi di un maggiore diritto alla libertà in quanto membro della maggioranza dal passato sporco, che come membro della minoranza con la coscienza a posto. In quella Zagabria non si rispettavano i valori umani e morali, né la grandezza intellettuale, non si rispettava il diritto per la basilare correttezza umana. Era una città infelice in mezzo a un governo cattivo, ma priva del diritto di attribuire tutti i suoi mali a quel cattivo governo. Era la città dove l’uomo, a causa della propria vergogna, sceglieva in modo spontaneo la posizione della minoranza. Per ciò quando a Sarajevo appare Zijad Dizdarevic come uomo giusto davanti a Lovrenovic, allora per il decimo anniversario di Dayton non hanno colpa né i governatori stranieri né quelli locali, né il rais, né il cardinale, né il cattivo destino. E’ colpa di qualcosa che dentro di noi trasforma ogni tristezza e sfortuna in male e violenza, e per cui ogni persona buona e onesta sarà una minoranza, e ciò per propria scelta, e non per il nome e cognome che compare sul certificato di nascita.

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