Darko Cvijetić e l’ascensore di Schindler
Sono dei veri e propri "paesini verticali". Con matrimoni, litigi, amicizie e funerali. Nel nuovo romanzo di Darko Cvijetić la pulizia etnica a Prijedor vista dall’interno di un condominio
Darko Cvijetić è uno scrittore di prosa e poesia. Drammaturgo, attore e regista è nato nel 1968 a Rudnik – Ljubija nei pressi della città di Prijedor, in Bosnia Erzegovina. Anche se la sua carriera effettivamente ha avuto inizio ancora prima degli eventi che segneranno la città di Prijedor in modo tragico e indelebile, nel mondo della letteratura sarà “scoperto” soltanto nei primi anni Duemila con la raccolta di racconti brevi “Manifest Mlade Bosne ” (Manifesto della giovane Bosnia), edito da Prometej nel 1999.
Purtroppo scrivere di qualsiasi tema riguardante quanto accaduto nei primi anni novanta sul territorio di Prijedor è un lavoro non appagante, spesso anche pericoloso. Darko Cvijetić tra l’altro risiede ancora nella sua città natale e non appartiene alla comunità lì maggioritaria, quella serbo-bosniaca. La situazione è peggiorata con il suo ultimo romanzo di prosa, intitolato “Schindlerov lift” (L’ascensore di Schindler) divenuto oggetto quotidiano di scontro tra i vari nazionalismi locali sempre impegnati nell’identificare – nelle proprie fila – esclusivamente le vittime, dimenticando i carnefici.
Se non bastasse, secondo quanto riportato recentemente in un articolo pubblicato da Miljenko Jergović , con il titolo significativo “Lift koji optužuje pisca” (L’ascensore che denuncia lo scrittore), risulta che il titolo scelto da Cvijetić per il suo ultimo libro potrebbe portarlo addirittura in tribunale.
Alla ricerca della catarsi
Ma prima di capire il perché del possibile caso giudiziario vorrei dedicare qualche riga in più a Darko Cvijetić, un uomo che così tanto si spende per le vittime innocenti di Prijedor, non stancandosi di invitare la popolazione locale a parlare ed elaborare quanto accaduto durante il conflitto in modo onesto e umano. Non accusa Cvijetić, ma chiede catarsi: per poter tornare a vivere e togliere il peso del negazionismo dalle spalle delle future generazioni.
È vero. Vi sono anche altri scrittori e intellettuali che a questo si stanno dedicando. Ma Darko Cvijetić vive ancora a Prijedor, nello stesso edifico, nello stesso appartamento dove viveva prima del conflitto ed è così audace dal continuare a scrivere poesie, romanzi e sceneggiature per spettacoli teatrali, tradotti spesso nelle lingue più parlate al mondo, e dedicati alle vittime delle minoranze di Prijedor.
Oggi il suo pubblico lo conosce soprattutto come autore di poesia. La sua poesia del dopoguerra è caratterizzata da alcuni argomenti di cui scrive, a volte sembra quasi ossessivamente. Lascia volutamente che tutte le vergogne umane che hanno avuto luogo nella sua città natale diventino testimonianza artistica e umana. Anche se non perde occasione per affermare di non credere che la poesia abbia alcun potere di fronte agli orrori degli stermini di massa, non smette di scrivere di temi in cui il lettore senza dubbio riconosce la recente tragedia dei campi di concentramento di Prijedor, dell’uccisione dei civili, delle fosse comuni che custodiscono i segreti dei crimini di cui non si vuole parlare. Insomma, Cvijetić non smette di toccare i punti dolenti, evitando di nominare le persone e i luoghi, lasciandoci però disarmati di fronte ad evidenze difficili da non vedere e da non sentire.
Schindlerov Lift
Il romanzo “Schindlerov Lift” pubblicato da Buybook nel 2018, non ha tradito la scelta di raccontarsi come essere umano e come artista. Nel libro Cvijetić ha raccolto le storie di un grattacielo di Prijedor dove si è trasferito nel 1974 e dove ancora vive. Lì ha assistito a matrimoni, battesimi, feste religiose e laiche. Amori, litigi e, alla fine, brutali uccisioni. Come una volta ha dichiarato ad una presentazione del libro: “Le storie che ho scritto in 23 giorni le ho da 23 anni in gola”.
Ora infine la vicenda giudiziaria, legata al titolo del libro, che sfrutta evidentemente il potenziale simbolico dello straordinario capolavoro cinematografico di Steven Spielberg “Schindlers List”: se qualcuno pensa che nel grattacielo di Cvijetić l’ascensore fosse stato realmente prodotto da una azienda denominata “Schindler” si sbaglia. Quell’ascensore, ormai incriminato, è stato prodotto da un’azienda belgradase, la David Pajić–DAKA. Ma una ditta Schindler che produce ascensori esiste, ed ha sede in Svizzera. E proprio gli avvocati di quest’ultima hanno inviato – a seguito di un’intervista a Cvijetić pubblicata dallo Spiegel – una lettera all’editore tedesco dello scrittore bosniaco e all’indirizzo di casa dell’autore dove con toni minacciosi si precisa che i loro prodotti, di nicchia nel settore, non sono delle ghigliottine e che non hanno niente a che fare con l’Olocausto o la guerra in Bosnia Erzegovina. Per il momento i rappresentanti legali della rinomata azienda svizzera dall’autore e dall’editore chiedono “spiegazioni valide” sul fatto di aver scelto il nome del loro prodotto come titolo del romanzo, prima di scegliere se procedere o meno in sede giudiziaria. “Speriamo abbiano letto il romanzo prima di avviare questo intervento macchinoso”, concordano Cvijetić e Jergović nei loro commenti.
Ma perché quest’importanza dell’ascensore? Tutta la tragedia raccontata nel libro gira intorno a quest’ultimo e ad un episodio in cui perse la vita una bambina. La bambina con la sua famiglia si era appena trasferita in uno degli appartamenti dell’edificio. La corrente elettrica in quel periodo mancava anche per diversi giorni e poi ritornava improvvisamente e per poco. La bambina si era abituata a giocare nell’ascensore di cui la porta spesso rimaneva aperta. Quel giorno la corrente tornò all’improvviso. Qualcuno chiamò l’ascensore. Mentre la bambina, sportasi fuori attraverso l’apertura della porta, chiamava le amiche l’ascensore si avviò. Era la primavera del 1992. Pochi giorni prima che a Prijedor si scatenasse la pulizia etnica e la tragica fine di una vita di soli sei anni restò dimenticata. Già il giorno dopo cancellata da altri eventi più grandi e più gravi.
Cvijetić attraverso questo edifico, scherzosamente chiamato da uno dei personaggi dei racconti, molto prima della guerra, “villaggio verticale”, racconta prima di tutto la Jugoslavia e tutti i suoi paesini e borghi verticali (e non ve ne erano di ‘etnicamente’ puliti) che da luoghi di convivenza e tolleranza sono diventati scene di crimini inspiegabili.
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