Danzare a Belgrado
Nata nel 2006 la Service Station for Contemporary Dance di Belgrado raccoglie artisti e operatori che condividono l’interesse per la danza, in Serbia e nei Balcani. Un’intervista
(Pubblicato originariamente su Altrevelocità e parte di una serie di rassegne sul teatro nei paesi dell’est Europa)
Per quanto non sia l’unico modo per definirla, il termine "indipendente" ben descrive la Service Station for Contemporary Dance di Belgrado. Sotto questo nome, si riuniscono infatti dal 2006 danzatori, coreografi, teorici, critici e operatori teatrali, che condividono l’interesse per la danza contemporanea e la consapevolezza di un vuoto istituzionale nella società serba che è necessario riempire.
Alloggiata in un vecchio deposito ai piedi della collina su cui si estende il centro cittadino, la SSCD rappresenta l’unico punto di riferimento per la danza contemporanea, da un punto di vista fisico e non solo: dallo spazio in cui le compagnie possono provare alla ricerca di fondi, dalla produzione di materiali teorici (qui opera anche il collettivo critico "Walking Theory") all’organizzazione di festival (Kondenz festival) e percorsi formativi (Nomadic Dance Academy). Marijana Cvetković, una delle fondatrici e animatrici del centro, ci racconta la propria storia e ci parla dello "stato generale" della danza contemporanea in Serbia e in tutta la regione balcanica.
In quale contesto e con quali obiettivi è stata fondata la Service Station for Contemporary Dance?
Nel 2006 – anno in cui si sono poste le basi per la nascita di SSCD – in Serbia non esisteva alcuna realtà istituzionale che si occupasse di danza contemporanea: non c’erano spazi, politiche culturali, fondi o programmi educativi… esistevano semplicemente artisti e compagnie indipendenti che hanno deciso di unirsi per migliorare le proprie condizioni di lavoro e, in generale, tutto il contesto relativo alla danza.
Lo spazio in cui SSCD venne istituito – Magacin – era un vecchio deposito di libri in disuso da anni. Nel 2007, la Città di Belgrado acconsentì a lasciarlo in gestione agli artisti provenienti dalla scena indipendente, mantenendo però lo spazio sotto la responsabilità ufficiale di un’istituzione pubblica già esistente (si trattava di un centro culturale giovanile). In altre parole, a noi veniva concesso un semplice "uso" dell’edificio e delle sue stanze, mentre l’istituzione pubblica aveva il compito di amministrarlo e mantenerlo in funzione. Possiamo dunque dire che fosse stato raggiunto un accordo vantaggioso con le istituzioni, che però non ha mai veramente funzionato. Infatti, il centro culturale non hai mai avviato alcun lavoro di recupero o manutenzione e, nel caso avessimo voluto occuparci da soli della gestione dello spazio, non avremmo avuto l’autorizzazione. Una volta concesso l’uso di Magacin, le istituzioni si sono semplicemente lavate le mani degli sviluppi del percorso. Questa è dunque la situazione in cui ci troviamo ora e, come primo passo verso il futuro, stiamo cercando di chiudere un contratto e una collaborazione che si sono rivelati totalmente infruttuosi.
Detto questo, avere uno spazio come Magacin nel 2007 ha rappresentato un punto di svolta importante per la scena indipendente serba, dal momento che si trattava del primo e unico centro operativo nel campo della danza contemporanea sotto molteplici aspetti. La SSCD, concepita due anni prima, è stata infatti pensata come un "servizio" vero e proprio per gli artisti: cerchiamo di fornire percorsi educativi, visibilità attraverso festival (Kondenz) e una dimensione di scambio internazionale, sia portando figure internazionali a Belgrado sia presentando artisti locali all’estero. In più, cerchiamo di coprire anche gli aspetti relativi alla produzione, dalla ricerca dei finanziamenti all’organizzazione degli spettacoli, nonché facciamo il possibile perché la danza acquisisca un peso maggiore nelle politiche culturali del Paese. Per dare un’idea, Magacin è ad oggi ancora l’unico posto in cui coreografi e compagnie possono provare prima del debutto: persino nel caso in cui siano co-prodotti e co-finanziati da un teatro istituzionale, nel quale metteranno in scena lo spettacolo, nessuno spazio di lavoro viene concesso per il periodo di creazione e affinamento dell’opera. Ecco perché ora il nostro obiettivo principale è quello di avere in completa gestione un luogo adeguato da dedicare alla danza contemporanea, dalle prove alla performance pubblica.
La vostra attività si estende anche al di fuori della Serbia?
Sì, siamo attualmente operativi in tutta la regione balcanica. Nello stesso momento in cui abbiamo fondato la SSCD, ci siamo imbattuti in una miriade di piccole organizzazioni spontanee nell’area, che condividevano la nostra stessa situazione e i nostri stessi problemi. A questo proposito, abbiamo creato la Nomadic Dance Academy, una sorta di rete per lo sviluppo della danza contemporanea nella regione, partendo dalla semplice constatazione che fosse più efficace lavorare insieme piuttosto che promuovere individualmente le stesse identiche cose, ciascuno nel suo piccolo Paese per la propria piccola scena di danza.
Il primo progetto nato da questa unione, il Nomad Dance Academy Education Programme (2008/2010), era un programma formativo aperto non solo a danzatori e coreografi ma a chiunque fosse interessato al corpo e al movimento da molteplici prospettive, dalla teoria al business. Ogni anno, un gruppo composto da una quindicina di "studenti", si sposta attraverso l’intera regione balcanica per quattro mesi – da Skopje a Sofia, da Sarajevo a Belgrado, da Zagrabria a Lubiana – e in ciascuno di questi luoghi dà vita a workshop, conferenze, discussioni e performance collettive. Dopo tale programma itinerante i partecipanti restano in contatto e continuano a collaborare su temi e domande scaturiti dalla loro esperienza comune.
Fra i risultati più importanti del progetto, c’è sicuramente quello di aver compreso in modo profondo le diverse realtà e situazioni dell’area; abbiamo capito come si possono sviluppare percorsi in ambito culturale, quali "attori" e istituzioni siano presenti e quali fra questi realmente contano, quali e quanti residenze e spazi esistano, la loro storia etc. Perciò è stato possibile creare una rete di collegamento forte, che si sviluppasse in maniera genuina e "organica": in ciascun Paese o regione siamo riusciti a stabilire piccoli centri e organizzazioni che sono un mezzo per rafforzare le scene locali.
Inoltre, è interessante notare come la nostra realtà abbia iniziato ad acquisire riconoscimento in Serbia solo al termine – e come conseguenza – di questo processo. È solo dopo che ci siamo attivati anche a livello internazionale e in tutta l’area balcanica che abbiamo potuto ottenere considerazione nel nostro Paese.
Ti sembra dunque che, anche grazie al vostro lavoro, la considerazione per la danza contemporanea sia aumentata in Serbia e, più in generale, nei Balcani?
Penso di sì. Non abbiamo ancora raggiunto il livello che ci piacerebbe vedere ma ci sono stati significativi miglioramenti. Quando è partito il nostro progetto, chi avesse voluto proseguire il proprio percorso formativo nel campo della danza contemporanea si trovava costretto a emigrare (Berlino, Bruxelles, Amsterdam e così via): una fuga di cervelli (e di corpi!) di grosse proporzioni.
Tutto ciò è cambiato: abbiamo ora una seconda generazione di artisti che, dopo aver comunque passato un periodo all’estero e dopo l’esperienza con la Nomadic, decide di tornare e continuare a lavorare in Serbia. Questo perché siamo riusciti a creare infrastrutture e servizi per chi si occupa di danza nonché una diversa e più stimolante atmosfera culturale. In più, il fatto di portare e presentare un sempre crescente numero di artisti internazionali, fa sì che le istituzioni locali non possa più ignorarci come in passato. Ma occorre lottare e crescere ancora, anche perché le condizioni sociali e politiche della Serbia sono molto instabili. Si tratta di un incessante lavoro sempre sullo stesso punto.
Quali sono le peculiarità della scena balcanica? Inoltre, esiste un’attitudine condivisa degli artisti contemporanei verso le forme di danza tradizionali, come il balleto o le danze folkloriche?
Forse, una delle cifre caratteristiche della scena balcanica consiste nel mostrare quasi sempre una forte connessione col contesto sociale in cui opera. Questo perché l’ambiente e il contesto in cui crescono gli artisti influenzano profondamente attitudini artistiche e performance individuali: si parte spesso da ciò che succede e si osserva nella società. Come conseguenza, i lavori di danza contemporanea della regione sono opere "politiche". Non nel senso stretto del termine, bensì nella misura in cui sono radicate nel contesto di appartenenza e non prescindono mai da tutto quello che in esso è avvenuto. In più, a costituire una questione "politica" è la posizione e il ruolo che l’artista intende assumere nella società tramite il suo lavoro, il modo in cui si relaziona con le istituzioni, col pubblico, con la "cultura dominante" e come interpreta il suo essere artista "contemporaneo".
Per quanto riguarda la tradizione, invece, è forse troppo presto per fornire definizioni precise e comprensive. Dal mio punto di vista, direi che non si può parlare di una vera e propria "tradizione" contemporanea nei Balcani. Esistono piuttosto diverse "pratiche" ereditate dalla danza moderna, dal teatro fisico e altre correnti. E, naturalmente, ci sono forti influenze provenienti dall’Ovest. Ad ogni modo, si tratta di un tema scottante e continuamente dibattuto, che riusciremo a delineare meglio in futuro.
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