Tipologia: Intervista

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Area: Montenegro

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Dalle due sponde dell’Adriatico

L’identità complessa del Montenegro e il suo rapporto con la Serbia, sono solo alcune delle tematiche contenute in "Storia del Montenegro", volume scritto da Antun Sbutega ambasciatore montenegrino presso la Santa Sede. Nostra intervista

11/08/2008, Marjola Rukaj -

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Antun Sbutega è attualmente ambasciatore montenegrino presso la Santa Sede. Nei primi anni ’90 si è trasferito in Italia come esule politico per fuggire al regime di Milošević, alla vigilia degli attacchi su Dubrovnik. Studioso di storia dell’Europa Orientale, collabora con la facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza.

Come nasce l’idea di scrivere una storia del Montenegro?

I motivi sono stati diversi. Negli anni ’90 sono fuggito dal Montenegro, sono arrivato in Italia, e qui ho cercato di tagliare tutti i ponti col passato. Poi, per fortuna, il Montenegro è cambiato in meglio, e ho recuperato l’attaccamento a una realtà che conoscevo e che mi appartiene. Adesso il legame è diventato ancora più forte perché ho un incarico diplomatico. Oltre alle motivazioni personali, naturalmente, mi ha spinto anche l’aver trovato un soggetto su cui nessuno in occidente ha scritto nulla da oltre cent’anni. E’ difficile trovare una storia del Montenegro. Si può dire che non avevo molta concorrenza, e che questo è stato un lavoro pionieristico. Volevo fare conoscere questa realtà che, seppur piccola, è molto complessa. Nel suo piccolo il Montenegro ha una storia drammatica e dinamica, che però è connessa al resto dei Balcani e al Mediterraneo. Ho voluto scrivere questo libro capire meglio la storia dei Balcani, ma anche una ricerca personale, nata dall’esigenza di dare ordine alle mie conoscenze.

La sua storia del Montenegro assomiglia poco all’impostazione storiografica che di solito caratterizza le interpretazioni della storia dei paesi balcanici. Di che tipo è stato il suo approccio?

La maggior parte dei libri che sono stati scritti sui Balcani sono stati scritti da autori occidentali, o al massimo di origini balcaniche, ma sempre con una visione occidentale sulla regione. Io sono un balcanico, che però vive a Roma, con la prospettiva di questa parte del mondo, e allo stesso tempo sono un insider balcanico. Quindi guardo il paese con gli occhi di entrambe le sponde dell’Adriatico, per così dire. Scrivendo sul Montenegro ho voluto poi inserire la storia di questo piccolo paese in un ambito più ampio balcanico, adriatico, europeo, e mondiale. Ho cercato di rendere tutto questo in modo comprensibile anche ad un lettore occidentale.

Leggendo questa storia del Montenegro si scorge un continuo flusso di correnti e orientamenti diversi e divergenti. Questa è una novità per le storie balcaniche, in cui si tende di solito a interpretare la storia minimizzando o valorizzando determinati periodi e fenomeni, per poi arrivare spesso a letture nazionaliste… E’ possibile oggi scrivere una storia del genere in un paese balcanico?

Il mio approccio è tale anche a causa della mia identità culturale. Io sono sempre stato parte di una minoranza, da quando sono nato. Ho sempre cercato di costruire la mia identità senza cercare di aggrapparmi a un gruppo religioso, politico o altro. Appartengo alla minoranza croata che in Montenegro rappresenta solo il 4% della popolazione. La mia famiglia, poi era una minoranza ai tempi del comunismo, perché eravamo cattolici praticanti, ed avevo persino un fratello prete. Poi, quando sono venuto in Italia, sentivo di appartenere a questa cultura, ma ero un profugo, senza diritti. Quindi non potevo diventare nazionalista né montenegrino, né serbo, né croato. Il Montenegro, poi, come tutti gli altri paesi balcanici, ma forse anche di più, è una realtà complessa. E’ uno spazio dove si sono incrociate diverse culture e diverse religioni, diversi imperi e realtà politiche ed oggi è ancora così. I montenegrini sono il 40% della popolazione, i serbi 30%, gli albanesi 7%, poi ci sono i musulmani slavi, i croati ecc. Il Montenegro attuale non è stato costituito come uno stato nazionale, in cui prevale una comunità, ma è stato costituito grazie al contributo di tutte queste nazionalità. Nell’ ‘800, quando prendono piede i nazionalismi, il Montenegro è stato un’eccezione, non solo nei Balcani ma anche in Europa, perché aveva uno stato ma non ha creato un nazionalismo montenegrino. Tutto questo mi ha spinto a non soffermarmi su una sola identità, perché il Montenegro ancora oggi non ha una sola identità, ma un’identità plurima.

Come si potrebbe definire questa l’identità montenegrina?

Prima della scomparsa dello stato montenegrino, quando i confini erano diversi, gran parte della costa apparteneva allora all’Austria, a Venezia, ma dal punto di vista nazionale, i principi, poi i vescovi e infine il re coltivavano un’identità serba, perché aspiravano a diventare il Piemonte dei Balcani ed ad unire tutta la popolazione ortodossa che era sotto il dominio turco. Quando poi c’è stata l’unione con la Serbia, i montenegrini hanno incominciato a riscoprire un’identità separata. Ma da questo punto di vista sono perdurate le divisioni tra coloro che optavano per un’identità serba e altri che dicevano: "i serbi ci maltrattano, noi siamo diversi". E’ più o meno è così anche oggi, come hanno dimostrato i risultati del referendum sull’indipendenza.

L’Unione Europea ha giocato un ruolo in questa relativizzazione e nei risultati del referendum?

La maggioranza della popolazione è favorevole all’adesione nell’UE. Il Montenegro è un paese piccolo, e tutti sanno che solo nell’ambito dell’Europa si possono ottenere sicurezza e vantaggi che altrimenti sarebbero irraggiungibili. D’altra parte, l’adesione alla NATO ha meno sostegno tra la popolazione. Una parte della comunità serba è nostalgica della convivenza con la Serbia, ma non rifiuta in toto il nuovo stato, con l’eccezione di qualche politico, come si è visto nelle ultime elezioni presidenziali. Molti vogliono questo stato, perché gli sviluppi degli ultimi anni hanno dimostrato che il Montenegro sta procedendo molto velocemente verso l’integrazione europea, mentre la Serbia rimane in una situazione difficile. I nazionalismi ottocenteschi sono stati, almeno in parte, superati.La crisi jugoslava era in qualche modo frutto di quei vampiri e fantasmi dell’800. Ma penso la lezione sia stata imparata e che adesso ci si muova verso l’Europa, che non è uno stato, ma una civiltà di cui facciamo parte.

Quindi è possibile costruire uno stato post-nazionale?

Assolutamente. Il "miracolo montenegrino" per così dire, ne è stato una prova. Nonostante la storia bellicosa e complessa, il Montenegro questa volta è stata l’unica realtà che è riuscita a evitare lo scontro all’interno del paese, anche se le varie fazioni erano armate fino ai denti. E ciò è stato possibile proprio attraverso la visione di una nazione post-moderna, post-nazionalista. Non c’è bisogno di appartenere a un determinato gruppo per sentirsi parte dello stato, basta essere dei buoni cittadini, rispettare le leggi, come in ogni altro paese civile. E’ stata una sorpresa per tutti il fatto che il Montenegro sia riuscito a divenire indipendente senza traumi intestini o guerre con la Serbia. E’ stato naturalmente anche un successo della politica europea. L’indipendenza montenegrina ha dimostrato che i Balcani non sono più una polveriera. Il Montenegro non è esploso e come penso che non esploderà nemmeno il Kosovo, anche se lì non c’è una tradizione di stato, a parte la storia medievale che è poi divenuta leggenda, e quindi rimane tutto da costruire. Penso che tra una decina di anni i Balcani saranno definitivamente pacificati, anche se non proprio entro il 2014, come qualcuno sperava.

Eppure il destino del Montenegro si trova spesso ad intrecciarsi con quello della Serbia. Come si potrebbe definire questo fenomeno storico?

Il rapporto del Montenegro con la Serbia è particolare, sono fratelli ma anche nemici. E’ stata soprattutto la geografia a determinarlo. Il Montenegro ha uno sbocco al mare, la Serbia invece è un paese continentale. Ogni volta che la Serbia è divenuta un attore politico importante ha cercato uno sbocco al mare, soprattutto in epoche passate, quando tale sbocco era molto più importante che adesso. La cosa più facile era penetrare in Montenegro, che aveva un’identità etnica simile e condivideva con la Serbia la lingua e la fede. Nel corso dell’ ‘800 è stato il Montenegro a pensare di poter inglobare la Serbia, ma poi naturalmente, è stata la Serbia, molto più grande, che ha finito per inglobare il Montenegro. Tra i due stati e le due comunità c’è un rapporto di " parenti serpenti", ci sono molti elementi che collegano ma anche molti interessi e questioni politiche che separano. Comunque, i serbi che vivono in Montenegro non devono essere visti come una gruppo pericoloso per lo stato in cui vivono. I rapporti miglioreranno sicuramente man mano che anche la Serbia farà passi in avanti. Bisogna razionalizzare la storia, non seguire l’esempio della mitizzazione della battaglia del Kosovo. E’ ovvio che se si guida la macchina guardando sempre nello specchietto retrovisore prima o poi si finirà per schiantarsi, e ci si può fare molto male.

"Storia del Montenegro. Dalle origini ai giorni nostri", pp.542, Editore Rubattino (2007).

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