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Dalla terra bosniaco erzegovese

La terra è buona e il clima favorevole, ma i lavoratori agricoli della Bosnia parlano di ostacoli allo sviluppo rurale del paese. Al primo posto, naturalmente, la frammentazione istituzionale, ma anche la mancanza di leggi adeguate sull’accesso ai mercati interni ed esteri

29/10/2010, Anna Brusarosco - Sarajevo

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La crescente attenzione verso il tema dello sviluppo rurale ha portato le varie istituzioni internazionali tuttora presenti in Bosnia Erzegovina a trattare la questione producendo numerosi documenti sul tema. Ad esempio, nel 2004 la Commissione Europea ha finanziato uno studio sul settore agricolo in Bosnia Erzegovina, centrato principalmente sugli aspetti amministrativi. Nel 2005 l’IFAD (‘International Fund for Agriculture and Development’) ha realizzato uno “Country Strategic Opportunities Paper” in cui sottolinea come la povertà nel Paese sia principalmente un fenomeno rurale, con circa l’80% dei poveri residenti in zone di campagna. Nelle strategie paese della Banca Mondiale, le questioni legate all’agricoltura sono sempre prese in considerazione.

A livello nazionale la “Strategia per lo Sviluppo della Bosnia Erzegovina”, elaborata quest’anno dalla Direzione per la Pianificazione Economica, individua tra gli obiettivi strategici l’agricoltura, l’alimentazione e lo sviluppo rurale, stabilendo priorità di intervento e misure da attuare. Anche l’Ufficio della Cooperazione Italiana a Sarajevo, nel 2008, ha preparato un documento strategico in cui individua le principali problematiche del settore agricolo in Bosnia Erzegovina.

Ma, al di là delle analisi e della retorica ufficiale, qual è il punto di vista di chi di agricoltura vive oggi in Bosnia? Quali sono gli ostacoli che incontra chi tenta di costruire, giorno dopo giorno, lo sviluppo rurale sul proprio territorio? Una serie di interviste a piccoli produttori e rappresentanti di associazioni del settore agricolo, coinvolti in progetti di sviluppo rurale realizzati da ONG italiane, ci dà una panoramica sullo sguardo locale a queste problematiche.

La mancanza di altre opportunità viene messa in evidenza dalla maggior parte degli intervistati. L’agricoltura viene considerata l’unica attività possibile, anche da chi prima faceva un altro lavoro. Zdravko Grozdanović, allevatore a Derventa, per esempio, prima della guerra lavorava come operaio specializzato in un’industria di Slavonski Brod, in Croazia. Dopo la guerra, racconta Grozdanović, non c’era più lavoro, e quindi ha pensato di attivare un’impresa agricola vicino a casa sua. Grozdanović ritiene che oggi l’agricoltura sia la risorsa principale per lo sviluppo del Paese. “Altre risorse non ci sono qui. C’è qualche piccola industria, che al massimo dà lavoro a 50 persone. I grandi impianti, quelli che una volta avevano anche mille addetti, ormai non sono più attivi”.

I problemi, per chi ha deciso di puntare sull’agricoltura, sono però tanti. Non si tratta della mancanza di risorse sul territorio: i suoli sono buoni, il clima favorevole, il Paese è ricco d’acqua. I terreni, però, sono generalmente di piccole dimensioni. “Nei piccoli appezzamenti non è possibile applicare l’irrigazione e la produzione intensiva. E i proventi sono quindi limitati" sostiene Elvedin Čolaković, direttore dell’Associazione di produttori ‘Ecoline‘, creata grazie ad un progetto delle ONG italiane CEFA, ARCS e COSPE in Erzegovina.

Dalle risposte raccolte, sembra tuttavia che il problema principale sia soprattutto di natura politica: ciò che manca è il supporto dalle istituzioni, sia in termini di leggi adeguate a regolare il settore, che di sovvenzioni e supporto economico ai produttori. Questi si sentono infatti spesso abbandonati dalle istituzioni.

Milenko Mastikosa, piccolo produttore di mele di Oštra Luka, lamenta il fatto che, nonostante le autorità spingano le persone a occuparsi di agricoltura, “poi purtroppo non abbiamo un supporto concreto da parte della comunità locale, non abbiamo il sostegno del cantone, da nessuno. Le sovvenzioni sono quasi niente”.

Ancora Čolaković sottolinea che: “In Bosnia Erzegovina non esiste un Ministero dell’agricoltura statale, la cui funzione sarebbe quella di stabilire una strategia di sviluppo agricolo nel Paese e la collaborazione con gli altri Stati”. Il budget dedicato al settore è molto ridotto: “Un investimento davvero piccolo, un aiuto minimo alle persone perché semplicemente si stimoli lo sviluppo di determinati rami dell’agricoltura”.

Ci sono anche  differenze nell’impegno concreto verso i produttori nelle due entità. Il Ministero dell’agricoltura della Repubblica Srpska, per esempio, ha partecipato al progetto dell’ONG italiana UCODEP “Tutela e valorizzazione dei prodotti agricoli tradizionali di pregio dell’Erzegovina” fornendo una parte dei fondi necessari al restauro di piccoli laboratori di produzione del formaggio nel sacco. Non risulta, invece, un impegno analogo da parte della Federazione di Bosnia ed Erzegovina.

Pare che, a livello statale, non solo non venga fornito un supporto adeguato per i piccoli produttori, ma venga anche ostacolato il loro lavoro attraverso gli adempimenti burocratici richiesti.

Edhem Softić, veterinario di Bosanski Petrovac e referente locale per un progetto della Caritas Italiana, racconta a questo proposito che “ il carico che viene richiesto ai cittadini da parte delle istituzioni è troppo pesante. Se qualcuno volesse fare tutto in modo regolare al 100%, non ne verrebbe più fuori”. Anche Salko Muratović, presidente della Cooperativa Agricola “Behar”, partner della ONG Re.Te. a Breza, conferma che spesso la burocrazia rappresenta un serio problema. La cooperativa, infatti, aveva tentato di aprire una piccola erboristeria dove vendere erbe raccolte nei boschi attorno al paese, ma ha dovuto rinunciare al progetto per le troppe richieste da parte delle autorità del cantone, tra le quali la presenza stabile di un agronomo.

L’inadeguatezza delle leggi attualmente vigenti si riflette anche sulla questione delle importazioni incontrollate, riportata da numerosi intervistati. “La Bosnia Erzegovina ha sottoscritto un accordo sul libero mercato con la Croazia e con la Serbia", spiega Čolaković. "Tuttavia, cosa succede? La Croazia esporta frutta e verdura in Bosnia. La Serbia pure esporta in Bosnia. La Bosnia Erzegovina, però, difficilmente può esportare in Croazia e in Serbia a causa di barriere doganali e standard di qualità che non riusciamo a rispettare. Noi siamo aperti all’importazione della merce dalla Croazia e dalla Serbia, paesi nei quali, però, i nostri produttori non possono raggiungere il mercato”.

Anche l’esportazione verso l’Unione Europea è molto difficile, sia per questioni legali, che di standard e competitività dei prezzi, limitando gli sbocchi commerciali per i prodotti bosniaci. Softić, a questo proposito, racconta: “Un nostro produttore difficilmente può essere concorrente di un produttore europeo: esportare è quasi impossibile, mente importiamo sempre più spesso dall’Europa. E questo funziona per ogni tipo di produzione. Ad esempio, nel territorio della municipalità di Bosanski Petrovac, ogni anno vengono allevati circa 800mila polli, ma oggi molti produttori sono in crisi e alcuni stanno per chiudere. Allo stesso tempo, però, importiamo polli dall’estero!”.

L’accesso al mercato, sia estero che interno, è quindi uno dei problemi più sentiti dai produttori. La mancanza di standard di produzione allineati a quelli dell’Unione Europea, come abbiamo visto, limita le esportazioni. Allo stesso tempo, mancano ancora leggi che tutelino e valorizzino i prodotti tipici, come il formaggio nel sacco dell’Erzegovina o il formaggio trappista prodotto dall’azienda agricola Livac, gestita dalla Caritas bosniaca, in collaborazione con il monastero trappista “Marija Zvijezda” di Banja Luka. Secondo Draženko Budimir, direttore della Livac: “stiamo cercando il modo di proteggere il marchio della nostra produzione. Purtroppo però in Bosnia Erzegovina per questo non c’è ancora una legge ad hoc”.

Le produzioni agricole bosniache sono poco competitive anche per la mancanza di attrezzature e limitata meccanizzazione, che fanno aumentare i costi di produzione. Miodrag Lukić, piccolo allevatore di Bosanski Petrovac, ha ricevuto dalla Caritas Italiana un contenitore per il latte, latte che ora viene venduto alla Meggle, multinazionale casearia con una filiale a Bihać. Questo ha permesso un generale miglioramento delle condizioni di vita della famiglia, che con il tempo è arrivata ad avere dieci mucche. Oggi vorrebbero crescere ancora, ma per farlo avrebbero bisogno di alcuni macchinari in più, che non si possono permettere. Miodrag ha due figli piccoli, che iniziano ad andare a scuola, quindi le spese in casa sono aumentate e al momento la famiglia Lukić non riesce a trovare i fondi per i macchinari.

Alla base delle difficoltà c’è anche un problema di difficile accesso al credito, come ci riporta Dragan Drvendžija, presidente dell’Associazione dei produttori agricoli di Nevesinje: “Tutte le banche in città di solito cercano due persone di garanzia. Ma qui non riesci a trovare garanti, puoi soltanto ipotecare la casa”.

Alcuni intervistati hanno avanzato poi il problema della carenza di infrastrutture. Ljubomir Vulin, vicesindaco di Oštra Luka, riconosce la rilevanza della questione: “Tante strade rimangono senza asfalto perché in tempi brevi non abbiamo le risorse per poterle sistemare. A volte manca anche l’energia elettrica, non c’è una rete elettrica sviluppata che arrivi a tutti”. Ancora una volta, quindi, entra in gioco l’incapacità delle istituzioni di rispondere ai bisogni delle comunità in modo efficace.

Nonostante l’importanza attribuita al settore rurale per l’economia del paese, riconosciuta dai documenti ufficiali elaborati dalle istituzioni internazionali, le autorità bosniache stanno dunque facendo poco nel concreto. Le diverse situazioni nelle due entità possono inoltre provocare ineguaglianze nello sviluppo e l’assenza di un Ministero dell’agricoltura a livello statale aggrava il problema.

Ciò che serve davvero allo sviluppo rurale in Bosnia Erzegovina, quindi, è un rafforzamento dell’impegno da parte delle istituzioni. L’auspicio è che i nuovi governi usciti dalle elezioni del 3 ottobre scorso si impegnino a dare finalmente delle risposte efficaci in questo settore

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