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Da Facebook alle strade di Baku

Giovani attivisti e membri dell’opposizione azera hanno dato inizio a una nuova ondata di azioni di protesta. Alla base di questo movimento, vi è una struttura organizzata informalmente, senza dei leader o un’agenda precisa, ma unita nel chiedere più libertà e le dimissioni di chi è al potere. Le autorità hanno reagito a proteste che troppo da vicino ricordano quelle della "primavera araba" arrestando attivisti online e reprimendo le manifestazioni di piazza

03/05/2011, Arzu Geybullayeva - Baku

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In marzo, un gruppo di giovani internauti ha creato un evento su Facebook per l’11 di marzo: il “grande giorno del popolo” (“Great People’s Day”). Nel giro di poco tempo, il gruppo ha raccolto migliaia di sostenitori (oltre 4.000), non solo fra studenti e attivisti, ma anche fra i membri dell’opposizione. La pagina Facebook invitava il popolo azero ad unirsi nell’esigere un cambio di regime. Si trattava di una struttura organizzata informalmente, senza dei leader o un’agenda precisa: una piattaforma di discussione per giovani attivisti indipendenti, studenti e membri dell’opposizione. Per la prima volta un’azione di resistenza non violenta organizzata in questo modo invitava il regime azero alle dimissioni.

La reazione del governo era inevitabile. A qualche giorno dall’evento, vari sostenitori del governo hanno hanno cercato di squalificarlo accusando i suoi creatori di essere agenti al soldo dell’Armenia o di “potenze internazionali”. Lo psicologo più in vista del paese, Geray Gerabeyli, è arrivato a dichiarare che l’uso di social network sarebbe sintomo di problemi psicologici e di rifiuto del mondo reale. Peccato che lo stesso presidente azero sia molto attivo su Twitter e abbia persino un canale YouTube.

Queste reazioni non erano che i primi segnali di quello che sarebbe successo dopo l’undici marzo. Gli arresti sono cominciati poco dopo che le autorità avevano notato la pagina Facebook, a partire da membri delle sezioni giovanili dei partiti d’opposizione come Musavat e altri attivisti. Anche Bakhtiyar Hajiyev, laureato ad Harvard, attivista e candidato alle elezioni parlamentari di novembre 2010, compariva fra i creatori della pagina Facebook; è stato arrestato a marzo ed è attualmente in attesa di processo. Nonostante le autorità si siano affrettate ad attribuire l’arresto di Hajiyev all’evasione dell’obbligo di servizio militare, lui stesso ed altri giovani attivisti sono certi che la causa sia stata il suo attivismo online.

Se le autorità pensavano che diverse dozzine di arresti e intimidazioni avrebbero zittito le voci dissenzienti e il crescente scontento, si sbagliavano. Il 12 marzo le proteste sono continuate, questa volta ad opera del partito d’opposizione Musavat. Per la prima volta dal 2005, l’opposizione è scesa in piazza nella capitale a chiedere le dimissioni del regime in carica. La polizia ha brutalmente disperso i manifestanti, dipingendo le proteste come l’ultimo sussulto di un’opposizione in disfacimento e ricorrendo di nuovo ad arresti, incarcerazioni, intimidazioni e percosse.

Nuove proteste erano previste per il 2 aprile con il nome di “Giorno della Furia”, ("Day of Rage"). La descrizione sulla pagina Facebook diceva: “Il popolo azero mostrerà il proprio sdegno contro il regime dittatoriale che schiaccia, umilia e viola i diritti dei cittadini”. La campagna era organizzata da Public Chamber – un insieme di membri dell’opposizione, politici indipendenti e attivisti delle ONG. La polizia ha stimato circa 350 partecipanti mentre l’opposizione ha dichiarato che i presenti erano 4-5.000. Ma una cosa è certa: le autorità azere hanno praticato la tolleranza zero verso i “disobbedienti”. La polizia è stata ancora più brutale rispetto all’undici marzo. A chi protestava ha risposto con calci, manganellate, proiettili di gomma, lacrimogeni e percosse. Le richieste dei manifestanti erano le stesse: dimissioni, fine della corruzione e libertà.

Le proteste più recenti ("Great Unity Day"), organizzate da Public Chamber, hanno avuto luogo il 17 aprile e, ancora una volta, sono state severamente represse dalla polizia. Centinaia di persone sono state trattenute ed arrestate. In questo video, la polizia arresta alcuni passanti del tutto estranei alle proteste, fra cui anziani e persone molto giovani. “Libertà” e “dimissioni” erano le parole più invocate.

Proteste artificiali e insignificanti

La linea del governo è rimasta invariata: negare la brutalità della polizia e sminuire l’importanza delle proteste. Mubariz Qurbanli, vice segretario del partito di governo, ha dichiarato di non aver notato molti poliziotti, a parte quelli di ronda che facevano il proprio lavoro e tutelavano la sicurezza dei residenti. “Non ho visto alcuna manifestazione. Alcuni radicali hanno tentato di protestare fuori dagli spazi designati, quindi la polizia era lì solo per impedire atti illegittimi”. Ha poi aggiunto: “Il gruppo che si fa chiamare Public Chamber non è che un’organizzazione vuota e insignificante”.

Altri sostenitori del governo come Bakhtiyar Aliyev, vice assistente della Commissione parlamentare Scienza e Istruzione, interpreta le recenti proteste come un tentativo di ostacolare lo sviluppo democratico del Paese mettendone in gioco la stabilità con una resistenza artificiale.

Eppure, mentre si etichettano queste proteste e i loro organizzatori come artificiali e insignificanti, le misure prese non sono poche. Elnur Majidli, attivista azero residente a Strasburgo e fra i promotori delle pagine Facebook, è stato accusato di un reato penale basato sull’articolo 281.1 del codice penale azero (“incitamento all’appropriazione violenta del potere”). Secondo Majidli, i suoi genitori e parenti sono stati sottoposti a pressioni, e suo padre è stato licenziato.

Le misure precauzionali hanno interessato anche stranieri: il 17 aprile tre giornalisti svedesi sono stati allontanati dal Paese perché non accreditati dal ministero degli Esteri azero. Come si vede nel video trasmesso da un canale svedese, sono stati trascinati via e portati in una stazione di polizia da uomini non in divisa che hanno rifiutato di identificarsi.

E adesso?

Probabilmente l’ondata di proteste è destinata a continuare, irritando ulteriormente il governo. Mentre il governo continua a dipingere l’Azerbaijan come un modello di democrazia, le voci alternative emergenti, seppur poche, continueranno ad esigere eguaglianza, libertà, un’economia libera e democrazia. Forse, dopotutto, il vento della primavera araba sta arrivando anche in Azerbaijan.

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