Croazia: welfare, oltre i principi
Sulla carta l’impianto normativo è ora adeguato seppur sia ancora lacunosa l’implementazione effettiva. In Croazia il welfare è sempre più competenza degli enti locali. Che però non hanno né risorse adeguate né strutture e personale qualificato per stare al passo con le previsioni legislative
Lo scorso maggio 2011 la Croazia ha approvato una nuova Legge sul Welfare Sociale (Zakon o Socijalnoj Skrbi), che, fissando i principi, ri-ordina il sistema nazionale introducendo importanti novità per quanto riguarda le competenze e i servizi nelle politiche di inclusione sociale.
La nuova legge è un passaggio fondamentale di avvicinamento a quelli che sono i principi e gli standard voluti dall’Unione europea sia in termini di contenuti che di organizzazione istituzionale e amministrativa nel settore delle politiche sociali. Come spesso accade però l’applicazione di riforme così importanti, seppur basate su principi condivisi, non è affatto scontata, la legge non è ancora applicata e il governo ha anticipato future modifiche non ancora ben definite.
Il contesto: dinamiche di decentramento
Provando a delineare, seppur sinteticamente in questo articolo, il percorso che ha portato a questa legge, bisogna sottolineare come essa sia parte di un generale processo di institutional building e di decentramento democratico che ha toccato tutti i settori della vita sociale e istituzionale della Croazia, seppur attraverso una forte spinta esogena, essendo stato diretto fino a qualche anno fa prevalentemente da linee guida di organizzazioni internazionali.
Come è successo in generale per altri stati nati dalla disgregazione della Jugoslavia, nelle particolari condizioni storiche che hanno caratterizzato buona parte della fine del secolo scorso, la priorità a lungo è stata la crescente esigenza di controllo del territorio nazionale. Era quindi promossa la deconcentrazione delle funzioni governative statali piuttosto che un decentramento amministrativo basato sulla delegazione e la devoluzione.
Il decentramento del sistema politico e amministrativo e il rafforzamento delle autonomie locali e regionali sono stati reinseriti nell’agenda politica croata a partire dal 2000, in particolare con l’approvazione nel 2001 della nuova Legge sulle autonomie locali e regionali, con la quale il legislatore ha razionalizzato un quadro normativo in precedenza frammentato, riconoscendo il processo di decentramento come uno strumento imprescindibile per lo sviluppo dei processi democratici.
La Costituzione della Repubblica di Croazia prevede due distinti livelli di autogoverno decentrato, quello locale composto da comuni e municipalità e quello regionale formato dalle contee. Comuni (općine) e città (gradovi) rappresentano il livello più basso nella gerarchia delle autonomie. (La distinzione tra comuni e città si basa sul numero di residenti: i comuni hanno meno di 10.000 abitanti, mentre le città hanno un numero di abitanti maggiore di 10.000.) Le Contee (županije) vengono definite come “unità regionali di autogoverno”. (Attualmente vi sono 20 contee più la città di Zagabria, il cui status di contea è stabilito dalla legge per il suo particolare ruolo di capitale.)
Le competenze delle Contee sono di due tipi, derivate (delegate dagli organi dello Stato), e originarie/autonome. La Costituzione, oltre ad aver posto le basi essa stessa per ulteriori future devoluzioni di responsabilità e competenze agli enti di autogoverno locale e regionale, prevede inoltre che gli enti di autogoverno locale gestiscano gli affari e le questioni che attengono alla sfera della giurisdizione locale con cui vengono soddisfatti in modo diretto i bisogni dei cittadini (tra cui ad es. la pianificazione urbana e territoriale, la manutenzione centri urbani e le questioni residenziali, i servizi comunali, sociali, l’assistenza sanitaria primaria, l’istruzione primaria, la tutela dei minori, la cultura, lo sport, etc.). Prevede che gli enti di autogoverno regionale gestiscano affari e questioni di carattere regionale (istruzione, sanità, trasporti e infrastrutture di trasporto, etc.). Le competenze elencate dalla Costituzione sono riprese dalla Legge sulle autonomie locali e regionali, e la normativa ribadisce che i comuni, le città e le contee gestiscono e decidono in modo autonomo sulle questioni che rientrano nella loro sfera di competenze.
Tuttavia, a questo nuovo impulso al decentramento non è seguito un sufficiente decentramento fiscale, e un sovradimensionamento del numero di enti locali (nel complesso più di 550 tra comuni e città) ha reso ancora più rilevante la dispersione delle risorse disponibili.
Appare dunque chiaro che, a fronte di competenze che sulla carta risultano ampie, permangono problemi organizzativi e sostanziali, tra i quali le capacità finanziarie insufficienti per far sì che le contee svolgano i compiti loro assegnati. In effetti anche l’ultimo Progress Report del 2011 dell’UE sulla Croazia sottolinea che il “progresso nel campo del decentramento amministrativo e fiscale dei servizi sociali rimane limitato”.
La riforma delle politiche sociali
In questo quadro generale, il percorso di riforme nel campo delle politiche sociali avviato dalla Croazia, che ha portato alla nuova legge, ha avuto un’accelerazione negli ultimi anni, e trova fondamento in un accordo sottoscritto proprio con l’Unione europea, il Joint Inclusion Memorandum (JIM).
Quest’ultimo è un documento firmato dal governo della Croazia e della Commissione europea nel marzo 2007, dopo un processo consultivo durato diciotto mesi. L’accordo fissa le principali misure politiche da adottare per tradurre gli obiettivi europei in politiche nazionali e fissa precisi passaggi, anche legislativi, per la sua implementazione.
Il JIM ha prodotto positivi cambiamenti nella politica di inclusione sociale in Croazia, tra i quali un maggiore livello di trasparenza verso i beneficiari e gli stakeholders, e un’attenzione mirata su alcuni argomenti, quali discriminazione, de-instituzionalizzazione e un mercato del lavoro inclusivo.
Progress report 2011
Proprio il Progress Report Croatia 2011 dell’Unione europea (citato sopra e pubblicato a fine ottobre 2011), ci permette di monitorare i passi avanti fatti in questi anni. Il report sottolinea come il seguito del Joint Inclusion Memorandum (JIM) sia largamente soddisfacente, citando proprio la nuova legge sul welfare sociale, che in particolare promuove l’inclusione attiva, un legame maggiore tra il settore dell’occupazione e quello dei servizi sociali, e lo sviluppo di un approccio di qualità dei servizi sociali, compresa la promozione di quality community-based services.
È stata anche adottata una Strategia per lo Sviluppo del Welfare Sociale (Strategy for Social Welfare Development) 2011–2016, che indica tra le priorità la decentralizzazione del sistema del welfare per aumentare l’efficacia dei benefici prodotti.
Nel report non mancano gli aspetti critici, tra i quali le politiche attive di non discriminazione che appaiono ancora non adeguate, sia per quanto riguarda i livelli occupazionali delle minoranze nazionali, sia in termini di inclusione lavorativa e accesso all’istruzione di persone con disabilità. In particolare “la consapevolezza pubblica dei diritti delle persone con disabilità rimane bassa, in particolare nelle aree rurali. I regolamenti inerenti le barriere architettoniche non vengono implementati”.
Un altro aspetto critico che emerge dal Progress report è la permanenza di significative disuguaglianze di salute tra le diverse zone del Paese, con alcune regioni, e aree rurali, particolarmente svantaggiate.
Il caposaldo: la responsabilità delle contee
Il tema delle disuguaglianze territoriali appare cruciale nell’analisi dell’impatto della nuova legge sul welfare che trova nella maggiore responsabilizzazione delle autonomie regionali proprio uno dei suoi capisaldi. La legge in particolare delega alle contee lo sviluppo della strategia dei servizi sociali, attraverso l’istituzione di un “consiglio regionale per gli interventi sociali” (Savjet za socijalnu skrb u županiji), al fine di pianificare e sviluppare una rete di servizi sociali e l’esercizio dei diritti, degli obblighi, delle misure e degli obiettivi di benessere sociale nei loro territori.
Non solo le contee sono individuate come soggetti protagonisti del nuovo sistema di welfare croato, ma nella fornitura di servizi sono previste espressamente le Istituzioni di assistenza sociale (Istituti regionali del welfare, attraverso i centri sociali a livello municipale, e i centri familiari), le comunità religiose, associazioni e altri enti, le persone fisiche come attività professionale all’interno della casa di famiglia, e le famiglie affidatarie.
In questo modo la nuova legge applica in maniera puntuale, almeno sulla carta, il principio di sussidiarietà, citato, tra gli altri, nell’Articolo 21 del Capitolo V “I Principi del Welfare Sociale”: “Il social welfare della Croazia è basato sui principi di sussidiarietà, equità, libertà di scelta e accessibilità, personalizzazione, inclusione di comunità, tempestività, rispetto dei diritti umani, integrità delle persone e non discriminazione”.
Dall’articolo 26 emerge invece l’importanza della de-istituzionalizzazione: “I servizi sociali sono forniti ai beneficiari, ogni volta che ci siano le condizioni, presso le loro case e/o nelle loro comunità attraverso forme non istituzionalizzate di cura e differenti fornitori, per migliorare la qualità della vita dei beneficiari e la loro inclusione nelle comunità”.
Dopo i principi l’applicazione
Ora, come detto sopra, alla dichiarazione e adozione dei principi, deve seguire un’importante azione sui territori, che non sembrano pronti ad affrontare le sfide che la nuova legge impone loro, e alcune criticità appaiono cruciali: la scarsità di risorse finanziarie; l’inadeguatezza, almeno in alcune contee, delle risorse umane disponibili sia in termini numerici che di preparazione; la difficoltà nel promuovere e rafforzare il network dei servizi sociali come richiesto dalla legge, poiché molte organizzazioni lavorano ancora per conto proprio e non sempre si riescono a costruire percorsi di collaborazione e integrazione dei servizi. Inoltre si riscontrano difficoltà nell’applicare i principi generali fissati dalla nuova legge in maniera omogenea nei vari territori che hanno problemi specifici e diversi livelli di sviluppo. Infine è importante menzionare la particolare situazione di alcune regioni (come quelle particolarmente segnate dal conflitto) nelle quali l’applicazione della legge richiede tempi più lunghi per la difficoltà di implementare alcune disposizioni in situazioni dove le persone hanno poca attitudine al cambiamento e dove c’è ancora diffidenza e va rafforzata la fiducia.
La legge al momento è comunque in una situazione di stand by, poiché non solo non sono state emanate le disposizioni attuative per le regioni, ma il nuovo governo guidato dal leader socialdemocratico Zoran Milanović, entrato in carica con la fiducia del Parlamento lo scorso 23 dicembre, ha deciso di procedere a una ri-organizzazione dei ministeri, separando il ministero delle Politiche Sociali e il ministero della Sanità, e rimettere mano alla legge, per la quale si attendono quindi ulteriori modifiche prima della sua applicazione.
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