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Croazia, verso la prima banca etica

Emigrazione, economia e futuro del paese alla vigilia delle europee. Sono i temi su cui abbiamo parlato con Goran Jeras, ideatore della prima Cooperativa per la finanza etica della Croazia

09/05/2019, Giovanni Vale - Zagabria

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Lo scorso 27 aprile, la «Cooperativa per la finanza etica» – la più grande cooperativa croata con oltre 1400 membri – ha festeggiato i suoi primi cinque anni di esistenza. Goran Jeras, un fisico di formazione e consulente finanziario di professione, è all’origine di questo esperimento croato. Dopo aver lavorato nei Paesi Bassi per sette anni, Jeras è rientrato a Zagabria nel 2013 con l’obiettivo di portare la finanza etica nel suo paese. Parliamo con lui di emigrazione, economia e futuro della Croazia alla vigilia delle elezioni europee. 

Tornare dall’estero in Croazia è una scelta controcorrente in questi tempi di emigrazione di massa. Perché lo hai fatto?

È stata una decisione graduale. Col passare del tempo ero sempre meno soddisfatto del mio lavoro come consulente nel settore bancario. Ero scioccato da come il mondo della finanza tradizionale funziona, seguendo solo la massimizzazione del profitto senza alcuna considerazione della sostenibilità. Così, nel 2010, ho iniziato a studiare la finanza etica e con alcuni amici ho elaborato un modello di banca etica che tiene conto di diverse buone pratiche già esistenti. Tre anni dopo, avevo qualche risparmio da parte, voglia di contribuire al mio paese e di testare il modello e sono rientrato. 

A Zagabria hai dato vita alla «Zadruga za etično financiranje» (ZEF), la Cooperativa per la finanza etica, che intende essere un trampolino verso la creazione della prima banca etica croata. A che punto è il progetto della banca?

Entro fine anno dovremmo ottenere la licenza da parte della Banca centrale croata. Abbiamo già avviato diversi tentativi in questi anni, ma ci siamo scontrati con difficoltà di ogni tipo, motivate soprattutto dal fatto che la politica della Banca centrale croata era fino ad ora quella di ridurre il numero di banche esistenti, non di aumentarlo. Ora però la situazione è cambiata, c’è più attenzione per un progetto come il nostro e la cooperativa, nel frattempo, ha assunto un peso rilevante.

Non ti sei dunque pentito della tua decisione del 2013?

No, assolutamente, anche se fin dal primo giorno i miei genitori mi hanno detto «tu sei matto» (ride). Io capisco perfettamente chi parte. In Croazia, c’è un’atmosfera depressa, si ha la percezione che non ci siano opportunità, quando invece la situazione non è così negativa. Questo paese ha un grande potenziale.

A cosa ti riferisci? Dov’è il potenziale della Croazia?

Partiamo dal settore bancario, che è quello che conosco meglio. La Croazia ha 30 miliardi di euro di depositi bancari. Il 50% di questi è usato dalle banche per finanziare prestiti ai consumatori, ovvero indebitando ulteriormente la popolazione. Un 20% circa va invece in prestiti alla pubblica amministrazione, mentre solo il restante 30% è investito nelle imprese. Ecco che in Croazia siamo convinti di essere poveri e di poter tirare avanti solo con i fondi europei e con gli investimenti diretti esteri, mentre potremmo usare in modo migliore i nostri depositi. Per non parlare del fatto che il 94% delle banche in Croazia sono straniere e che persino il governo non fa appello all’unica banca croata di rilievo, la Hrvatska poštanska banka (HPB). Una scelta poco strategica.

Altri esempi?

L’agricoltura. In Croazia un ettaro di terra arabile costa in media 2.400 euro all’ettaro. È un prezzo bassissimo: in Slovenia, a due passi da qui, siamo già a 17mila euro all’ettaro e ovviamente quello che cresce in Slovenia cresce anche qui. Perché non ci sono più investimenti nel settore? Potremmo poi parlare delle energie rinnovabili, sole, vento, biomasse… Questo paese ha tutte le caratteristiche necessarie per essere alimentato al 100% da energie rinnovabili. Eppure… 

Eppure molti hanno l’impressione che l’unico modo per migliorare la propria situazione sia lasciare il paese. Cosa dovrebbe fare l’esecutivo per smuovere le cose?

Innanzitutto, il governo dovrebbe dialogare con organizzazioni e imprese che hanno competenze e che potrebbero contribuire a scrivere leggi migliori. Un esempio che mi riguarda da vicino: l’esecutivo sta scrivendo la nuova normativa in tema di cooperative. La ZEF è la più grande cooperativa croata. Credi ci abbiano contattato per un incontro? Assolutamente, no. Dopodiché, servirebbe una strategia di lungo termine costruita su dati, su fatti. Al momento, la Croazia ha diverse, vaghe strategie generali che spesso si contraddicono. Serve più pianificazione, fatta in modo inclusivo.

Ad oggi, dove va l’attenzione del governo? Su quali settori si investe maggiormente?

Il turismo la fa da padrone. Parliamo di un quinto, un quarto del Pil croato. Un rapporto così sproporzionato non si vede in nessun altro paese europeo. Ma per l’esecutivo, pare, non è un problema. Non preoccupa la fragilità di un modello del genere, che in caso di una cattiva stagione turistica andrebbe in crisi. E anche volendo investire nel turismo, lo si potrebbe fare molto meglio. Meno del 30% degli introiti del settore rimangono in Croazia. Le catene di alberghi sono di proprietà estera e la maggior parte dei ristoratori comprano dall’estero tutto ciò di cui hanno bisogno. E questo perché manca un lavoro di sistema, non ci sono delle catene di domanda e offerta ben costruite. Con la ZEF cerchiamo proprio di fare questo: far sapere ad un’impresa X che la vicina Y produce proprio quello di cui ha bisogno. Spesso non serve andar lontano.

Malgrado le previsioni di crescita riguardanti la Croazia e pubblicate dalla Commissione europea, non sei ottimista per il futuro del paese?

Difficile dare una risposta secca. Sono pessimista quando penso che grossi dossier economici, come Agrokor o il futuro dei cantieri navali, continuano a non essere risolti, manca – ripeto – una strategia generale e costruita sui fatti. I problemi strutturali della Croazia rimangono e la nostra crescita è frammentata, poco sostenibile, basata ancora una volta quasi esclusivamente sul turismo. Dall’altro, sono ottimista quando guardo alle iniziative che spuntano sempre più frequentemente ai quattro angoli del paese. Ci sono persone magnifiche che collaborano, creano, usano nuovi metodi di finanziamento… Non se ne sa nulla o quasi perché mancano i canali per promuoverli ma prima o poi, il pubblico e quindi il governo si accorgeranno di loro e allora inizieranno a sostenerli. Purtroppo oggi, aspettare il supporto dell’esecutivo non serve a nulla.

Questo fermento di cui parli nel settore economico esiste anche nel mondo politico croato. Molti movimenti e partiti sono nati negli ultimi mesi. Il segno che le prossime elezioni europee potrebbero cambiare qualcosa?

Purtroppo, il croato medio vede l’Unione europea come qualcosa di astratto e di lontano. È più interessato alle politiche nazionali che a quelle decise a Bruxelles. Per cui, sì, ci sono molte iniziative nuove e io penso sosterrò proprio una di queste, ma temo che il loro impatto sarà limitato. Ci vuole tempo per costruire un’infrastruttura importante, anche a livello politico e per ora, le persone coinvolte sono poche. Le elezioni europee permetteranno però di far conoscere questi movimenti e magari di farli crescere in futuro.

Se dovessi mandare un messaggio ad un(a) giovane croato/a, cosa diresti?

Direi che andare all’estero è importante. Io ho imparato molto in Olanda, non avrei potuto cambiare il mio modo di pensare senza quella esperienza. È utile vedere come le cose funzionano in un paese più organizzato, serve a capire cosa è possibile fare qui. Poi, per costruire qualcosa qui, bisogna essere persistenti e non arrendersi al primo ostacolo. Io non mi pento di essere rientrato, anche se ciò mi ha richiesto molta pazienza. A distanza di anni, vedo che la cooperativa ha permesso di aprire il dibattito su temi di cui prima non si parlava minimamente. Siamo riusciti a dare il via ad un nuovo modo di pensare e anche se non abbiamo ancora potuto aprire la banca etica, abbiamo fatto dei passi avanti notevoli, cinque anni fa sembrava venissimo dalla luna. Insomma, si possono cambiare le cose. Il governo ci ripete in continuazione che «viviamo al di sopra delle nostre possibilità» e che per questo dobbiamo varare delle politiche di austerità. Io penso invece che la Croazia viva molto al di sotto del suo potenziale e che è tempo di cominciare ad usarlo a pieno.

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La finanza etica non è più un fenomeno di nicchia e non lo è neppure il microcredito che vede però caratteristiche molto diverse tra est ed ovest dell’Europa. Un approfondimento

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