Croazia, l’illusione del turismo
E’ stata sufficiente un’estate bagnata per metter in ginocchio l’industria turistica della Croazia e di conseguenza far scricchiolare l’intera economia del paese. Un’intervista all’economista Mislav Žitko, della Facoltà di filosofia di Zagabria
(Tratto da Novosti , pubblicato originariamente il 18 agosto 2014, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e Osservatorio Balcani e Caucaso)
La stagione estiva volge al termine. Cosa rappresenta il turismo per l’economia croata?
Il turismo per la Croazia rappresenta una boa, un riparo sotto il quale si ritiene si potrà sempre proteggersi. La Croazia ha la fortuna di avere una costa ricca di sole e solide infrastrutture turistiche ereditate dal periodo jugoslavo. Ed è una situazione che si ritiene si possa sfruttare all’infinito…
E’ per questo che tutti i governi guardano al turismo, che percepiscono come il solo settore capace di creare posti di lavoro e far affluire denaro dall’estero. E’ innegabile che abbia un impatto positivo sul nostro budget statale, ma poi, ogni anno, si rivela impossibile basare la crescita di tutto il paese su due o tre mesi estivi.
Come interpretare il panico scaturito da quest’estate piovosa? Non abbiamo alcun altro settore economico in grado di creare occupazione? Qualche settimana fa Bruxelles ci ha invitati a non mettere tutte le uova nello stesso cestino dopo però averci incitati a farlo per anni…
E’ pericoloso focalizzare tutta la propria economia su un unico settore, ed è una tendenza nella quale finiscono spesso i paesi in via di sviluppo. Prendiamo ad esempio il concentrarsi sull’esportazione di materie prime: economisti come Prebisch e Singer hanno mostrato le conseguenze a lungo termine per i paesi periferici che basano tutto sull’esportazione di materie prime e li hanno confrontati con i paesi del capitalismo avanzato che producono prodotti complessi a forte valore aggiunto.
L’industria del turismo è un settore troppo passivo, che orienta l’economia in particolare verso i servizi. Certo, tutto ciò apre numerose altre questioni: per esempio, è possibile gestire le nostre coste in un modo diverso dall’attuale? Come far fronte inoltre ai conflitti sociali che sono il risultato inevitabile dei cambiamenti dei modi di vivere legati al turismo di massa.
Ci si accusa incessantemente di non essere abbastanza bravi in questo campo, per esempio di non aver adottato misure in grado di ammortizzare le perdite legate alle forti piogge di luglio… la politica economica croata dipende dall’incertezza del meteo?
E’ difficile essere “bravi” se si dispone di un’unica freccia per il proprio arco. La politica economica croata è stata molto criticata in questi ultimi anni e le sue debolezze sono più o meno conosciute da tutti. Non vi è alcuna pianificazione politico-economica sul lungo termine, non si è mai intrapresa alcuna direzione reale verso una logica di sviluppo sostenibile.
E non si tratta di sfruttare ciò che già esiste, di sfruttare le risorse naturali senza alcuno sguardo verso l’avvenire. Se ciò non era ancora chiaro a tutti all’epoca del governo di Ivo Sanader, durante l’illusione di prosperità di quegli anni, oggi, in periodo di crisi, dovrebbe ormai esserlo. Sono in ballo disequilibri strutturali che pongono in svantaggio paesi periferici come la Croazia.
Recentemente avete pubblicato sul portale Bilten uno studio sulle famose riforme strutturali… Di cosa si tratta nello specifico? Come si pone la Croazia di fronte a questo tipo di aggiustamenti?
Prima della crisi i paesi al "centro" riuscivano facilmente a spostare le loro eccedenze sui propri conti correnti e questo ha permesso loro di entrare nel ruolo di prestatori. Dall’altra parte invece i paesi della periferia generavano sistematicamente dei deficit e questo li ha messi nella condizione di debitori.
Con l’arrivo della crisi i paesi che avevano risorse finanziarie sono stati di molto privilegiati sui mercati. E le élites europee non hanno tentato di trovare un meccanismo d’aggiustamento simmetrico. La politica attuata è stata basata sulla premessa che la periferia doveva essere punita per il suo “peccato originario”: l’indebitamento attraverso i “debiti sovrani”.
Si infine arrivati a ciò che Fisher chiamava la deflazione attraverso il debito: in una situazione in cui i governi dei paesi periferici hanno le mani legate in materia di politica monetaria e di budget, il mercato del lavoro diviene il luogo privilegiato dell’aggiustamento economico. Un rapido sguardo all’indietro ci mostra che questa situazione non può andare avanti molto senza che scoppino gravi conflitti sociali.
Nello scritto citato poco sopra parlate anche di una “sospensione della democrazia” causata da questi aggiustamenti strutturali. Attualmente è divenuto quasi normale che alcune istanze democratiche vengano ridotte o dimenticate e ci stiamo abituando sempre più ad un dominio assoluto della Commissione europea…
Entrando nell’Unione europea la Croazia ha accettato di entrare a fare parte di un meccanismo economico le cui componenti principali sono i deficit eccessivi e i disequilibri macroeconomici. Si può inoltre individuare una tendenza a fare di queste decisioni strutturali strategiche obiettivi che vanno oltre le questioni economiche per immischiarsi in tutti gli strati dell’apparato sovranazionale.
Il deficit democratico era individuabile anche prima della crisi ma sembra oggi ancora più pronunciato. Dopo la perdita della sovranità monetaria la responsabilità della crisi finanziaria sembra completamente piazzata sulle spalle della popolazione attiva.
In questo contesto sembra ragionevole parlare di un capitalismo non-democratico su tutto il territorio dell’UE e dell’eurozona, piuttosto che di un deficit democratico nella sola Croazia. Gli stati non hanno più alcuna garanzia da parte della Banca centrale che il loro debito sarà monetizzato. L’adozione di decisioni su queste questioni cruciali dal punto di vista economico e politico scappa sempre più a decisori eletti per spostarsi verso organismi che non hanno legittimità democratica.
E’ un dato di fatto che i media celebrano spesso l’inizio di una procedura per eccessivo indebitamento, come se questa potesse riuscire a razionalizzare o disciplinare i paesi che sarebbero incapaci o poco ragionevoli. Certo, può portare ad un riequilibrio delle finanze pubbliche di uno stato, ma a che prezzo? La vera questione è quella di definire il processo politico nel quadro del quale la democrazia e il dibattito pubblico democratico devono diventare qualcosa diverso da una semplice facciata.
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