Croazia, le reazioni ai rifugiati
Mentre l’attenzione internazionale sulla rotta balcanica è andata progressivamente scemando, Zagabria si è trovata per la prima volta nella sua giovane esistenza di stato nazionale a confrontarsi con un massiccio afflusso di profughi provenienti da paesi extra-europei
L’idea di un’Europa unita sarebbe morta nel fango della no man’s land in cui rimangono intrappolati i profughi al confine tra Serbia e Croazia, sulle recinzioni di filo spinato erette ai confini con l’Ungheria, sui carri armati alla frontiera tra Slovenia e Croazia, ha scritto Tomislav Jakić sul settimanale Novosti. Come nel resto d’Europa il 26º anniversario della caduta del muro di Berlino si è svolto completamente sotto traccia e in Croazia è stato seguito a ruota dall’annuncio del premier sloveno Miro Cerar dell’inizio della costruzione di una barriera ai confini sloveno-croati.
Mentre l’attenzione internazionale sulla rotta balcanica è andata progressivamente scemando, Zagabria si è trovata per la prima volta nella sua giovane esistenza di stato nazionale a confrontarsi con un massiccio afflusso di profughi provenienti da paesi extra-europei. E il modello attraverso cui questo incontro è avvenuto ha finora portato la Croazia a differenziarsi parzialmente dal blocco dei falchi dei paesi centro-europei, un elemento sul quale è possibile riflettere nell’analisi dei modelli di reazione di società relativamente chiuse al contatto con l’Altro.
Profughi ed elezioni
La crisi dei profughi ha fatto irruzione nella campagna elettorale croata, facendosi largo nel discorso dei maggiori partiti politici. L’HDZ ha gridato all’invasione e ai possibili danni per il turismo e ipotizzato una possibile chiusura delle frontiere sul modello dell’Ungheria, che è stata visitata dalla presidente Kolinda Grabar Kitarović a pochi giorni dall’erezione del muro al confine con la Croazia. Dall’altra parte l’SDP del premier Milanović si è ripetutamente fatto vanto della gestione dell’ondata di arrivi.
In Croazia, a un paio di mesi dall’inizio della crisi, la questione dei profughi ha sì assunto un colore politico – con i due maggiori politici che hanno assunto linee marcatamente diverse – ma non è stata strumentalizzata al livello che si sarebbe potuto temere. Piuttosto, la coalizione al governo ha costruito una narrazione collettiva incentrata sull’efficienza e sull’umanità della Croazia rispetto al trattamento dei profughi, spesso in contrapposizione all’estremo negativo rappresentato dall’Ungheria. Così il ministro dell’Interno Ranko Ostojić si è recato ripetutamente nei due campi principali di Opatovac e Slavonski Brod anche nei momenti di più acuta emergenza mentre i vertici del paese si sono più volte espressi contro la costruzioni di muri e barriere. L’agone politico non ha calcato la mano e la xenofobia dal basso non è decollata. Il che potrebbe essere interpretato come un esempio di come il razzismo non sia un frutto avvelenato del contatto con l’Altro ma un fenomeno che necessita di essere coltivato.
Tuttavia, la volontà di contenere le possibili tensioni da parte del Partito socialdemocratico non ha impedito che si portassero all’estremo lo scontro tra la Croazia e la Serbia, accusata, dopo la chiusura della frontiera con l’Ungheria, di fare affluire un numero incontrollato di profughi, in un’escalation fino alla momentanea chiusura delle frontiere. Un passo che, come dichiarato da Marinko Čulić a Radio Slobodna Evropa, non sarebbe estraneo a calcoli elettorali e alla speranza di ottenere voti alzando lo scontro con i vicini serbi, alla luce dei tentativi dell’SDP di giocare la carta nazional-patriottica.
Inoltre, un ruolo non marginale è stato senza dubbio giocato dalla Chiesa cattolica che ha pur mantenuto nel suo seno posizioni ambigue. “Glas koncila”, l’organo dell’arcivescovado croato, ha ospitato un editoriale che presentava l’arrivo dei profughi come una minaccia per l’identità culturale e religiosa dei paesi europei, concludendo con una difesa delle politiche ungheresi. Esistono opinioni diverse su come dovrebbe comportarsi la chiesa croata, tradizionale alleata della destra, ma i suoi vertici devono – più o meno esteriormente – uniformarsi alla linea di solidarietà imposta da papa Francesco.
Intolleranza sui social media
Il discorso xenofobo è comparso soprattutto sui social media ed è stato a più riprese denunciato sul portale index.hr . Sui muri di alcune città sono comparsi grafiti aggressivi verso i profughi. A Zagabria si è verificata un’odiosa aggressione contro uno studente di colore all’uscita di uno spettacolo nell’ambito del Festival teatrale internazionale per i non vedenti. Non sono mancate nel dibattito pubblico dichiarazioni intrise di razzismo nei confronti dei profughi, tra le quali è spiccata quella del generale Branimir Glavaš, fondatore del partito Alleanza democratica croata della Slavonia e della Barania (HDSSB) e già condannato per crimini di guerra. Glavaš ha affermato che la Slavonia non deve trasformarsi in una discarica per i profughi, paventando il fatto che l’Unione Europea avrebbe “scaricato” circa 400.000 tra i profughi meno appetibili in Croazia.
Esistono nella società croata dei settori – particolarmente rumorosi – caratterizzati da derive xenofobe e ultra-nazionaliste e l’istigazione all’odio etnico o religioso è una delle costanti che affligge la Croazia a venti anni dalla fine della guerra, un fenomeno spesso tollerato in manifestazioni ufficiali o nel discorso pubblico. Tuttavia, a differenza che in altri paesi, una reazione sciovinista su larga scala non è seguita all’afflusso dei profughi. Piuttosto, come ha affermato in un’intervista al settimanale Novosti lo storico Hrvoje Klasić, la maggior parte delle espressioni di intolleranza nel discorso pubblico si sono verificate non tanto verso coloro che transitano attraverso la Croazia quanto verso le politiche messe in atto dal governo che metterebbero a rischio gli interessi nazionali.
Società civile croata
Dall’altra parte evidente è stata la prova di solidarietà messa in atto dalla società croata, sia in termine di donazioni di fondi e materiali, con centri di raccolta sorti anche fuori dalle maggiori città, sia in termini di aiuto concreto fornito dai volontari nella logistica dei centri di raccolta, nei campi di transito e al confine per alleviare le sofferenze di questa umanità in cammino. A fare da coordinamento è stata in particolare l’Iniziativa Dobrodošli (Benvenuti), nata dal Centro per gli studi sulla pace (Centar za mirovne studije, CMS) che, oltre a organizzare i volontari sul campo e la raccolta e lo smistamento degli aiuti, ha indirizzato diversi appelli ai governi della regione a favore dell’apertura di corridoi umanitari che assicurino un sicuro transito dei profughi. Un ruolo particolarmente significativo è stato anche quello dell’Iniziativa Are you Syrious?, nata dal basso e anch’essa attiva nella raccolta di aiuti e nel coordinamento di volontari, anche a livello regionale.
“La risposta è stata positiva in termini sia di volontari sia di rapporti con le comunità locali nei territori dove si trovano i campi” ha raccontato Tea Vidović del CMS a Osservatorio Balcani Caucaso. I volontari, sia croati che stranieri, si alternano dall’inizio della crisi, prima nel campo di Opatovac poi in quello di Slavonski Brod. Con una forte preponderanza femminile (circa 80%), il loro profilo è trasversale: da studenti e disoccupati a professionisti in possesso di competenze specifiche – come traduttori o infermieri – che mettono al servizio dei profughi nel tempo libero. Molti sono stati spinti ad attivarsi a partire dalle proprie esperienze personali: alcuni sono stati profughi negli anni ’90, ci sono addirittura persone con legami familiari con la Siria risalenti al periodo jugoslavo.
“Importante è stata anche l’apertura di un dialogo con le comunità nel cui territorio si trovano i campi, una buona pratica nata nella municipalità di Kutina, che dal 2006 ospita un centro per richiedenti asilo e dove non si sono mai verificate grosse tensioni. Qui nel corso degli anni si sono tenuti numerosi incontri con la comunità locale che è stata inclusa e preparata” sottolinea ancora Tea Vidović. Anche all’inizio dell’odierna fase della crisi, il sindaco Andrija Rudić ha dichiarato che la città si sarebbe messa a disposizione ulteriormente per prestare aiuto ai richiedenti asilo.
Tuttavia, il fenomeno dei richiedenti asilo è diventato marginale rispetto al grande afflusso di persone. Se dalla chiusura della frontiera ungherese sono stati oltre 300.000 i profughi ad entrare in Croazia dalla Serbia, dal 2004 a oggi sono stati circa 5.000 i richiedenti asilo, dei quali solo 164 hanno effettivamente ricevuto l’asilo o una forma di protezione sussidiaria e molti di costoro hanno successivamente lasciato il paese. La Croazia si conferma dunque come un paese di transito, nel quale per ora quasi nessuno ha intenzione di fermarsi. Una condizione che potrebbe tuttavia cambiare qualora si arrivasse a un accordo europeo che implicasse delle quote di ridistribuzione dei profughi. Una presenza stabile di un numero di persone che potrebbe superare il migliaio potrebbe scatenare reazioni di rigetto più forti rispetto al semplice passaggio.
La situazione è al momento in fieri e l’erezione di nuove barriere alle frontiere Schengen potrebbe deviare i flussi e provocare nuovi blocchi e reazioni a catena, mutando anche la percezione dei profughi in Croazia. A ciò si aggiunga l’incognita dell’assetto post-elettorale che potrebbe modificare radicalmente le politiche di Zagabria verso i profughi. Tuttavia, secondo Tea Vidović, “se ci sarà una virata della politica contro i profughi, questa volta si troverà di fronte una massa più forte che potrà fare opposizione e offrire delle soluzioni costruttive. In questo senso è possibile affermare che i profughi abbiano aiutato la società croata ad immaginare la convivenza con l’Altro e a compattare diversi segmenti della società civile”.
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