Croazia, la zavorra del passato ustascia
La recente iniziativa popolare, indirizzata alla presidente della Repubblica, per l’introduzione nell’esercito croato del saluto ustascia “Per la patria pronti” ha sconvolto l’opinione pubblica del paese, confermando ancora una volta quanto sia persistente il retaggio fascista
Lo scorso 24 luglio l’opinione pubblica croata è stata colta di sorpresa da una notizia riguardante un’iniziativa popolare, a cui hanno aderito oltre 3.900 persone, con la quale si chiedeva alla presidente Kolinda Grabar Kitarović di sollecitare modifiche legislative affinché il motto ustascia “Per la patria pronti” [Za dom spremni] divenga il saluto ufficiale dell’esercito croato. La presidente ha respinto la richiesta, giudicandola una “provocazione”.
Tra i sostenitori di questa iniziativa vi sono numerosi personaggi pubblici, compresi alcuni accademici, l’attuale vescovo di Sisak e il vicario generale dell’Arcidiocesi di Zagabria, l’ex calciatore Josip Šimunić (noto per aver scandito lo stesso motto alla fine di una partita di qualificazione ai mondiali 2014), ma anche Zvonimir Šeparović, ex ministro della Giustizia dalle fila dell’HDZ e principale ideatore del ricorso per genocidio presentato dalla Croazia nel 1999 contro la Serbia (l’allora Repubblica Federale di Jugoslavia).
La storia
Il saluto “Per la patria pronti” fu ideato ed usato dal regime fascista e collaborazionista dello Stato Indipendente della Croazia (NDH) e nella suddetta forma non trova alcuna analogia nell’intera storia croata – un fatto confermato dalla stragrande maggioranza degli storici croati. Tale saluto veniva usato dagli ustascia che, seguendo l’esempio dei paramilitari nazisti (le famigerate SS), perpetravano l’ideologia razzista e genocidaria sul territorio dell’NDH. L’intera politica del regime ustascia, volta allo sterminio di serbi, ebrei, rom, antifascisti e tutti coloro che si opponevano alla sua dottrina, culminò nel più grande campo di concentramento nei Balcani, il lager di Jasenovac, dove tra il 1941 e il 1945 trovarono la morte più di 83 mila persone.
L’unica analogia con il suddetto grido ustascia riscontrabile nella storia europea sarebbero i saluti nazisti, “Sieg Heil” e “Heil Hitler”. In Germania un’iniziativa simile a quella sopracitata avrebbe indubbiamente suscitato reazioni negative molto forti, con probabili conseguenze penali per i suoi promotori, cosa che invece non è accaduta in Croazia.
Non ci si dovrebbe tuttavia stupire se fenomeni di questo tipo continuano a manifestarsi nella società croata.
Nonostante la grande maggioranza dei cittadini croati non simpatizzi con l’ideologia ustascia, fascista e nazista – né faccia riferimenti alla loro iconografia – una parte della società comunque lo fa. Si tratta di una cerchia limitata, ma rumorosa e presente sulla scena pubblica e sui media, specialmente sui social network. Vi sono molte pagine Facebook dedicate all’esaltazione dell’NDH nonché all’esaltazione del summenzionato calciatore Šimunić, severamente punito dalla Fifa per aver incitato nel novembre 2013 migliaia di tifosi presenti allo stadio Maksimir di Zagabria ad urlare il saluto ustascia. Poi vi è la Wikipedia croata che, nelle sezioni relative all’NDH, al regime ustascia e al suo ideatore Ante Pavelić, sta promuovendo un vero e proprio revisionismo storico, arrivando persino a catalogare Jasenovac sotto la voce “sabirni logor” [con questo termine si fa riferimento solo al campo di detenzione, senza che vi sia alcun cenno al campo di sterminio, ndt].
Lo slogan “Per la patria pronti” viene spesso scandito durante le partite di calcio e i concerti, e recentemente si è potuto sentire anche a Knin, in occasione della celebrazione del ventennale dell’operazione militare Oluja. Un altro evento controverso, che nel dicembre dello scorso anno aveva suscitato una forte reazione del Centro Simon Wiesenthal, riguarda la messa commemorativa dedicata ad Ante Pavelić che si tiene ogni anno, nell’anniversario della sua morte, in una chiesa nel centro di Zagabria. Un rituale che diventa l’occasione per elogiare il regime ustascia e relativizzare i suoi crimini.
Un altro aspetto del problema sta nel fatto che l’analogia tra il summenzionato saluto ustascia e gli altri saluti nazisti e fascisti non è mai stata ufficialmente riconosciuta, né è stato condannato il lascito del regime ustascia nella sua interezza. Oltre a quei pochi che nutrono atteggiamenti positivi verso la natura stessa del regime ustascia, vi sono molti, silenti ed apatici, che pretendono di affrontare il problema ignorandolo o approvando tacitamente l’attuale status quo, quindi assumendo un atteggiamento conformistico. Le cause di questo stato di cose devono essere ricercate nel periodo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale ai giorni nostri.
Bleiburg
Bleiburg, diventato il simbolo delle atrocità commesse nei confronti di ustascia e domobrani, ma anche dei loro sostenitori civili, con la fine della guerra rimase al di fuori dei confini della Jugoslavia, il che facilitò sia l’esaltazione dello stesso regime ustascia sia revisionismi di ogni tipo. Negli anni Novanta si finì per strumentalizzare quanto accaduto a Bleiburg come punto nevralgico della creazione dell’identità croata. Nessuna sorpresa, quindi, se fino al 2012 la commemorazione dell’anniversario di Bleiburg veniva organizzata sotto l’alto patrocinio del parlamento croato.
D’altra parte, nemmeno il regime socialista aveva contribuito a fare luce sul ruolo degli ustascia e di altri movimenti collaborazionisti operanti sul territorio jugoslavo, ostinato com’era nell’approcciare la scrittura della Storia esclusivamente dalla prospettiva del vincitore, evitando qualsiasi confronto con il passato. Mentre la società tedesca (soprattutto quella occidentale), dopo aver subito una dura sconfitta, seguita da una pace imposta, fu costretta a confrontarsi con il lascito del regime nazista e con il ruolo che vi ebbe, una simile catarsi mancò del tutto nella società jugoslava, preoccupata solo di come celebrare la lotta antifascista e la propria vittoria.
Il fatto che Josip Broz Tito non aveva mai visitato Jasenovac testimonia chiaramente l’assenza di qualsiasi volontà di confrontarsi con il passato, una sfida che spettava in primis alle più alte istanze politiche e statali.
Gli anni Novanta
Gli anni Novanta poi videro Franjo Tuđman rilasciare alcune dichiarazioni estremamente controverse sull’NDH che aprirono la strada alla riabilitazione del regime ustascia. Già in un suo discorso del 1990 egli dichiarò che “l’NDH non era solo una mera creazione ‘collaborazionista’ e un ‘crimine fascista’ ma anche l’espressione delle aspirazioni politiche del popolo croato ad avere un proprio stato indipendente”. Tuđman si era inoltre prefisso di promuovere la riconciliazione nazionale tra i discendenti degli ustascia e dei partigiani, tutto in nome del presunto benessere della neonata Repubblica croata. Arrivò persino a proporre che i resti degli ustascia uccisi (dai titini) e quelli delle vittime di Jasenovac venissero sepolti in una fossa comune proprio nel campo di Jasenovac, ispirandosi evidentemente all’esempio del generale Francisco Franco che mescolò le ossa dei paramilitari della Falange fascista con quelle dei partigiani repubblicani.
Non si trattava però solo di Tuđman poiché molti altri membri del suo HDZ pronunciavano discorsi revisionisti in modo ancora più esplicito, mentre alcuni partiti di destra, come ad esempio l’HSP (Partito croato dei diritti), esaltavano pubblicamente il regime ustascia, facendone propria la sua iconografia, ivi compreso il saluto “Per la patria pronti”. In quel periodo molte di queste attività venivano in larga misura tollerate perché ritenute un terreno fertile per mobilitare la popolazione croata in una guerra contro i serbi e contro la Jugoslavia.
Non meno rilevante è il fatto che tutta una serie di simboli ufficiali della Croazia democratica, come la bandiera e la valuta nazionale, sono in realtà stati presi a prestito, con modifiche minime, dal regime dell’NDH, facendo sì che i cittadini perdessero la dovuta distanza dall’iconografia ustascia. E non solo. Diventati di nuovo dominanti negli anni Novanta, alcuni dei principi cardine dell’NDH, in primis un forte anticomunismo e un altrettanto forte ancoraggio al cattolicesimo, risultano tutt’oggi attuali, per cui l’ideologia ustascia non di rado viene percepita come una specie di scudo protettivo, in grado di difendere l’identità nazionale e cattolica del popolo croato sia dai cetnici che dai partigiani, vale a dire dal nazionalismo serbo e dal comunismo.
Inoltre, le vicende belliche degli anni Novanta hanno fatto sì che gli eventi storici venissero letti in ordine rovesciato, cioè che gli avvenimenti della Seconda guerra mondiale andassero interpretati dalla prospettiva del conflitto più recente, sicché si finiva spesso per rappresentare il movimento ustascia come antiserbo, per cui necessariamente filocroato. Quei quattro anni della guerra, combattuta contro la Jugoslavia e contro i serbi della Croazia, hanno infatti spinto la popolazione croata ad essere molto meno compassionevole nei confronti dei serbi quali la maggiore vittima del regime ustascia.
D’altra parte, la propaganda degli ambienti intellettuali serbi, volta a sovradimensionare i crimini commessi dal regime ustascia (si parlava persino di più di mezzo milione di serbi uccisi a Jasenovac) ha finito per provocare una reazione altrettanto radicale da parte croata, dove a seguito di un’inchiesta parlamentare si è giunti alla conclusione che nel campo di Jasenovac trovarono la morte solo 2.000 persone, proseguendo quindi nel definire ogni atteggiamento di condanna del regime ustascia come un ‘fabbricato degli storici jugoslavi’ da sostituire con nuove interpretazioni revisionistiche.
Ai fini di far consolidare quest’autentica amnesia storica, popolare ed istituzionale, negli anni Novanta sono stati distrutti o danneggiati più di 3.000 monumenti dedicati alla lotta antifascista e alla memoria delle vittime dei crimini nazifascisti.
Oggi
Per quanto riguarda i giovani di oggi e la loro ignoranza sul carattere del regime ustascia, occorre sottolineare il ruolo del sistema educativo che continua ad essere tale da contribuire alla confusione delle giovani generazioni riguardo al lascito dell’NDH, sicché persino le visite scolastiche al campo di Jasenovac, autentico luogo di atrocità ustascia, sono diventate una vera rarità. Del resto la stessa comunità accademica, che nel passato fungeva da vera e propria incubatrice di idee revisioniste, continua ad accogliere tra le proprie fila gli storici ostinati nel negare che Jasenovac fu un campo di concentramento.
Quanto all’attuale scena politica croata, persino la stessa presidente Grabar Kitarović continua a dimostrarsi incoerente quando si tratta di condannare esplicitamente il regime ustascia, sicché ha dimenticato di accompagnare l’espressione del proprio rammarico per le vittime di Jasenovac con una precisazione riguardo all’identità degli esecutori, così come in occasione della commemorazione delle vittime di Bleiburg non ha menzionato che alcune di loro simpatizzavano con il regime ustascia o addirittura partecipavano attivamente ai suoi crimini. Ciononostante, durante una visita allo Yad Vashem, compiuta solo alcuni mesi prima, ha pronunciato un discorso esplicitamente di condanna nei confronti del regime ustascia, creando in questo modo ulteriore confusione.
Aspetti giuridici
Oltre a tutte queste ragioni storiche, politiche e sociali della mancata condanna del lascito ustascia, un’altra dimensione del problema è quella giuridica, nel senso che la vigente cornice legislativa, che dovrebbe rendere illecito ogni atto di apologia del regime ustascia, seppur preveda sanzioni per chiunque inciti all’odio e alla violenza o esponga i simboli che istigano a tali comportamenti, manca di esplicitare di quali simboli si tratti.
Il saluto “Per la patria pronti” non è illecito di per sé, per cui può essere sanzionato esclusivamente come atto di istigazione all’odio e alla violenza, e la decisione finale in merito spetta alla magistratura, mentre in Germania ad esempio, il saluto nazista “Sieg Heil” già di per sé costituisce un reato. In Croazia, inoltre, la stessa procura di stato esita nel comminare pene per questi reati, decidendo piuttosto di comminare condanne per violazioni di altre leggi, come accaduto nel caso Šimunić. Manca dunque la volontà di ricorrere a sanzioni penali che potrebbero trasmettere un chiaro messaggio alla società.
In assenza di un esplicito divieto del saluto ustascia, risulta possibile integrarlo nei brani musicali, come lo fa il cantante nazionalista Marko Perković Thompson, o negli emblemi associativi, come quelli dell’associazione dei veterani dell’HOS (ala paramilitare del partito ultranazionalista HSP durante gli anni ‘90) il cui stemma, bandiera e sigillo, formalmente approvati, contengono il motto “Per la patria pronti”, il quale è stato poi rimosso dalla polizia dal loro monumento a Spalato. Questa è comunque solo una delle associazioni, legalmente registrate, i cui statuti, programmi e simbologie contengono elementi dell’iconografia ustascia o dei concetti revisionistici.
La persistente mancanza di una chiara legislazione regolatoria ha inoltre fatto sì che in Croazia vi fosse più di una via che porta il nome di Mile Budak, ministro della Cultura e della Religione nell’NDH di Ante Pavelić, noto per aver dichiarato che la questione dei serbi nell’NDH avrebbe dovuto essere risolta in modo tale da “convertire un terzo al cattolicesimo, deportare un altro terzo, e uccidere quelli rimanenti”.
Solo sul finire del 2013 si è arrivati al divieto di denominare una via al 10 aprile, giorno in cui fu fondato lo stato ustascia, mentre fino alla metà degli anni 2000 aveva un proprio monumento anche Jure Francetić, comandante della Legione nera degli ustascia, rimosso per ordine diretto dell’allora premier Ivo Sanader.
C’è da dire infine che la Croazia non ha mancato di riconoscere il diritto alla pensione a coloro che presero parte attiva nella costruzione del regime ustascia, approvando un decreto sulle pensioni dei membri dell’“esercito patriottico croato del periodo 1941-1945”. Una designazione piuttosto vaga che in realtà sta ad indicare i membri dell’esercito dell’NDH, ustascia e domobrani, 9.000 dei quali al giorno d’oggi godono di una pensione in Croazia.
Tenendo presente che il problema del lascito ustascia affonda le sue radici nel profondo della realtà istituzionale e sociale della Croazia, non c’è da aspettarsi che la situazione cambi prossimamente. Piuttosto si assisterà – in un contesto contrassegnato da una prolungata crisi economica, dal riattualizzarsi della tensione tra maggioranza croata e minoranza serba e l’avvicinarsi delle elezioni – ad un ulteriore rinvio di qualsiasi autentico confronto con il passato ustascia, lasciato alla mercé di revisionismo storico, revanscismo politico e sciovinismo popolare.
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