Croazia, il doloroso confronto con l’Olocausto
27 gennaio, giorno della memoria. Le istituzioni croate si interrogano su come tramandare il ricordo di quanto avvenuto durante il regime di Pavelic. Presto un nuovo museo presso l’area memoriale di Jasenovac, ma alle manifestazioni pro Gotovina c’erano anche giovani con i berretti ustascia. Dal nostro corrispondente
Il 27 gennaio – giorno della liberazione del lager nazista di Auschwitz – gli studenti di tutte le scuole elementari, medie e superiori della Croazia parleranno per un’ora dell’Olocausto, e di come sia possibile trasmettere tolleranza e responsabilità, per il passato ed il futuro. Il Ministro dell’Educazione della Croazia, Dragan Primorac, si è rivolto in questo modo la settimana scorsa all’Ambasciatore israeliano Shmuel Meirom, sul luogo del lager di morte ustascia di Jasenovac, dove entrambi hanno partecipato alla presentazione del museo di prossima realizzazione.
Il presidente croato Stjepan Mesic ha recentemente lamentato il fatto che le giovani generazioni conoscono troppo poco l’Olocausto e quanto è accaduto nella storia recente della Croazia quando, durante la seconda guerra mondiale, sotto il regime ustascia di Ante Pavelic, nel paese furono sterminati in massa ebrei, serbi e rom.
"Se i giovani studiassero a scuola che cosa è stato il regime assassino e massacratore di Pavelic e della NDH Stato Indipendente di Croazia, ndt, non si metterebbero in testa il copricapo ustascia", ha dichiarato recentemente Mesic commentando il fatto che alcuni studenti delle superiori a Zara, durante la manifestazione di sostegno ad Ante Gotovina, nel dicembre scorso, si sono messi in testa il berretto ustascia.
Visitando Jasenovac nel marzo 2004, il premier croato Ivo Sanader aveva dichiarato che quel lager rappresenta uno dei più terribili luoghi di sofferenza della storia croata e che "per questo motivo non dobbiamo nè vogliamo tacere, così come non permetteremo che i crimini commessi a Jasenovac e altrove, al tempo del regime ustascia della NDH, vengano dimenticati".
"Una buona parte dell’opinione pubblica croata sa molto poco dei crimini commessi a Jasenovac, oppure ne ha un’immagine assolutamente distorta", ha sottolineato Slavko Goldstein, noto intellettuale ebreo e storico, persona che, durante la seconda guerra mondiale in Croazia, proprio nel lager di Jasenovac ha perso diversi membri della propria famiglia.
Goldstein ricorda che Jasenovac è stato il luogo di due tragedie. La prima è quella che si è verificata in quel lager ustascia dal 1941 al 1945, quando quello era il luogo della sofferenza e della morte. La seconda tragedia di Jasenovac, sostiene Goldstein, è stata la politicizzazione, manipolazione e messa all’asta del numero delle vittime e della storia.
La manipolazione del numero delle vittime ha oscillato fino alle 700.000, con le quali si voleva implicare il genocidio da parte dei Croati, afferma Goldstein, richiamandosi ad alcune fonti serbe che moltiplicano il numero reale delle vittime con l’obiettivo di mostrare l’intero popolo croato come genocida. Goldstein cita però anche l’esempio contrario, e cioè quando una commissione del Parlamento croato, ai tempi del regime di Franjo Tudjman, aveva minimizzato il numero delle persone uccise in quel lager ustascia, riducendole a 2.386.
L’Istituto statistico della ex Jugoslavia, già nel 1964 aveva condotto un’ampia inchiesta sui morti della Seconda guerra mondiale. Allora si era giunti al numero di 59.188 vittime del lager di Jasenovac. Nel corso di ulteriori verifiche, poi, si era accertato che a quel numero bisognava aggiungere una cifra variabile tra il 40 e il 60%, per ottenere il numero definitivo delle persone morte nel lager. Il demografo e esperto di statistica dell’Unesco, dr Bogoljub Kocovic, nel 1987 era giunto ad una cifra molto simile, mentre il demografo delle Nazioni Unite Vladimir Zerjavic, un anno dopo, al termine di un imponente lavoro d’inchiesta, aveva accertato il numero di 83.000 vittime. La maggior parte degli storici, oggi, fissa il numero approssimativo delle vittime di Jasenovac intorno alle 77.000.
In base a questi dati la maggior parte delle vittime, tra le 48 e le 52 mila, erano serbe; tra i 17 e i 18 mila sono stati invece gli ebrei uccisi a Jasenovac; circa diecimila vittime erano rom, mentre dodicimila circa erano croati antifascisti.
Anche la Croazia si è avvicinata a stabilire la verità sul numero delle vittime, e oggi l’elenco è così fissato intorno alle 70.000. Il loro vero numero, sostiene Goldstein, è piuttosto intorno alle 80.000, e questo è il dato oggi adottato anche dal Museo dell’Olocausto di Washington e dal Centro Simon Wiesenthal.
"Vogliamo che le vittime cessino di essere solo dei numeri, vogliamo che abbiano dei nomi", afferma Natasa Jovicic, direttrice dell’area-monumento di Jasenovac, nella quale prossimamente verranno iscritti, su 260 grandi lastre di vetro, i 70.000 nomi per ora riconosciuti delle vittime del campo di concentramento fascista di Jasenovac. Nel museo verranno esposti anche i documenti personali e gli oggetti appartenuti alle vittime, testimonianze dei loro destini individuali.
La scuola internazionale Yad Vashem, di Gerusalemme, ha recentemente inviato una lettera proponendo che l’ente che gestisce l’area-monumento di Jasenovac si faccia promotore della costituzione di una rete delle aree-monumento originali in Europa, per gli studi sull’Olocausto. Anche l’ambasciatore israeliano Meirom appoggia fortemente quest’idea; Meirom ricorda come la visita del presidente croato Mesic in Israele e al Memoriale di Yad Vashem, a Gerusalemme, nel 2001 e nel 2005, abbia dato un importante impulso ai rapporti tra i due paesi.
La Croazia, a causa della risvegliata simpatia nei confronti del regime ustascia di Ante Pavelic durante il potere di Franjo Tudjman (1990-1999), aveva rapporti molto freddi con Israele. Tudjman avrebbe voluto visitare Israele, ma non vi fu mai invitato. Proprio per questo aveva cambiato alcune parti del proprio libro, "Bespuca povijesne zbiljnosti", nel quale, secondo le recensioni, tentava addirittura di negare l’Olocausto.
Quando, meno di due anni dopo la morte di Tudjman, il presidente croato Stjepan Mesic si è recato a Gerusalemme, parlando alla Knesset di fronte ai parlamentari israeliani, si è scusato per i crimini commessi contro gli ebrei croati al tempo dello Stato Indipendente di Croazia (NDH) di Pavelic (1941-1945).
"Come presidente della Croazia voglio esprimere il profondo e sincero rammarico per i crimini commessi contro gli ebrei durante la seconda guerra mondiale nel territorio dell’entità collaborazionista denominata Stato Indipendente di Croazia, che non era né indipendente né croata", aveva affermato in quell’occasione Mesic al parlamento.
Sulla strada verso l’Unione Europea, l’odierna Croazia ufficiale riconosce i principi fondamentali del mondo civilizzato, che si basano sull’antifascismo e la condanna dell’Olocausto. Eppure, nella vita quotidiana, forse per l’eredità dei tempi di Tudjman, o per il fatto che nelle scuole non si studiano a sufficienza quelle pagine oscure della storia dell’umanità, alle quali durante la seconda guerra mondiale ha preso parte anche un numero consistente di croati, ci sono ancora persone che ritengono che a Jasenovac non sia accaduto nulla di terribile.
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