Croazia: al di sopra dell’opinione pubblica
È impresa ardua per cittadini e giornalisti della Croazia accedere ad informazioni che dovrebbero essere di pubblico dominio
(Originariamente pubblicato da H-Alter , media partner del progetto ECPMF)
In quale misura funziona il meccanismo volto a garantire all’opinione pubblica “il diritto di sapere”? Esattamente tre anni fa abbiamo richiesto informazioni su certi affari della Federcalcio croata (HNS), senza mai ottenerle. Esattamente due anni fa abbiamo chiesto di poter assistere, in veste di giornalisti, alle riunioni dei Consigli per la cultura, ma tuttora continuano a essere svolte a porte chiuse. Ci sono voluti ben due anni e mezzo affinché l’iniziativa di rendere pubblici alcuni contratti sullo sfruttamento di idrocarburi nei fondali marini croati desse i suoi frutti.
Questi, e altri casi simili, mostrano come l’élite croata lotti affannosamente affinché la sfera dei suoi interessi rimanga lontana dagli occhi dell’opinione pubblica.
Caso numero uno
Il 15 gennaio scorso si sono compiuti tre anni da quando i giornalisti di H-Alter hanno inoltrato alcune richieste ai vertici dell’HNS, richiamandosi alla legge sull’Accesso all’informazione pubblica. In particolare, abbiamo chiesto di poter visionare un contratto stipulato tra l’HNS e la società Agrokor del magnate croato Ivica Todorić, in base al quale quest’ultima era diventata lo sponsor principale della Federazione calcistica proprio alla vigilia dell’ultimo Campionato mondiale di calcio. Abbiamo inoltre richiesto l’accesso ai contratti di sponsorizzazione stipulati con altre aziende croate, alle informazioni sui finanziamenti ricevuti dallo stato, alle relazioni finanziarie e ai verbali delle riunioni del suo Consiglio di amministrazione.
I tre anni passati da allora sono stati particolarmente intensi per la Federcalcio croata: sono emerse gravi vicende di corruzione che hanno coinvolto la FIFA, sotto il cui ombrello opera l’HNS che, nel mettere in atto i suoi escamotage, compresi quelli oggetto del nostro interesse, ora rischia di rimanere senza il sostegno politico dell’Unione democratica croata (HDZ).
È ormai il quarto anno che l’HNS si rifiuta di fornirci le informazioni richieste e questo nonostante le nostre pretese non siano mai state giudicate infondate o insensate dagli organi competenti. Al contrario. La Commissaria croata per l’Informazione Pubblica Anamarija Musa ritiene che la Federcalcio debba essere considerata un ente pubblico che, come tale, ha l’obbligo di essere trasparente in conformità con quanto stabilito dalla legge sull’Accesso all’informazione pubblica. Dal momento che l’HNS ha ignorato ostinatamente le sue ripetute sollecitazioni affinché venissero soddisfatte le nostre richieste di accesso a determinate informazioni, la Commissaria ha deciso di presentare una denuncia contro la Federcalcio e il suo presidente Davor Šuker.
Il Tribunale municipale di Zagabria si è pronunciato a favore della Federcalcio e del suo dirigente, dopodiché, nel settembre 2015, l’Alta corte amministrativa ha confermato la sentenza d’assoluzione ma solo nei confronti di Šuker, rinviando la causa nella parte concernente l’HNS al tribunale di primo grado. Da allora, fino ad oggi, nulla si è mosso affinché venisse aperta qualche crepa nel bunker informativo della Federcalcio croata.
Caso numero due
Il 10 gennaio scorso si sono compiuti due anni da quando H-Alter ha invitato la Commissaria per l’informazione pubblica ad esercitare i poteri che le sono conferiti dalla legge affinché venisse consentito all’opinione pubblica di partecipare alle attività dei Consigli operanti presso il ministero della Cultura. Stando infatti alla normativa croata in materia di accesso all’informazione, gli enti pubblici sono tenuti a informare l’opinione pubblica sull’ordine del giorno e la data di svolgimento delle riunioni dei propri organi, sul loro modo di operare, nonché sulla possibilità di assistere direttamente alle loro attività.
I Consigli per la cultura istituiti a livello nazionale, così come la maggior parte di quelli operanti a livello locale, hanno sempre cercato di eludere questa norma contenuta nella legge sull’Accesso all’informazione pubblica, come anche quella prescritta dalla legge sui Consigli per la cultura, stando alla quale “le sedute dei consigli sono pubbliche”.
D’altra parte, il processo tramite il quale vengono assunte decisioni cruciali in ambito di politica culturale – che dovrebbe vedere coinvolti i Consigli fin dalla loro istituzione nel 2004 – è stato ed è ancora avvolto dal segreto, gravato da sospetti di trattamenti preferenziali, segnato da palesi conflitti di interesse, numerose insoddisfazioni (giustificate o meno), rapporti poco trasparenti tra i membri dei Consigli e il ministro competente di turno.
In un comunicato redatto nel 2014 dalla Commissaria per l’informazione pubblica Anamarija Musa, si precisa che “nel momento in cui il ministero della Cultura definisce i termini dell’operato dei Consigli per la cultura tale informazione dovrebbe essere resa pubblica sull’apposita pagina web in modo che i giornalisti possano chiedere l’accredito per seguire il lavoro dei Consigli, garantendo in tal modo il suo carattere pubblico”. In un altro comunicato, contemporaneamente indirizzato al ministero della Cultura, la Commissaria Musa ha cercato di spiegare ai suoi vertici che sono “tenuti (…) a garantire la trasparenza delle attività dei propri organi nel modo prescritto” dalla legge sull’accesso all’informazione pubblica.
Il ministero della Cultura, dal canto suo, percepisce diversamente il concetto di trasparenza amministrativa (l’idea di partecipazione dell’opinione pubblica alle attività dei suoi organi consultivi), avendo più volte reso noto alla commissaria Musa, in forma scritta, la propria posizione in merito, che può essere così sintetizzata: i Consigli per la cultura sono “organismi indipendenti le cui riunioni di solito vengono organizzate dai loro stessi membri, indipendentemente dal ministero della Cultura che, tranne che per il sostegno amministrativo, non può influenzare in alcun modo le loro attività”. Quindi, in altre parole, stando al ministero della Cultura, “la legge sull’accesso all’informazione pubblica non è applicabile ai Consigli per la cultura”.
Tali repliche del ministero, evidentemente, non hanno soddisfatto la commissaria Musa che, già nel 2015, ha deciso di avviare la procedura di vigilanza sull’applicazione della legge sull’Accesso all’informazione pubblica da parte del ministero della Cultura. Un procedimento che risulta tuttora in corso.
Rafforzare la trasparenza delle attività dei Consigli per la cultura è stato uno dei traguardi fissati nel Piano d’azione Open Government Partnership, approvato dal governo di coalizione di centrosinistra (SDP/HNS) per il biennio 2014-2016. L’obiettivo era quello di creare meccanismi volti a prevenire i conflitti di interesse in seno ai Consigli. La partecipazione del pubblico alle riunioni dei Consigli appare come un presupposto fondamentale per il raggiungimento di un simile obiettivo. Gli indicatori del grado di realizzazione di questo obiettivo avrebbero dovuto comprendere la pubblicazione dei verbali delle riunioni dei Consigli e l’applicazione di meccanismi di gestione dei conflitti di interesse.
In un rapporto indipendente sul progresso compiuto della Croazia sul versante della trasparenza istituzionale, elaborato all’inizio del 2016 nell’ambito dell’Open Government Partnership, si stima che in questo ambito la Croazia abbia raggiunto soltanto un progresso “parziale”, il che corrisponde più o meno al giudizio “sufficiente”. In una dichiarazione rilasciata alla ricercatrice indipendente responsabile della stesura del summenzionato rapporto, l’allora rappresentante del ministero della Cultura, il pubblicista Boris Postnikov, difendeva con scaltrezza l’ostruzionismo dell’accesso alle attività dei Consigli sostenendo che “l’apertura al pubblico delle riunioni (dei Consigli) non avrebbe automaticamente comportato una maggiore trasparenza, ma piuttosto avrebbe costretto coloro che violano le regole a operare con ancora maggiore segretezza”. Quindi, non sarebbe giusto rendere ancora più difficile il loro lavoro.
Comunque sia, i verbali delle riunioni dei Consigli continuano a non essere pubblicati, ai giornalisti è ancora impedita la possibilità di assistere alle loro sedute, le raccomandazioni definite nell’ambito dell’Open Government Partnership rimangono, ad oggi, ignorate, la composizione dei Consigli resta determinata da varie dinamiche ideologico-politiche mentre i risultati dei concorsi organizzati nell’ambito del Programma di esigenze pubbliche nella cultura continuano a suscitare stupore e perplessità.
Lacune istituzionali
Che impatto ha la persistenza di queste dinamiche sull’apertura del processo decisionale alla partecipazione pubblica? Primo, dimostra che l’élite croata (calcistica, culturale, economica, politica o accademica, ecc.) lotta affannosamente affinché la sfera dei suoi interessi materiali e/o politici rimanga lontana dagli occhi dell’opinione pubblica.
Secondo, dimostra che il sistema, essendo piuttosto lento, facilita il successo di tale lotta, e il sistema, non bisogna mai dimenticarlo, va creato da soggetti appartenenti a quella stessa élite.
Terzo, ci fa capire che l’istituto del Commissario per l’Informazione Pubblica – per quanto responsabilmente e professionalmente Anamarija Musa e il suo team svolgano il proprio lavoro – tuttora non dispone di capacità sufficienti per operare con maggiore successo.
Dal resoconto del caso della Federcalcio croata sopra descritto risulta chiaro quali sono i problemi con cui la commissaria Musa è costretta a confrontarsi: dalla sentenza dell’Alta corte amministrativa si evince che il procedimento penale contro Davor Šuker non ha potuto concludersi con una sentenza di condanna non perché tale presa di posizione avrebbe rischiato di apparire, dal punto di vista legale, infondata o mal formulata, bensì perché la Commissaria per l’informazione pubblica non ha a sua disposizione un messo ufficiale che, nella maniera prescritta dalla legge, avrebbe potuto consegnare all’ex numero 9 del Real Madrid l’avviso concernente l’intenzione di presentare una denuncia contro di lui, “e un impiegato delle Poste croate non può assumere il ruolo di messo comunale, come descritto nell’art. 148, pag. 4…”(!!!).
Quarto, l’eccessiva lunghezza di questi processi è una chiara prova del fatto che il sistema volto a garantire il diritto di accesso all’informazione è lungi dall’essere consono alla logica su cui si basa l’operato giornalistico e che esige l’ottenimento di determinate informazioni, comprese quelle contenute nei documenti potenzialmente compromettenti per chi li ha redatti e sottoscritti, prima che esse vengano coperte dall’oblio.
Quinto, tutto questo dimostra che l’intero sistema di garanzia del diritto di accesso all’informazione è ancora molto lontano dal raggiungere quel grado di proattività ripetutamente richiesto dalla Commissaria per l’informazione pubblica: “L’effettivo esercizio del diritto di accesso all’informazione, così come il riutilizzo delle informazioni pubbliche, nel XXI secolo vengono facilitati in primis attraverso la pubblicazione di informazioni, in un formato facilmente leggibile e recuperabile, sulle pagine web degli organi del potere a tutti i livelli. In secondo luogo, gli interessati possono chiedere l’accesso a determinate informazioni inoltrando apposita richiesta.
Dall’ultimo rapporto della Commissaria per l’informazione pubblica presentato al Parlamento croato e relativo all’anno 2015, emerge che le capacità del suo team, seppur aumentate rispetto agli anni precedenti, sono ancora troppo limitate per consentire la piena applicazione della legge sull’Accesso all’informazione pubblica in tutti i suoi segmenti: “Osservando il numero di casi effettivamente risolti (526) sul totale delle denunce accolte nel corso del 2015 (624), risulta chiaro che l’Ufficio ha incrementato la sua efficacia per quanto riguarda il numero complessivo dei casi risolti, ma date le condizioni di lavoro esistenti non è stato in grado di risolvere tutti i casi di ricorso, soprattutto per via del fatto che gli impiegati incaricati di risolvere questi casi dovevano allo stesso tempo occuparsi anche di altre attività all’interno dell’ufficio”.
Stando alle parole di Anamarija Musa, “vi è spazio per rafforzare le capacità dell’Ufficio del commissario per l’informazione pubblica, soprattutto nell’ambito di procedimenti penali, riutilizzo delle informazioni pubbliche, monitoraggio dell’applicazione della normativa pertinente, sensibilizzazione dell’opinione pubblica in primis attraverso l’assunzione di almeno quattro impiegati nell’arco di due anni, ma anche assicurando migliori condizioni di lavoro, compresa la messa a disposizione di adeguati spazi in cui operare”.
L’impressione generale che si ricava leggendo il rapporto della commissaria Musa è che la situazione per quanto riguarda la trasparenza e l’apertura degli organi del potere stia migliorando, pur non essendo ancora soddisfacente. Particolarmente significative sono le lacune evidenziate nell’operato delle autorità locali e regionali, delle persone giuridiche dotate di pubblici poteri, nonché delle imprese nelle quali la quota maggioritaria del capitale è detenuta dallo stato.
Come spiega Anamarija Musa, a tutti i livelli e in tutti i segmenti della pubblica amministrazione sono state evidenziate molteplici incongruenze nel trattamento delle richieste avanzate dai cittadini, soprattutto per quanto riguarda il rispetto delle scadenze e il modo di decidere sulle richieste. Un dato particolarmente allarmante è che nel 2015 su ogni 10 decisioni sulle richieste dei cittadini adottate conformemente alla legge venivano prese più di 17 decisioni non conformi alla legge, segnando un peggioramento rispetto al 2014, quando questo rapporto era 10 a 12. La commissaria Musa ritiene particolarmente preoccupante il fatto che le richieste di accesso all’informazione avanzate dai cittadini vengano ripetutamente ignorate, tanto che i due terzi dei reclami rivolti al suo ufficio sono motivati da questa ragione.
Tuttavia, l’aspetto più critico dal punto di vista dell’applicazione della legge sull’accesso all’informazione pubblica è rappresentato, secondo la commissaria Musa, dalla scarsa attuazione della procedura di consultazione pubblica come parte integrante dell’iter di formazione delle leggi, una deficienza riscontrata innanzitutto a livello locale, nonché in seno a certe istituzioni e nell’operato di persone giuridiche pubbliche.
Come precisato nel rapporto della commissaria: “I cittadini hanno diritto di partecipare all’iter di approvazione dei provvedimenti e documenti che hanno un impatto sui loro diritti e interessi. L’esercizio di questo diritto deve essere reso possibile dagli enti pubblici, essendo parte imprescindibile del loro operato, oltre che un valore fondamentale da rispettare a tutti i livelli istituzionali, in modo da soddisfare l’interesse pubblico”.
Nel rapporto si afferma inoltre che “la trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione a volte raggiunge livelli soddisfacenti, mentre in altri casi è talmente scarsa che nemmeno i rappresentanti del potere locale possono accedere alle informazioni sulla base delle quali dovrebbero assumere opportune decisioni, e questo soprattutto per via di un’inaccettabile ingerenza politica nel regolare funzionamento delle istituzioni”.
Lotta per la trasparenza
Tra le vittorie più importanti conquistate nel 2016 dalla Commissaria per l’informazione pubblica, ma anche da giornalisti e associazioni della società civile, nella lotta per la trasparenza del potere vi è da annoverare la messa a disposizione dell’opinione pubblica di un contratto stipulato tra il ministero dell’Economia della Repubblica di Croazia e la società Spectrum Geo Ltd. su indagini sismologiche nei fondali marini croati. Negli anni scorsi questo affare ha suscitato grande attenzione e preoccupazione da parte delle organizzazioni per la difesa dell’ambiente e della popolazione delle zone costiere, tanto che la richiesta di accesso a questo documento è stata inoltrata al ministero competente già nel settembre 2013. Quindi, ci sono voluti ben due anni e mezzo affinché l’intero iter per l’ottenimento di informazioni richieste venisse completato.
Già nel novembre 2015 la Commissaria Musa si è espressa nel merito, emanando un comunicato in cui precisava che l’opinione pubblica ha diritto di accedere ai documenti richiesti, venendo di conseguenza denunciata da parte del ministero competente presso l’Alta corte amministrativa, la quale però ha riconosciuto l’attendibilità di quanto sostenuto dalla commissaria, ordinando che i contratti in questione venissero pubblicati. L’allora ministro dell’Economia Ivan Vrdoljak difendeva la segretezza del contenuto dei contratti sostenendo che la libertà imprenditoriale e quella del mercato sono garantite dalla Costituzione, sicché dovrebbero avere il primato rispetto alla democrazia, all’interesse pubblico e al diritto di accesso all’informazione:
“Libertà e diritti fondamentali dell’individuo e del cittadino, garantiti dalla Costituzione, sono, in linea di principio, illimitati. Ogni limitazione di tali libertà e diritti deve essere prescritta dalla legge, e in questo caso ciò è stato fatto sulla base dell’art. 19 della legge sulla tutela del segreto professionale.
L’obbligo costituzionale dello stato di promuovere lo sviluppo economico del paese, come un buon uomo d’affari, consiste nell’utilizzare tutti i mezzi della diplomazia economica a sua disposizione per stimolare lo sviluppo e rafforzare la crescita economica.
I principi di certezza del diritto e di prevedibilità della decisione giudiziale non possono essere violati ai danni dell’individuo, indipendentemente da quanto sia importante l’interesse pubblico o generale”.
Fortunatamente per la democrazia, tale modo di ragionare non ha incontrato l’approvazione della giurisprudenza che, esprimendosi chiaramente sulla questione, ha istituito una buona prassi per affrontare in futuro simili richieste di accesso all’informazione pubblica. Ai vertici degli organi statali e agli imprenditori privati è stato detto molto chiaramente che gli affari bilaterali che li vedono protagonisti devono essere conclusi in modo da rispondere all’interesse pubblico, sicché i contratti che decideranno di stipulare in futuro verranno sottoposti alla visione (e al giudizio) dell’opinione pubblica.
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