Croazia: agricoltura e pesca post UE
Due settori di rilievo per il paese e due importanti politiche comunitarie con le quali Zagabria ha dovuto fare i conti, conti che non sempre sono andati a suo favore, causa impreparazione e negoziati non gestiti al meglio
A partire dal 1° luglio 2013, data dell’ingresso della Croazia nell’Unione europea, due importanti politiche comunitarie – la Politica agricola comune (PAC) e la Politica comune della pesca (PCP), si sono estese anche alla Croazia. E se è vero che, in generale, l’economia croata è oggi in condizioni migliori che nel 2013, come scrive l’economista Ivica Brkljača su Jutarnji List prendendo in esame vari elementi come Pil, deficit e debito pubblico, spread e bilancia dei pagamenti, l’agricoltura e la pesca hanno vissuto un quinquennio piuttosto turbolento, anche a causa di negoziati di adesione non sempre gestiti al meglio.
Aziende piccole, embargo russo e concorrenza sleale
Nel 2016, Eurostat ha recensito oltre 134mila aziende agricole in Croazia, impieganti quasi 160mila persone. Rispetto agli altri paesi dell’Ue, il settore agricolo rappresenta una parte importante dell’economia croata, coinvolgendo nel 2017 quasi l’8% della forza lavoro (dati Banca mondiale) e producendo il 3,9% del Prodotto interno lordo nazionale (dati Banca mondiale, 2016). Per avere un metro di comparazione, in Italia l’agricoltura impiega il 3,9% della forza lavoro e produce il 2,1% del PIL. Per l’ex repubblica jugoslava, si tratta dunque di un settore rilevante e il cui stato di salute ha un impatto sul paese nel suo insieme e in particolare in quelle regioni – specialmente nell’entroterra – che sono destinate alla produzione agroalimentare e non al turismo.
Nel 2016, uno studio della Camera di commercio croata (HGK) ha rivelato che “l’agricoltura ha pagato il prezzo più alto dell’ingresso della Croazia nell’Unione europea”, come riassumeva all’epoca il portale economico Lider . I primi tre anni nell’Ue hanno infatti prodotto un deficit di 230 milioni di euro nella bilancia commerciale del settore agricolo, ovvero le importazioni hanno ampiamente superato le esportazioni. Secondo il rapporto dell’HGK, Zagabria ha perso un ampio numero di protezioni di prodotti agricoli, abolite il 1° luglio 2013, ed ha perso i privilegi legati all’Accordo centroeuropeo di libero scambio (CEFTA), di cui faceva parte fin dal 2002.
Arrivata “impreparata di fronte alla concorrenza dei prodotti dell’Ue”, la Croazia ha dovuto anche fare i conti con le sanzioni imposte nel 2014 da Bruxelles alla Russia dopo la guerra in Ucraina e con il conseguente embargo deciso da Mosca contro diversi prodotti agroalimentari europei. “I paesi dell’Ue hanno venduto molto sul mercato croato”, in particolare con prezzi inferiori di “pollame, formaggi e latte”, si legge su Lider. Per difendere i prodotti croati dalla concorrenza all’interno dei propri confini, Zagabria è intervenuta nell’estate scorsa sui paesi terzi, scatenando quella che Belgrado ha definito una “guerra commerciale” e una “politica protezionistica”.
Nel luglio del 2017, il quotidiano belgradese Politika ha denunciato “l’aumento di 22 volte delle tasse imposte dalla Croazia nei confronti dei beni in arrivo dai paesi terzi”, ovvero da quelli esterni all’Unione europea. Nel dettaglio, Zagabria ha aumentato il costo dei controlli fitosanitari per diversi prodotti agricoli provenienti da paesi non-Ue (la tariffa era passata da 90 kune, circa 12 euro, a 2mila kune, o 270 euro), spiegando di dover “seguire le raccomandazioni dell’Ue” e “proteggere i propri agricoltori”. Una decisione che ha scatenato un’ondata di proteste nei Balcani, portando i governi di Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia e Montenegro a minacciare delle contromisure. Le tariffe sono in seguito rientrate nella normalità, ma per il governo croato limitare le importazioni di prodotti agroalimentari è rimasta una priorità .
Se la situazione fin qui ha visto alti e bassi, anche i prossimi anni potrebbero nascondere delle insidie per gli agricoltori croati. L’Agenzia di stampa tedesca Deutsche Welle ricorda che la Commissione europea ha previsto una riduzione dei sussidi agli agricoltori e per il settore , che in Croazia secondo il media tedesco attraversa “una fase estremamente vulnerabile, e potrebbe subire un colpo fatale”. Per il presidente della Camera croata dell’Agricoltura, Mladen Jakopović, Zagabria rischia inoltre di dover fare i conti con un budget comunitario minore a causa della Brexit, con il persistente problema dell’embargo russo e con la competizione di prodotti non-Ue realizzati a costi inferiori. La questione degli standard di qualità – conclude Jakopović – dovrà essere posta, per evitare una concorrenza sleale.
Il pesce croato parte all’estero
Il settore della pesca lamenta un simile ingresso difficoltoso nel mercato unico. Per Daniele Kolec, il presidente dell’associazione Mare Croaticum, fondata 10 anni fa a Umago con lo scopo di monitorare le novità nel mondo della pesca e fornire delle informazioni ai professionisti, “dall’entrata della Croazia nell’Ue, i problemi dei pescatori si sono moltiplicati”. “La Croazia – prosegue Kolec – ha dovuto fare una riforma della pesca basata sul regolamento Mediterraneo 1967/2006”. Il regolamento, che ha introdotto delle restrizioni sugli attrezzi da pesca e delle nuove disposizioni sulle dimensioni delle reti a strascico, ha causato in Croazia “uno choc enorme per il settore della pesca”. “Paghiamo le conseguenze di negoziati di adesione che [la Croazia] ha fallito completamente”, denuncia Daniele Kolec.
Inoltre, spiega il pescatore professionista, “il secondo problema è il mercato”. La Croazia registra “una grande importazione di pesce ed una contemporanea esportazione del pesce nazionale”. Per un negoziante croato, “è più facile comprare il pesce all’estero, perché qui da noi non può trovare quantità sufficiente e dall’altro lato, le piccole ditte, le cooperative e i pescatori continuano ad esportare il loro pesce in Italia, con grande scontento dei loro colleghi italiani”. Lo squilibrio del mercato del pesce croato, con l’esportazione dei prodotti nazionali e l’importazione di pesce dall’esterno, è noto anche alla Camera di commercio croata (HGK).
In occasione del lancio del progetto “Il pescato della Croazia – Mangia ciò che vale” (“Riba Hrvatske – Jedi što vrijedi”), presentato dalla HGK nel maggio del 2018 e finanziato da fondi europei, la direttrice del settore agricolo in seno alla Camera di commercio, Božica Marković, ha confermato che il settore croato della pesca rimane orientato all’esportazione, con una bilancia dei pagamenti ampiamente positiva. I mercati di riferimento per il pesce croato sono i paesi dell’Unione europea e il Giappone. Il progetto della Camera di commercio ha dunque come obiettivo di facilitare l’arrivo del pescato croato nei mercati esteri, ma non solo.
Il responsabile del settore acquacoltura in seno alla HGK, Goran Markulin, ha avvertito che “la Croazia è indietro rispetto agli altri paesi Ue per quanto riguarda la consumazione di pesce. Qui parliamo di circa 10 kg per abitante, mentre nell’Ue si arriva a 20 kg e anche più, lasciando intendere che c’è del potenziale per un aumento del consumo interno [di pesce]”, come riportato dal portale economico Poslovni . Lo sviluppo del mercato interno potrebbe dunque diventare un elemento di crescita per la pesca croata, un settore che impiega 2mila persone sui pescherecci e altre 15mila nell’indotto.
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