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Cosa fare in Ucraina?

Le considerazioni di Jean-Marie Guéhenno, presidente del think tank ICG, dopo una settimana trascorsa tra Kiev e Mosca

20/10/2015, Jean-Marie Guéhenno -

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(Pubblicato originariamente da ICG il 16 ottobre del 2015)

La fase più acuta del conflitto in Ucraina, durato 18 mesi, sembra passata, almeno per ora. Ma non è stato risolto ancora niente. Dopo aver trascorso una settimana a Kiev e Mosca con una delegazione dell’International Crisis Group è risultato chiaro che la Russia sta scivolando in una sempre più profonda crisi economica e in una grave incertezza politica. L’Ucraina, nel frattempo, non ha risolto nessuna delle questioni che ha portato alla crisi prima e poi all’aperto conflitto.

Delusione russa

L’intervento russo nell’est dell’Ucraina è stato, per Mosca, fallimentare. L’esercito ucraino ha risposto infatti meglio di quanto ci si aspettasse e l’Occidente si è dimostrato, nell’imporre le sanzioni, più compatto di quanto sembrava inizialmente. Il presidente Vladimir Putin ora sembra ridimensionare qualsiasi progetto separatista per l’est dell’Ucraina: ribadisce il proprio sostegno ai Negoziati di Minsk, del febbraio 2015; sta tenendo le briglie dei suoi protetti nell’est del paese; ha abbandonato il progetto della Novorossyia, che avrebbe creato un continuum territoriale sino alla Transnistria. Alla gente di Donetsk e Luhansk possono non piacere le autorità di Kiev, ma la maggioranza non abbraccia nemmeno Mosca e sostenere un’Ucraina dell’est indipendente è un progetto costoso, per Mosca come per chiunque altro.

L’Ucraina, dal canto suo, è riuscita a resistere. Ma nessuna delle questioni principali che hanno portato ad una guerra con più di 8000 morti è stata risolta. 12 mesi di sforzi a metà per riformare l’Ucraina non hanno certo fatto superare 25 anni di corruzione.

Vi è un’ammirabile generazione di giovani ucraini che sono fortemente legati ai valori europei, facendo vergognare i loro coetanei occidentali che danno per scontata la loro eredità democratica. Ma la magistratura rimane serva del potere e dei soldi, è poca la polizia riformata e sono ancora gli oligarchi a far girare la giostra. Il disinteresse di Kiev rispetto ai cittadini delle sue zone occupate non fa che complicare ogni futura reintegrazione.

Il fatto che l’Ucraina sia uno stato disfunzionale la rende facile obiettivo di ingerenze e manipolazioni. Kiev teme che Mosca non allenterà la pressione, ma semplicemente si limiti a spostare il peso dalla pressione militare a quella politica, finanziando e sostenendo politici pro-russi pronti a capitalizzare la crescente disillusione dei cittadini nei confronti dei loro leader.

In Russia la crisi non è meno grave. E’ iniziata prima della guerra in Ucraina e prima del collasso dei prezzi del greggio e del rublo. La non-diversificazione dell’economia e il profondo declino demografico – la Russia ha l’aspettativa di vita più bassa di tutti i paesi sviluppati – stanno segnando il paese. La Russia ha bisogno di molti anni ad un tasso di crescita elevato della propria economia per colmare il gap con i paesi dell’Europa occidentale. Attualmente il tasso di crescita è negativo, con effetti devastanti sul bilancio dello stato: le pensioni non stanno dietro all’inflazione, decine di milioni di russi si trovano di fronte ad una rilevante diminuzione del loro reddito.

Il contratto base degli ultimi anni – regime autoritario in cambio di un seppur modesto miglioramento delle condizioni di vita – sta venendo sostituito da un altro dove l’orgoglio nazionale serve a sostituire le soddisfazioni materiali. La propaganda di stato, che domina i media, ritorna a cliché dell’epoca staliniana: la Russia è circondata da nemici; l’Occidente fomenta rivoluzioni di tutti i colori; gli islamisti fanno parte di un’ampia cospirazione occidentale nei confronti della Russia, dove risiede la maggiore comunità musulmana in Europa.

La politica di Mosca di bombardare gli islamisti in Siria, sostenendo il leader siriano Bashar al-Assad quindi colpisce quella che si ritiene essere una reale minaccia ai propri interessi interni e allo stesso tempo lancia un messaggio alle potenze occidentali. In breve, la Russia è andata oltre all’insoddisfazione rispetto allo status quo divenendo un paese revisionista.

Da parte loro, le potenze occidentali, non sono pronte a sacrificare il desiderio della gente, sia essa in Ucraina o altrove, in nome della stabilità. L’Occidente ha buone ragioni per non fidarsi di un presidente che nega costantemente la presenza di truppe russe nell’est dell’Ucraina, nonostante l’evidenza schiacciante che sia vero il contrario.

Cosa si deve fare?

A questo punto la fiducia tra le due parti è uguale a zero e quindi sono quantomai vitali punti di riferimento condivisi e progetti comuni per far sì che i cambiamenti avvengano senza un rinnovato uso della forza. E vi è molto che l’Occidente può iniziare a fare per stabilizzare il conflitto.

Innanzitutto può rendere prioritario un sostegno finanziario all’Ucraina, a condizioni rigorose. L’Ue spende molti più soldi per la Grecia che per l’Ucraina, ma l’Ucraina è strategica perlomeno quanto la Grecia, se non di più. Le riforme che l’Ucraina dovrà intraprendere – diverse da quelle populiste proposte da Yulia Timoshenko – saranno meno dolorose se vi sarà maggior sostegno finanziario da parte dell’Ue.

In secondo luogo, si deve dare priorità – nel sostegno tecnico all’Ucraina – a giustizia, stato di diritto e anti-corruzione.

In terzo luogo occorre mantenere l’unità rispetto alle sanzioni sino a quando gli Accordi di Minsk non saranno pienamente implementati.

In quarto luogo vanno individuate aree dove si potrebbe svolgere del lavoro assieme alla Russia. Questo potrebbe riguardare un coinvolgimento Ue, seppur giudizioso, nell’Unione euroasiatica, o il coordinarsi per evitare incidenti nelle operazioni militari nei cieli della Siria o esplorare i confini di una possibile soluzione del conflitto siriano nella quale la Russia, nonostante la sfida in corso, inevitabilmente gioca una parte.

L’Occidente dovrebbe agire con decisione sia con i propri alleati che con i propri avversari. Il sostegno all’Ucraina deve diventare sostanziale solo se Kiev spinge verso le riforme, in particolare contro l’alto livello di corruzione. E, mentre è imperativo impegnarsi con il Cremlino, l’Occidente dovrebbe sottolineare che un vero dialogo su cruciali questioni internazionali è possibile solo se Mosca agisce nel rispetto del piano di Minsk e si ritira dall’est dell’Ucraina.

 

Jean-Marie Guéhenno è presidente e amministratore delegato dell’International Crisis Group

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