Corte europea dei Diritti dell’Uomo: le responsabilità di Mosca nella guerra con la Georgia
Secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a seguito del conflitto in Georgia nel 2008 la Russia ha violato la Convenzione sui Diritti dell’Uomo. La sentenza del 21 gennaio scorso stabilisce che Mosca esercitava l’effettivo controllo sui territori secessionisti e che a lei sono quindi imputabili le violenze contro le persone e le proprietà
Il 21 gennaio la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso la propria sentenza in merito al procedimento a carico della Russia per le violazioni della Convenzione sui Diritti dell’Uomo per la guerra russo-georgiana del 2008. La Georgia ottiene una seconda vittoria dopo una sentenza della Corte del 2014, quando Tblisi ottenne il riconoscimento che l’espulsione in massa di georgiani dalla Russia nel 2006 era stata una procedura che violava la Convenzione. A seguito di quest’ultima sentenza la Russia è stata condannata nel 2019 dalla Corte a risarcire la Georgia per la cifra di 10 milioni di euro. Di nuovo poi quest’anno la Grande Camera ha dato sostanzialmente ragione alla Georgia, riconoscendo che la Russia nel 2008 ha violato la Convenzione e che era Mosca che esercitava l’effettivo controllo sui territori secessionisti e sulle loro milizie e che a lei sono quindi imputabili le violenze contro le persone e le proprietà e la violazione di diritti.
Il contenzioso
È nel pieno del conflitto, l’11 agosto del 2008, che la Georgia si appellò alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. La procedura legale è stata poi iniziata nel febbraio 2009 con lo scopo di verificare se le forze militari russe e/o i separatisti si fossero macchiati di reati contro i civili e le loro proprietà, durante e dopo la guerra.
Le posizioni su quello che è successo erano e rimangono diametralmente opposte. Per la Georgia i secessionisti erano e sono controllati dalla Russia e quindi sarebbe quest’ultima la responsabile di quanto accaduto sia durante il conflitto che nella conseguente occupazione e quindi la controparte nel contenzioso territoriale che ha seguito la guerra del 2008. Secondo la Russia la guerra del 2008 è una guerra secessionista e il proprio esercito è intervenuto a difesa dei cittadini russi che si trovavano nell’area di aggressione georgiana, nonché dei civili di Ossezia del Sud e Abkhazia e nega che il proprio esercito abbia violato articoli della Convenzione. Secondo la Georgia sarebbero invece otto gli articoli violati dalle truppe di Mosca: diritto alla vita, divieto di tortura, diritto alla libertà e alla sicurezza, diritto alla difesa della vita privata e familiare, diritto a un effettivo indennizzo, tutela della proprietà, diritto all’istruzione e libertà di movimento.
Questi i termini quando nel 2011 l’iter della Corte ha preso di fatto il via dopo il riconoscimento dell’ammissibilità dell’azione legale georgiana.
La sentenza
La sentenza porta le tracce di una dura battaglia legale, piena di trappole politiche. Nell’esposizione delle posizioni delle parti la Russia per esempio ha suggerito l’inammissibilità dell’azione legale georgiana perché la Corte dovrebbe intervenire solo previo esaurimento dei ricorsi interni, e – ha sostenuto Mosca – Tbilisi non ha sondato la possibilità di muoversi legalmente presso i tribunali russi, abkhazi e ossetini. Ovviamente questo sarebbe stato un atto di riconoscimento del diritto legale di questi ultimi a redimere controversie, e quindi un esplicito riconoscimento di statualità dei secessionisti. Una parte cospicua della sentenza si occupa proprio di questo: è esistita una pratica amministrativa sistematica da parte della Russia che esime la Georgia da dover ricorrere ai tribunali russi per avere soddisfazione? La risposta è positiva, come lo è per quanto riguarda la giurisdizione russa sui territori occupati. Nell’analisi della corte risulta evidente che era la Federazione Russa che esercitava ed esercita il controllo sui territori secessionisti georgiani, ed è quindi giuridicamente responsabile di cosa vi accade.
La sentenza consta di più di duecento pagine, fra diritto internazionale, questioni politiche, diritti umani e diritto umanitario, e contiene la ricostruzione di una guerra contemporanea che è stata da subito finemente documentata e analizzata in tutte le sue dinamiche. Le fonti della Corte sono dettagliate e molteplici. Vi fanno parte il così detto Report Tagliavini , voluto dall’Unione europea per accertare nell’immediato periodo che ha seguito il conflitto le responsabilità e le dinamiche della guerra; i report di Amnesty International; quelli di Human Rights Watch; le relazioni dei testimoni delle parti che sono stati ascoltati dalla Corte.
Questa sentenza toglie anche le ultime ombre sulle responsabilità belliche, economiche, morali e legali sulle sofferenze della popolazione della zona del conflitto, soffermandosi in particolare sui drammatici giorni prima dell’implementazione dell’Accordo dei Sei Punti che ha portato a un parziale ritiro russo il 22 ottobre 2008.
Nelle pagine della sentenza riaffiora la guerra in tutta la sua aberrante bruttura: 160 civili arrestati senza motivo, stipati nell’interrato del ministero degli Interni a Tskhinvali, e costretti ad andare a raccogliere i cadaveri per la città e a seppellirli nelle fosse comuni, o i 30 soldati georgiani, prigionieri di guerra, torturati e umiliati. Tre di loro furono uccisi dai loro aguzzini, uno perché etnicamente ossetino, e quindi considerato un traditore.
Riemerge il tragico quadro del sacco dei villaggi georgiani e dell’esodo dei residenti, le cui proprietà vennero bruciate per rendere ancora più difficile un loro eventuale ritorno. Tali erano le disposizioni allora, e tali rimangono oggi. Il pieno ritiro militare sulle posizioni precedenti al conflitto – anche a seguito del riconoscimento russo di Abkhazia e Ossezia del Sud – non si è mai materializzato. I pochi rientri programmati di georgiani si sono arenati e si è intensificato il confine de-facto tra Georgia e territori secessionisti, "sigillando" i 20.000 sfollati georgiani fuori dalle zone in cui avevano vissuto fino al 2008.
Le reazioni
La sentenza è stata accolta con un grande sollievo in Georgia. I fatti danno ragione alla piccola repubblica caucasica, che recriminava i soprusi, le violenze, le torture, gli espropri a danno dei propri cittadini durante la guerra e – cosa ancor più grave – a conflitto finito. In verità la corte non ha esteso la responsabilità russa ai giorni della guerra, sostenendo che in quella fase la giurisdizione sui territori interessati dai combattimenti era ancora contesa.
Appellandosi a questo, e leggendo molto selettivamente la sentenza, anche la Russia ha potuto rivendicare la propria fetta di ragione . La Russia sostiene dal 2008 che è la Georgia l’artefice della guerra. Pertanto quanto successo poi è effetto del giustificato odio anti-georgiano di ossetini e abkhazi. Per il comportamento dei soldati russi ci sono stati due processi in Russia: uno per un’aggressione di genere, e uno per il furto di un televisore. E si è fermato tutto lì.
Per l’Unione Europea questo la sentenza “ha una portata storica” e per gli Stati Uniti ricorda che la Russia ha responsabilità inderogabili nella violazioni dei diritti di cittadini georgiani che sono ancora in atto .
Ora starà alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo stabilire se ci saranno compensazioni pecuniarie, e alla Russia se rispettare il verdetto della Corte. La Russia ha dichiarato negli ultimi anni di avere “sovranità” rispetto ai verdetti della Corte, e quindi la possibilità di sottrarvisi.
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