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Contro la mafia

Studiata in collaborazione con l’antimafia italiana la Legge per la confisca di proprietà derivanti da attività criminali, in vigore da un anno in Serbia, sta dando i primi frutti. Ma cosa si intende quando si parla di crimine organizzato in Serbia? Le risposte degli esperti

01/02/2010, Cecilia Ferrara - Belgrado

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Il 21 gennaio scorso la Procura speciale contro la criminalità organizzata e il ministero della Giustizia hanno portato i giornalisti al tribunale speciale in via Ustanička per mostrare loro una trentina di auto, principalmente di lusso (Porsche, Audi, BMW), parcheggiate di fronte al tribunale. Un modo efficace per far toccare con mano ai media i risultati del primo anno di vita della "Legge per la confisca di proprietà derivanti da attività criminali". Si tratta di decine di milioni di euro di beni sequestrati – secondo quanto dichiarato dal procuratore Miljko Radisaljević e dal ministro Snežana Malović – tra auto, denaro proveniente dal traffico di droga, ville e terreni. Dall’avvio della legge, lo scorso marzo 2009, sono state indagate 208 persone nel corso di 21 indagini finanziarie.

"In realtà solo un lotto ha passato tutte le istanze ed è diventato dello Stato – spiega a Osservatorio Balcani e Caucaso Stevan Dojčinović del CIN, il Centro per il giornalismo d’inchiesta legato all’associazione di giornalisti NUNS – si tratta di oltre 20 ettari di terreno in via Šilerova per un valore di 1,2 milioni appartenuti ai due defunti leader del clan di Zemun". Gli ex proprietari sono Dušan Spasojević detto "Šiptar" e Mile Luković detto "Kum", indicati nelle sentenze per l’assassinio di Zoran Ðinđić come i mandanti e gli organizzatori assieme a Milorad Ulemek "Legija" dell’omicidio del premier il 12 marzo 2003. I due vennero uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia durante l’operazione Sablja (Sciabola) che seguì l’attentato al primo ministro. Lo scorso 24 dicembre il lotto sequestrato in via Šilerova è stato consegnato alla Polizia municipale di Zemun che vi costruirà la propria sede.

"La cosa più importante nelle indagini di mafia è seguire il corso del denaro e le proprietà – ricorda il giornalista di CIN – allo stesso modo il procuratore deve dimostrare che nelle dichiarazioni dei redditi degli imputati non vi sia traccia di guadagni tali da giustificare l’acquisto dei beni in questione".

Il primo sequestro – ancora non definitivo – avvenuto nel giugno 2009 grazie alla legge, fu quello di parte della casa (178 mq) di Milorad Ulemek "Legija", ex capo dell’Unità per le operazioni speciali, JSO (la guardia armata dei servizi segreti) condannato in via definitiva per l’omicidio di Ðinđić. Secondo la procura la villa è stata comprata con il riscatto del rapimento di Vuk Bajrušević, fratello di Bojan, sospettato di contrabbando di sigarette. La moglie di Ulemek, Aleksandra Ivanović, è invece riuscita a dimostrare di avere le possibilità economiche di comprare la sua parte di casa, che infatti non è stata toccata dai giudici. Se il sequestro diventerà definitivo, dicono al ministero della Giustizia, quello spazio sarà utilizzato per l’apertura di un nuovo asilo.

"Ormai sappiamo che lo scopo delle attività del crimine organizzato sono quelle di acquisire denaro e attraverso quello potere, per questo intaccare i patrimoni dei criminali è uno degli strumenti più efficaci per stroncare le mafie". Marco Bonabello è consulente legale sul crimine organizzato per l’OSCE, organizzazione che dal 2004 ha lavorato con il ministero della Giustizia e quello dell’Interno per mettere a punto una legge sulla confisca dei beni del crimine organizzato. "L’Italia in questo senso è all’avanguardia con la legge Rognoni – La Torre e i metodi investigativi e di lavoro della Direzione Nazionale Antimafia. In questi anni la collaborazione tra l’antimafia italiana e il ministero della Giustizia serbo è stata intensa e sta dando i suoi frutti", spiega Bonabello a Osservatorio Balcani e Caucaso.

In Serbia la lotta al crimine organizzato è solo agli inizi. L’Italia offre a Belgrado un know how di un certo spessore che va dalla legge per la confisca dei beni al regime carcerario duro per i mafiosi – il nostro 41 bis -, all’utilizzo dei collaboratori di giustizia, al coordinamento tra le procure, fino alla collaborazione internazionale e regionale.

Ma di cosa si parla quando si parla di crimine organizzato in Serbia? "E’ un fenomeno nato negli anni ’90 – spiega Miroljub Stanisavljević, consulente OSCE esperto di crimine organizzato – sotto Milošević. C’erano le guerre, c’erano le sanzioni, la Serbia era isolata: un terreno molto fertile per il crimine organizzato. L’unico modo di procurarsi denaro era quello del contrabbando: sigarette, petrolio, armi etc. e lo Stato era coinvolto, Milošević stesso guadagnava grazie al contrabbando. Il potere politico e quello mafioso si fondevano l’uno nell’altro. Senza contare che all’epoca delle sanzioni la popolazione non percepiva il contrabbando come fenomeno criminale, perché era l’unico modo di commercio possibile".

Dalla caduta del regime, nel 2000, lo Stato comincia a pensare a come combattere il crimine organizzato. La polizia stila un’informativa sui gruppi criminali allora attivi, il cosiddetto "Libro Bianco", con foto e nomi dei capi e attività dei clan. Si tratta di un documento non ufficiale redatto nel 2002, un primo passo per l’istruttoria di future indagini. Il clan di Zemun è indicato come il più potente ed efferato. Nello stesso anno viene approvata una legge sull’"Organizzazione e giurisdizione di istituzioni statali per combattere il crimine organizzato". Nel marzo 2003 arriva la sfida della mafia: anche a causa di queste nuove manovre dello Stato i capi del clan di Zemun assieme ai loro soci decidono di sferrare un attacco al cuore dello stato uccidendo l’allora premier Zoran Ðinđić.

Dopo l’assassinio di Ðinđić lo Stato decise di fare i conti con l’underground belgradese. Oggi sono giunti a conclusione i 4 processi più importanti della Procura Speciale: quello per l’omicidio di Zoran Ðinđić nel quale Milorad Ulemek e Zvezdan Jovanović (che sparò il colpo mortale al premier) sono stati condannati alla massima pena, 40 anni. Il processo per l’omicidio di Ivan Stambolić e l’attentato a Vuk Drašković (entrambi del 2000); il processo contro i componenti del clan di Zemun per attività che vanno da omicidi, rapimenti, attentati terroristici ed infine il processo relativo ad un secondo attentato a Drašković in cui morirono 4 persone.

E adesso? "In estrema sintesi – dice il giornalista di CIN – si possono dividere le fasi in un prima in cui lo Stato impersonato da Milošević a livello politico e da Željko Ražnatović "Arkan" come esecutore erano la mafia in Serbia. Vi erano coinvolti anche altri personaggi di spicco quali ad esempio Stanko Subotić Cane che è diventato uno degli uomini più ricchi nell’Est Europa grazie al contrabbando di sigarette. Cane è tra l’altro in esilio dorato in Svizzera visto che nonostante i mandati di cattura delle procure serbe non c’è estradizione con Zurigo. Quando Arkan venne assassinato nel 2000 si era giunti all’apice di questa fase: Arkan taglieggiava tutti gli altri gruppi criminali ed era tanto convinto di essere intoccabile da andare in giro senza guardie del corpo". Dopo di lui venne il clan di Zemun "che con la scusa di ‘vendicare’ Arkan fece fuori negli anni successivi tutti gli altri concorrenti e mise in piedi un monopolio rigidissimo. Qualsiasi affare volessi trattare dovevi farlo con loro".

E ora? "Oggi non c’è più un monopolio come ai tempi di Arkan o del clan di Zemun – continua Dojčinović – diciamo che ci sono più che altro liberi battitori collegati in un network transnazionale".

E in effetti la criminalità serba sembra più che mai connessa a livello internazionale, come si evince dalle recenti operazioni di polizia. La prima denominata "Guerriero dei Balcani" ha portato al sequestro di 2,8 tonnellate di cocaina proveniente dalla Colombia e portata in Europa da "cellule" serbe. Secondo le ricostruzioni giornalistiche la mafia "serbo-montenegrina" fungerebbe, apparentemente con grande efficienza, da agenzia di "servizi" per il traffico internazionale della cocaina grazie ai legami tra mafia balcanica e sudamericana.

Dall’altro lato ci sono poi i tycoon quelli del – come si dice in Serbia – "non mi chiedere come ho fatto il mio primo milione", quelli a cui è molto difficile arrivare sia per mancanza di prove vere, perché da anni sono tutti passati ad attività legali, sia per mancanza di volontà politica. Ma proprio questi rappresentano un problema per la Serbia, ci dicono i nostri interlocutori, perché si inseriscono nelle privatizzazioni causando grossi danni economici e per loro l’ingresso in Unione europea non rappresenta un gran vantaggio. Tutt’altro.

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