Consiglio d’Europa-Azerbaijan: resi noti risultati della commissione di inchiesta
Da anni ESI e altri centri che si battono per i diritti umani denunciano l’operato corruttivo dell’Azerbaijan in seno alla PACE. Ora arriva l’ennesimo conferma che avevano ragione
L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) nel gennaio 2017 ha istituito una commissione di inchiesta per approfondire le accuse di corruzione e di legami poco chiari con l’Azerbaijan rivolte ad alcuni suoi membri da numerose realtà della società civile europea. A capo della commissione è stato nominato Jean-Louis Bruguière, come giudice responsabile delle investigazioni, insieme a Nicolas Bratza, Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, ed Elisabeth Fura, giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il 15 aprile scorso la commissione ha reso pubblici i risultati della sua inchiesta.
Il gruppo di lavoro guidato dal giudice francese Jean-Louis Bruguière ha dichiarato – in quell’occasione – di avere avuto diverse difficoltà nel redigere il report e condurre le inchieste, lamentando di non avere avuto a disposizione i poteri e gli strumenti garantiti solitamente alle commissioni d’inchiesta del PACE.
Sarebbe quindi stata loro impedita un’accurata analisi della situazione, a causa di limiti organizzativi, temporali ed operativi che hanno portato la Commissione a restringere la ricerca ad una raccolta di documenti e testimonianze solo tra chi si è mostrato disponibile a cooperare.
Alcuni degli attori coinvolti si sono infatti rifiutati di collaborare con la commissione: tra questi l’intera delegazione azera al PACE e Pedro Agramunt, ex presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Secondo il report di Freedom Files, ONG con sede a Mosca e a Varsavia, vi sarebbero importanti legami tra Agramunt e l’Azerbaijan che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella sua elezione a presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel 2013, finanziandone la campagna elettorale con 200.000 euro.
Proprio a causa dei pochi poteri attribuitigli e della reticenza di molti degli attori coinvolti la commissione ha dovuto basarsi anche sull’analisi di testimonianze e documentazione raccolte negli anni da vari centri studi e realtà di giornalismo investigativo europee.
Uno dei principali enti che ha dato il proprio apporto affinché si facesse luce sulla vicenda è stato senza dubbio l’European Stability Initiative (ESI), think tank con sede a Berlino che già nel 2012 aveva redatto il report "Caviar Diplomacy: How Azerbaijan silenced the Council of Europe " nel quale venivano descritti i metodi corruttivi dell’Azerbaijan all’interno del Consiglio d’Europa.
Nel 2013, un altro report ESI si è concentrato sul respingimento, da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, di una risoluzione promossa dal parlamentare tedesco Christoph Strässer con la quale quest’ultimo intendeva sollevare la questione dei prigionieri politici in Azerbaijan e, contemporaneamente, adottare una risoluzione volta a far rispettare gli accordi e gli obblighi internazionali firmati dall’Azerbaijan in materia di rispetto dei diritti umani.
In quell’occasione – sottolineò l’ESI – si manifestò una forte divisione all’interno dell’Assemblea: da una parte vi erano coloro i quali denunciarono il trattamento e la violazione dei diritti dei prigionieri politici in Azerbaijan, dall’altra, coloro che mettevano in luce solo i grandi passi avanti in termini di sviluppo e i progressi compiuti dallo stesso stato nel corso degli anni. Pesantemente coinvolto – come ha poi accertato anche la magistratura milanese – era in quell’occasione anche l’italiano Luca Volontè – allora presidente del PPE presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa- che avrebbe ricevuto da intermediari azeri un totale di 3 milioni di euro, proprio nei giorni precedenti alla bocciatura della risoluzione promossa da Strässer.
Questo modus operandi non sarebbe stato esclusivo del consesso del Consiglio d’Europa. Infatti, secondo l’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) – piattaforma investigativa transnazionale a cui collaborano diversi giornalisti da tutto il mondo – tra il 2012 e il 2014, le autorità azere avrebbero riciclato in Gran Bretagna quasi 3 miliardi di dollari che sarebbero stati poi utilizzati per corrompere personaggi di alto spicco all’interno di istituzioni di Unione Europea ed ONU. Secondo l’OCCRP, il denaro è stato utilizzato in particolare per comprare il silenzio – di soggetti che avevano influenza in seno alla comunità internazionale – rispetto alla sistematica violazione dei diritti umani nel paese.
In merito alle relazioni tra PACE e Azerbaijan, la commissione d’inchiesta ha sancito che un gruppo di persone ha effettivamente operato all’interno dell’Assemblea in favore dell’Azerbaijan: ne fanno parte delegati di diversi paesi europei, tra cui Volontè, che sono risultati coinvolti in queste dinamiche di scambio di denaro e doni con potenti politici o lobbisti azeri.
In seguito ai risultati delle indagini la commissione ha evidenziato la necessità di rafforzare e chiarire le procedure di voto in seno all’Assemblea. Per quanto riguarda lo scambio di denaro e doni, la commissione ha sottolineato la necessità della definizione di sanzioni e misure finalizzate a punire i colpevoli di comportamenti non in linea con il codice etico previsto dall’Assemblea.
Il 26 aprile scorso, in seguito ai risultati raccolti dalla commissione d’inchiesta, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha approvato a netta maggioranza (123 deputati a favore e solo 9 contrari) una risoluzione in cui si afferma che “le accuse mosse da alcune organizzazioni non governative e dalla commissione d’inchiesta, che sono state criticate e negate fino a pochi giorni fa, sono adesso incontestabili”. L’Assemblea ha inoltre invitato i membri dei parlamenti nazionali, le loro delegazioni e i governi nazionali, a “prendere le misure necessarie in relazione ai casi menzionati”.
* Giulia Magnano sta effettuando uno stage presso la redazione di OBCT
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