Conflitto Armenia-Azerbaijan: la fine del Nagorno Karabakh
Con l’intervento militare dei giorni scorsi l’Azerbaijan ha deciso di porre fine al Nagorno Karabakh come entità autonoma. Oggi i rappresentanti armeni si incontreranno con una delegazione governativa dell’Azerbaijan per discutere i termini della capitolazione. Un’analisi dei fatti
(Originariamente pubblicato da Valigia Blu , il 21 settembre 2023)
Dopo l’imposizione da Baku di oltre nove mesi di isolamento, che ha ridotto la popolazione armena locale allo stremo, le autorità dell’Azerbaijan hanno deciso di intervenire militarmente per porre fine al Nagorno Karabakh, un’entità de facto indipendente emersa con il crollo dell’Unione Sovietica. A partire dalla propria posizione di superiorità militare, l’Azerbaijan ha chiesto alla comunità armena locale di arrendersi, dissolvendo tutte le unità militari armene e i propri organi di amministrazione. Dopo un giorno di combattimenti, la resa dei rappresentanti armeni è arrivata: si incontreranno oggi 21 settembre con una delegazione governativa dell’Azerbaijan, in sostanza, per discutere i termini della capitolazione.
Difficile dire quali garanzie potrà ottenere la comunità armena in questo formato. Da parte di Baku, infatti, scarseggiano le rassicurazioni di lungo periodo per i residenti della regione. Anche le poche rassicurazioni che arrivano, come ad esempio l’offerta di corridoi umanitari per evacuare i civili , suonano effettivamente come una minaccia di pulizia etnica. Si tratta di un timore espresso anche dall’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’UE Josep Borrell , il quale ha evidenziato come le violenze in corso “non debbano essere usate come pretesto per forzare l’esodo della popolazione locale”.
Con tutta probabilità, stiamo assistendo alla fine del Nagorno Karabakh come entità autonoma. Il futuro della comunità armena locale è sempre più incerto. Sebbene le azioni di questi giorni siano in violazione di accordi sottoscritti con la Russia e impegni espressi con altri partner internazionali, l’Azerbaijan pare convinto di poter procedere ad imporre un nuovo status quo attraverso quest’intervento militare senza doverne pagare conseguenze di alcun tipo, né militari, né economiche, né politiche. Mentre l’Azerbaijan attaccava, i peacekeeper russi sono rimasti a guardare. Parole di condanna da parte di Stati Uniti e alcuni governi occidentali sono arrivate tardive e senza apparenti conseguenze concrete per Baku.
Come siamo arrivati a questo punto?
La situazione in Nagorno Karabakh
In seguito al crollo dell’Unione Sovietica e a un conflitto con gli armeni emerso in quegli anni , l’Azerbaijan aveva effettivamente perso il controllo di un’ampia area situata all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti: a partire dal 1994 gli armeni locali erano riusciti a stabilire un governo che de facto controllava non solo l’area dell’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh, una enclave in cui gli armeni erano storicamente maggioranza, ma anche ampi territori adiacenti abitati prevalentemente da azeri che furono costretti ad abbandonare le proprie case.
Grazie anche ai consistenti investimenti in armi resi possibili dalle abbondanti esportazioni di gas e petrolio, alla propria superiorità numerica, e all’attivo sostegno da parte della Turchia, nel 2020 l’Azerbaijan è riuscito riprendere il controllo dei territori adiacenti al Nagorno Karabakh nonché di parte dei territori storicamente abitati da armeni con una vittoriosa guerra durata 44 giorni. Un cessate-il-fuoco raggiunto con la mediazione di Mosca prevedeva il dispiego di forze di pace russe che avevano il compito di garantire la sicurezza della popolazione armena locale e proteggere il corridoio di Lachin, ovvero la principale linea di comunicazione tra il Nagorno Karabakh e l’Armenia; l’Azerbaijan stesso si impegnava a garantire la sicurezza del transito di beni, persone e veicoli in entrambe le direzioni.
A partire dal dicembre del 2022, con una serie di pretesti, l’Azerbaijan ha però imposto un blocco del transito attraverso il corridoio di Lachin. Con il passare dei mesi e senza alcun intervento da parte dei peacekeeper russi, il blocco è diventato sempre più formalizzato ed esplicito, e a partire da giugno è stato completamente interrotto il transito verso il Nagorno Karabakh anche a convogli umanitari. Inevitabilmente, nei mesi estivi la situazione umanitaria ha continuato a degradare per la popolazione armena locale (fino a 120 mila persone secondo fonti locali, molti meno secondo fonti azere) e nelle ultime settimane la carenza di cibo, medicinali e beni di prima necessità si è fatta sempre più evidente. Nonostante questa politica di blocco fosse evidentemente in contrasto sia con il cessate-il-fuoco sottoscritto nel 2020 che con i più basilari principi sulla tutela dei diritti umani, l’Azerbaijan ha ricevuto solo velate critiche da parte dei principali attori internazionali. La situazione si è quindi prolungata per mesi e né Armenia né Russia hanno cercato di utilizzare la forza per sbloccare la situazione.
L’impotenza dell’Armenia
L’impotenza dell’Armenia in questo contesto è in parte dovuta alla sua stessa vulnerabilità. L’Azerbaijan ha infatti preso iniziativa per far capire che in caso di una nuova guerra a rischio non sarebbe solo la popolazione armena del Nagorno Karabakh, ma anche l’Armenia stessa.
Le minacce di Baku non si sono limitate a dichiarazioni ufficiali revisioniste secondo cui il territorio dell’odierna Armenia sarebbe in realtà storico territorio azero, ma si sono concretizzate in estese azioni militari nell’autunno del 2022 che hanno coinvolto aree situate all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Armenia, ben lontano dai territori contesi del Nagorno Karabakh. Quell’intervento ha rafforzato le posizioni azere lungo il confine rendendo ancora più esplicita la minaccia militare nei confronti dell’Armenia ed evidenziano ulteriormente quanto sia del tutto concreta la possibilità da parte dell’Azerbaijan di avanzare nella regione armena di Syunik fino a raggiungere l’exclave azera del Nakhchivan.
Anche in conseguenza di queste dinamiche, la priorità per il governo armeno è diventata sempre più quella di mantenere la propria sovranità ed evitare una nuova guerra sul proprio territorio. Realisticamente Yerevan avrebbe comunque poche possibilità di agire in modo diretto per rafforzare la posizione della comunità armena del Nagorno Karabakh; è più realistico immaginare che qualsiasi iniziativa in questo senso sarebbe utilizzata da parte dell’Azerbaijan come pretesto per ritorsioni militari su più ampia scala. In questo contesto, la fragilità dell’Armenia è esacerbata dall’inerzia del suo principale alleato, la Federazione russa.
L’inerzia della Russia
Secondo accordi bilaterali e multilaterali in vigore, la Russia avrebbe l’obbligo di accorrere in aiuto dell’Armenia in caso di minacce alla sua integrità territoriale; ciononostante, la Russia non è intervenuta in alcun modo quando l’Azerbaijan ha condotto attacchi contro l’Armenia nell’autunno del 2022. Inoltre, secondo il cessate-il-fuoco che ha posto fine alle ostilità in Nagorno Karabakh nel 2020, i peacekeeper russi avrebbero dovuto proteggere il transito attraverso il corridoio di Lachin e garantire la sicurezza della popolazione locale in Nagorno Karabakh. Sebbene l’accordo sia stato mediato e sottoscritto da Vladimir Putin in persona, in pratica il contingente russo è rimasto a guardare mentre per mesi l’Azerbaijan violava nel modo più diretto il proprio impegno a garantire il transito attraverso questa linea di comunicazione.
Quando l’Azerbaijan ha dato inizio a un nuovo attacco su ampia scala lo scorso 19 settembre, i peacekeeper si sono limitati a registrare le numerose violazioni del cessate il fuoco e a facilitare l’evacuazione di migliaia di civili locali dalle zone più esposte a pericolo dall’intervento militare (un’evacuazione che rischia di essere premessa di più ampie dinamiche di pulizia etnica). In occasione di una conferenza stampa tenutasi il 20 settembre, il presidente russo Vladimir Putin ha commentato gli eventi in corso in Karabakh, esprimendo sommessamente “speranza” che la situazione si possa risolvere in modo pacifico; il tono non era certo quello di minacciosa sicurezza che in altre occasioni caratterizza la retorica del Cremlino.
Nel complesso, pare evidente che la Russia sia del tutto assorbita dalla propria invasione dell’Ucraina e non sia in grado o comunque non ritenga prioritario intervenire in modo più deciso a difesa del proprio principale alleato regionale in Caucaso del sud. Al contrario, Mosca sembra intenzionata a dare la colpa per gli eventi di questi giorni al primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il quale riconoscendo la sovranità dell’Azerbaijan sul Nagorno Karabakh avrebbe effettivamente trasformato la questione del Karabakh in un problema interno di Baku. I media russi insistono sulle responsabilità di Pashinyan, che negli ultimi mesi sempre più spesso ha criticato Mosca e ha dato segni di apertura nei confronti di Unione europea e USA. Insistendo con questa narrativa, la speranza da parte russa è probabilmente quella di vedere un cambio ai vertici in Armenia, che porti al potere una nuova leadership più fedele a Mosca. Visti da Yerevan, in ogni caso, l’inazione della Russia durante le avanzate militari dell’Azerbaijan e il ruolo passivo giocato dai peacekeeper durante i lunghi mesi di isolamento imposto al Nagorno Karabakh nel corso di quest’anno sono difficili da giustificare o dimenticare. Nikol Pashinyan ha recentemente dichiarato pubblicamente che dipendere esclusivamente dalla Russia per la propria sicurezza era stato “un errore strategico ” per l’Armenia. Anche se nei prossimi mesi vi saranno cambiamenti al potere a Yerevan, pare improbabile che una nuova leadership possa giungere a una conclusione differente, sebbene in pratica neppure l’Unione europea o altri attori occidentali siano riusciti a fare la differenza sul campo.
Il ruolo dell’Unione Europea
Durante questi mesi di isolamento del Nagorno Karabakh, da parte dell’Unione Europea si è cercato di mantenere un tono circospetto e sostanzialmente privo di critiche esplicite alla leadership di Baku. Nelle dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo Charles Michel dell’1 settembre e del 13 settembre non ci sono infatti condanne ferme per Baku, ma solo un impersonale riferimento alla necessità di riaprire il corridoio di Lachin e procedere con i negoziati. Questa posizione cauta era probabilmente legata ad un tentativo di mantenere un ruolo di negoziatore imparziale funzionale al processo di pace.
Ci sono stati significativi sforzi negoziali in questi mesi che in più occasioni hanno lasciato sperare fosse possibile evitare un ritorno alla violenza e in questo contesto il ruolo dell’UE è stato inaspettatamente attivo. L’Unione Europea ha anche attivato una propria missione civile di monitoraggio lungo i confini internazionali dell’Armenia che evidentemente aveva lo scopo di offrire qualche rassicurazione a Yerevan ed avere un minimo effetto deterrente nei confronti di potenziali attacchi dell’Azerbaijan. Almeno per quanto riguarda la situazione della popolazione armena del Nagorno Karabakh, purtroppo, i negoziati non hanno portato frutti.
Conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina e prospettive
Il contesto emerso dall’invasione russa dell’Ucraina ha ulteriormente imbaldanzito l’Azerbaijan in questi mesi. La posizione russa in Caucaso ne è risultata indubbiamente indebolita. Le risorse energetiche dell’Azerbaijan si sono fatte ancor più importanti per l’Unione Europea, sebbene rimangano una parte piccola e non imprescindibile del sistema di approvvigionamento energetico del continente. Il ruolo della Turchia, storico alleato dell’Azerbaijan ed attore fondamentale in alcune dinamiche relative alla guerra in Ucraina, è tutt’altro che secondario anche se non sempre in primo piano: sia Russia che UE hanno presumibilmente attenuato i toni anche per evitare che uno scontro retorico con Baku potesse avere ripercussioni sulla posizione del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, in altri contesti.
Dagli eventi di questi mesi e giorni non esce bene nessuno. Non è chiaro se la Russia, dimostratasi impotente in questa fase, riuscirà a mantenere effettiva influenza nella regione. Non è chiaro se l’Unione europea deciderà di rivedere le proprie relazioni con l’Azerbaijan se i timori di incombente pulizia etnica si dimostreranno fondati. Non è chiaro se le tensioni politiche interne in Armenia porteranno a nuova instabilità, a conflitti interni o potenzialmente nuovi scontri con l’Azerbaijan. Non è chiaro se da parte dell’Azerbaijan, una volta pienamente riaffermata la propria sovranità sul Nagorno Karabakh, vi sarà spazio per aperture che rendano plausibile una continua presenza armena nella regione. Non è chiaro se l’Azerbaijan si riterrà finalmente soddisfatto per aver ripristinato la propria integrità territoriale, oppure se continuerà con minacce e rivendicazioni nei confronti dell’Armenia.
La fine del Nagorno Karabakh come entità de facto indipendente sembra ormai segnata. Forse c’è ancora spazio per evitare un nuovo ciclo di pulizia etnica e una tragedia umanitaria di più ampie dimensioni.
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