Condanna definitiva per Martić
Il Tribunale dell’Aja conferma in appello la condanna a 35 anni nei confronti di Milan Martić, ex leader dei serbi di Croazia. Martić è stato riconosciuto colpevole di aver preso parte ad una associazione criminale finalizzata alla pulizia etnica di ampie zone dell’ex Jugoslavia
La Camera d’appello del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (TPI) ha confermato l’8 ottobre scorso la pena di 35 anni già emessa in prima istanza nei confronti di Milan Martić, ex-ufficiale della cosiddetta Repubblica Srpska Krajina (RSK). Il leader dei Serbi di Croazia è stato condannato per i crimini commessi tra il 1991 e il 1995 contro la popolazione croata e non-serba residente entro i confini della RSK.
Martić è stato riconosciuto colpevole di 16 capi d’accusa, ivi compresi crimini contro l’umanità, violazioni della legge e delle usanze di guerra e in particolare persecuzioni, omicidi, torture, deportazioni, attacchi ai civili, saccheggio e distruzione delle proprietà. Inoltre, l’ex presidente della RSK è stato riconosciuto colpevole di aver ordinato il bombardamento di Zagabria il 2 e il 3 maggio del 1995, causando la morte di sette persone e il ferimento di altre 200.
L’atto di accusa iniziale contro Martić è stato emesso il 25 luglio del 1995. Dopo vari anni di latitanza, si è arreso al Tribunale dell’Aja il 15 maggio del 2002. Dopo una lunga fase istruttoria, il processo è iniziato il 13 dicembre del 2005 e si è concluso il 12 gennaio del 2007.
Nella sentenza emessa dalla Camera di prima istanza, la Corte ha espresso la convinzione che Martić, nel suo ruolo di ministro degli interni della RSK e poi di Presidente, aveva come obiettivo quello di sradicare con la forza la popolazione non-serba dalla regione. Inoltre, Martić avrebbe partecipato attivamente ad una "associazione criminale" (joint criminal enterprise) insieme ai vertici politici dell’allora Repubblica Federale Jugoslava, della Republika Srpska e della RSK (tra i quali appaiono nomi come quello di Milošević, Babić, Stanišić, Hadžić, Simatović, Šešelj, Karadžić, Krajišnik, Mladić, Plavšić, tutti imputati o condannati dal TPI). Questa associazione criminale in sostanza aveva lo scopo di deportare forzatamente la maggioranza dei croati e dei musulmani dalla gran parte della Bosnia Erzegovina e da circa un terzo del territorio croato, per annettere questi territori alla Serbia.
Il giudice Fausto Pocar, presidente del Tribunale, ha tuttavia dichiarato alla lettura della sentenza che: "Martić non è stato condannato per le sue opinioni politiche o per gli obiettivi politici della leadership serba. La Camera d’appello ha tuttavia trovato che, nel conseguimento di obiettivi politici, Martić e altri leader militari hanno commesso gravi crimini".
Durante l’appello, la difesa aveva chiesto l’assoluzione per tutti i capi d’accusa oppure la ripetizione del processo stesso, ipotizzando degli illeciti legali e fattuali.
La Camera d’appello ha respinto tutti gli argomenti della difesa, accettando però due sotto-argomenti che hanno cancellato la responsabilità di Martić per i crimini commessi nelle località di Benkovac, Cerovljani, Vukovići e Pljanak.
Si è accolta in sostanza la tesi dell’accusa, secondo cui la Camera di prima istanza aveva commesso un errore nel non considerare che le persone hors de combat, ovvero i soldati incapaci a sostenere attivamente la battaglia perché feriti o detenuti, non potessero essere vittime di crimini contro l’umanità.
Milan Martić rimarrà nell’unità penitenziaria del Tribunale aspettando il trasferimento nel Paese dove sconterà il resto della pena. Detenuto nella primavera del 2002, beneficerà della sottrazione della pena per il tempo già passato nell’unità penitenziaria.
A partire dalla data di istituzione del Tribunale Penale per i crimini di guerra commessi sul territorio dell’ex Jugoslavia, sono state accusate 161 persone. Il processo è terminato in 116 casi, ma all’appello mancano ancora due tra i personaggi più ricercati delle guerre balcaniche: Goran Hadžić e Ratko Mladić.
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