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Come la Bosnia ha costruito la sua qualificazione mondiale

La Bosnia Erzegovina va ai mondiali di calcio 2014, in Brasile. E’ il risultato di un lungo processo e la logica ricompensa di una progressione costante. Un’analisi

17/10/2013, Loïc Tregoures -

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L’articolo è stato pubblicato originariamente dal portale Eurosport.fr il 16 ottobre 2013 (tit. orig. Démission, désillusions, suspension : comment la Bosnie a construit sa qualification )

E’ un momento storico per la Bosnia Erzegovina. Martedì sera in Lituania (0-1) ha ottenuto la qualificazione per i mondiali brasiliani, il primo torneo maggiore della sua storia. Un successo festeggiato con intensità in una parte del paese, che non ne poteva più di aspettare dopo la vittoria in Slovacchia il mese scorso.

In realtà il Brasile ha preso inizialmente forma in uno spareggio fallito, quello giocato contro il Portogallo quattro anni fa sul campo di patate di Zenica. Era il primo spareggio nella storia del paese e il coronamento del lavoro di Miroslav Blažević, l’uomo del podio croato nel 1998. Due anni di lavoro per costruire una squadra e lo spirito giusto, un gruppo e il suo incredibile pubblico. Questo, aggiunto all’esplosione di molti giocatori di talento tra i quali Pjanić, Ibišević e Džeko, ha cancellato ogni complesso di inferiorità e l’ha convinta che poteva competere con chiunque.

La Bosnia ha imparato a caro prezzo

La partenza, non molto elegante, di Blažević e l’arrivo in panchina di Safet Sušić non ha interrotto un processo ormai avviato. Forte di un nocciolo duro di sette-otto giocatori di alto livello, la Bosnia è stata ad un rigore di Nasri di distanza da qualificarsi direttamente per Euro 2012. Occorre essere onesti, malgrado il pareggio, i francesi quella sera hanno preso una lezione di calcio, in campo e dalle tribune. Nonostante un nuovo spareggio perso contro i portoghesi, la squadra non ha mai smesso di migliorare, d’immagazzinare informazioni e esperienza mentre i suoi giocatori chiave diventavano sempre più forti. Occorre ricordarsi di Pjanić nel 2010, e vedere com’è adesso. Stessa cosa per Džeko, Begović, Lulić o Ibišević.

In quattro anni la Bosnia ha pagato a duro prezzo i suoi miglioramenti, ha fallito due volte all’ultimo momento ma è diventata una squadra temuta sulla scena internazionale, scalando le classifiche Fifa. Non è la stessa cosa iniziare una fase di qualificazione essendo selezionata come seconda e non come quarta. Il gruppo relativamente facile nel quale questa volta è finita (Grecia e Slovacchia come avversari principali) ne è testimonianza. E con i campionati europei a 24 del 2016 la Bosnia, come la Croazia e la Serbia, sono praticamente sicure questa volta di qualificarsi.

Lo sciopero dei giocatori nel 2007

Ma questa qualificazione si è anche giocata nei corridoi. Era il 2011 quando la Fifa ha annunciato la sospensione della Federazione calcio della Bosnia. Di riflesso, furono molti che denunciarono il neocolonialismo dei padroni del calcio mondiale nei confronti di una Bosnia povera e indifesa. In realtà questa sospensione ha salvato la vita al calcio bosniaco. Prima della sospensione la Federazione bosniaca era un covo di corruzione e cooptazione etno-politica, dove degli incompetenti deviavano fondi senza mai occuparsi dello sviluppo del calcio. Gli stessi giocatori, nel 2007, avevano scioperato per denunciare questa situazione.

La sospensione e la messa in campo di un comitato d’emergenza per normalizzare la situazione prima di eleggere nuovi vertici è una procedura standard prevista dalla Fifa. In Bosnia è la leggenda calcistica di Ivica Osim (ultimo allenatore della Jugoslavia) che, malgrado l’età e uno stato di salute fragile, ha attraversato l’intero paese. Ha negoziato con le autorità politiche, in particolare con il presidente della parte serba della Bosnia, al fine di trovare un compromesso su un nuovo statuto che impedisse a una parte (serba, croata o bosgnacca) di paralizzare ogni presa di decisione, come accade troppo spesso anche nelle istituzioni politiche. Questo lungo lavoro ha portato i suoi frutti.

Oggi il nuovo presidente eletto, Begić, gode di una solida legittimità. La sua priorità, oltre allo sviluppo delle infrastrutture sportive nel paese, molto in ritardo a causa della guerra e della mancanza di investimenti, è di girare il mondo alla ricerca di giovani giocatori di origine bosniaca che stanno crescendo all’estero. I nati in Bosnia o all’estero tra il 1990 e il 1995, hanno i genitori che sono fuggiti dalla guerra e hanno costruito una loro vita altrove, privando la Bosnia di una gran parte dei suoi cervelli e delle sue forze vive. E’ evidente che il successo attuale rende la Bosnia più seducente per eventuali nuove reclute.

I croati di Bosnia tifano Croazia, i serbi Serbia

L’ultima si chiama Izet Harjović. E’ cresciuto nelle giovanili dell’Arsenal e ha debuttato quest’anno ai Grasshopper di Zurigo. E’ lui che ha regalato la vittoria alla Bosnia in Slovacchia lo scorso settembre. La settimana scorsa Muamer Tanković ha piazzato una tripletta alla Bosnia con l’under 18 svedese. Ma non attenderebbe che un segno per dire sì alla nazionale del suo paese d’origine. Altri, come Haris Seferović, non ritorneranno mai, ed occorre rispettare le loro scelte, come quelle di Özil o di Shaqiri, se si vuole liberarsi dei veleni del pensiero etnico.

Rimane però un’incognita. I media di tutto il mondo si stanno entusiasmando oggi, e lo faranno a giugno, attorno a questa storia da copertina di una squadra di calcio mista che “unisce tutto il popolo” secondo il luogo comune che comincia ad infastidire alcuni belgi, ma com’è la situazione in realtà? Si è festeggiato a Sarajevo e Zenica ma a Banja Luka? Ci si augura che tutti i cittadini della Bosnia abbiano almeno benevolenza nei confronti di questa squadra, anche se i croati di Bosnia tifano Croazia e stessa cosa per i serbi.

Se l’avventura per le qualificazioni andrà male all’inquietante squadra croata, di cui l’allenatore Igor Stimac ha appena dato le dimissioni, la Bosnia sarà l’unica squadra dell’ex Jugoslavia ai prossimi mondiali. Ci si augura che se questo avvenisse nell’intera regione ci sia almeno uno slancio di simpatia per la Bosnia, che farebbe bene a tutti. I nostalgici finirebbero per chiedersi cosa sarebbe riuscita a fare una squadra jugoslava in Brasile (certamente avrebbe perso in finale contro il Brasile!). Ma la storia non si rifà e dopo esserne stata tristemente la vittima, la Bosnia andrà ora in Brasile per scrivere la sua.

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