Come criceti su una ruota: l’ESI sull’allargamento dell’Ue ai Balcani occidentali
Un report dell’ESI analizza il futuro della politica di allargamento dell’Unione europea nei Balcani occidentali. Pubblicato poco prima del rilascio della nuova proposta della Commissione europea, presenta molti punti di contatto con questa, offrendo tuttavia degli spunti di riflessione in più
"Hamster in the Wheel. Credibility and EU Balkan Policy " (Criceti su una ruota. Credibilità e politica europea nei Balcani) si concentra sulla situazione di stallo che caratterizza oggi il processo di allargamento dell’Ue. Nonostante siano ormai passati quasi due anni dalla raccomandazione della Commissione europea di aprire i negoziati con la Macedonia del Nord e l’Albania, gli stati membri risultano divisi in tre gruppi, impedendo così l’avvio dei negoziati con i due paesi. In particolare, le posizioni prevalenti risultano essere quelle dell’Olanda (favorevole all’apertura del dialogo con la sola Macedonia del Nord), della Francia (contraria al dialogo con entrambe) e dell’Italia (favorevole all’apertura ad entrambe). La posizione francese è stata giustificata da Macron con la necessità di modificare il processo di adesione, aspetto con il quale concordano gli autori di questo report.
Infatti, anche se l’Unione europea decidesse di aprire i negoziati, a detta dell’ESI senza modifiche alle attuali procedure la Macedonia del Nord e l’Albania rischierebbero d’essere come "criceti sulla ruota": gli sforzi per allinearsi all’Ue non sarebbero sufficienti a consentirne l’ingresso neanche per il 2030. La prospettiva dell’adesione non è più per il think tank con sede a Berlino un obiettivo credibile, e per capirne il motivo basta guardare agli esempi recenti, come quello del Montenegro.
Le tematiche affrontate nel processo di adesione sono divise in 35 capitoli. La procedura prevede che i paesi europei approvino all’unanimità l’apertura di ciascun capitolo, e il passaggio al capitolo successivo può avvenire solo in seguito alla chiusura del precedente. Il Montenegro ha presentato domanda di adesione nel 2008 e i negoziati sono partiti ben quattro anni dopo. Dal 2012 ad oggi, sono stati chiusi solo tre capitoli. L’analisi condotta dal report su questo caso stima che a questi ritmi occorreranno altri trent’anni perché il Montenegro possa giungere al termine dei negoziati.
Secondo il report, la procedura di apertura dei capitoli negoziali è ingannevole e fuorviante e non è un indicatore effettivo dell’andamento del processo. "Chiudere un capitolo nel 2020 non ha alcun senso se l’adesione avrà luogo molti anni dopo; nel frattempo, la legislazione Ue e le condizioni saranno cambiate", scrivono gli autori.
Cosa si potrebbe fare allora per riformare il processo? Vengono fatte numerose proposte:
– Creare una checklist per rendere il processo comprensibile a tutti, cittadini inclusi, e monitorare i risultati.
– Controllare i "parametri vitali" della salute democratica. Piuttosto che focalizzarsi sull’evoluzione delle istituzioni, sarebbe infatti opportuno concentrarsi sui risultati. Si potrebbero monitorare i processi più importanti per verificare l’effettiva indipendenza del sistema giudiziario, valutare i casi concreti di corruzione, valutare il controllo parlamentare dei servizi di intelligence, monitorare la libertà dei media e come vengono trattate le fasce più deboli della popolazione.
– I capitoli del negoziato dovrebbero essere aperti e chiusi tutti insieme (sembra andare in questa direzione la recente proposta della Commissione europea, che ha suggerito di raggruppare i capitoli in sei blocchi tematici per conferire maggiore dinamicità al processo).
– I principi dello stato di diritto andrebbero posti al centro del processo, con un monitoraggio più stretto della salute democratica e della tutela dei diritti umani.
– Il processo di adesione potrebbe essere diviso in due tappe: avendo come obiettivo finale l’entrata nell’Ue, si potrebbe guardare all’esempio della Finlandia e pensare che il percorso di accesso preveda una tappa intermedia di entrata nel mercato unico europeo anche per i paesi dei Balcani occidentali. In questo modo, i paesi candidati potranno beneficiare delle quattro libertà di circolazione (merci, servizi, persone e capitali) ed avere quindi dei vantaggi concreti. L’ingresso nel mercato unico potrebbe essere un obiettivo realistico per tutti i paesi dei Balcani occidentali entro il 2030.
– La reversibilità dovrebbe essere una caratteristica fondamentale del processo, così come è stato proposto anche dalla Commissione europea. Se un paese candidato è responsabile di violazioni dei diritti umani fondamentali o dell’indipendenza del sistema giudiziario, il processo di adesione deve poter essere sospeso attraverso una procedura di votazione a maggioranza semplice. Allo stesso tempo, i dialoghi dovrebbero poter essere riavviati con una maggioranza semplice nel caso in cui vengano rispettate le condizioni poste dall’Ue.
Il report analizza infine la questione della motivazione a mettere in atto riforme pesanti per essere in linea con la legislazione europea. Perché i governi dei paesi dei Balcani occidentali dovrebbero volere impegnarsi in questo processo? Guardando solamente al Pil pro capite, si può vedere come paesi quali la Lituania, l’Estonia e soprattutto la Romania abbiano visto un miglioramento sensibile di questa dimensione dal momento dell’entrata in Unione europea. Gli autori sostengono che la Macedonia del Nord si trovi oggi ad un livello di sviluppo equiparabile a quello della Lituania nel 1999, la Serbia a quello dell’Estonia e la Bosnia Erzegovina a quello della Romania. La politica di allargamento può quindi avere un forte impatto sulle vite dei cittadini, ma affinché questo sia possibile, è necessario che tale politica sia credibile.
In sintesi, la proposta di "Hamster in the Wheel" è di modificare il processo di adesione per renderlo trasformativo. Nessuno dei paesi dei Balcani occidentali ha speranza di entrare a far parte dell’Ue senza una trasformazione profonda delle istituzioni politiche ed economiche. Ad oggi, questi paesi si trovano intrappolati in un circolo vizioso di poche riforme e aspettative basse. La scarsa fiducia nel processo porta i governi a non compiere tutti i passi necessari. Dopo l’avvio dei negoziati, infatti, la prospettiva dell’adesione svanisce in un futuro indefinito.
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