Cittadini di Bosnia Erzegovina: solidali coi migranti
La nuova ondata di migranti che passano dalla Bosnia Erzegovina per poter raggiungere l’UE ha trovato riluttanti e impreparate le autorità ma non la gente. I bosniaco-erzegovesi, memori del loro calvario, si sono subito prodigati in gesti di aiuto
Gli uomini sono come l’acqua: trovano sempre la strada. Ai migranti abbiamo reso quasi impossibile entrare nei paesi dell’Unione europea attraverso i confini serbo-croati e serbo-ungheresi, così loro si sono ri-orientati e cercano di passare attraverso la Bosnia Erzegovina.
A Sarajevo hanno cominciato a arrivare con la primavera, prima uno-due, poi una famiglia, un gruppetto, e oggi sono centinaia. In altre parti della Bosnia Erzegovina la situazione è simile.
Secondo le stime ufficiali nel territorio tra la Grecia e la Bosnia ci sono circa cinquantamila migranti che prossimamente cercheranno di entrare in Bosnia Erzegovina per proseguire verso l’Unione europea.
Compaiono senza far rumore, da un luogo all’altro si spostano come per effetto di un tocco di bacchetta magica. Si siedono sulle panchine, poi improvvisano delle tende di nylon, ne arrivano altri, e nel centro di Sarajevo campeggiano già circa 300 persone.
Si sono sistemati, per così dire, nel parco di fronte alla Vijećnica, che una volta era la sede della biblioteca nazionale, e oggi è un salone per le cerimonie solenni. Proprio in questi giorni nella Vijećnica si è tenuto il ballo di gala della diaspora bosniaca. Gli ospiti, che dopo qualche bicchiere di champagne uscivano dal palazzo per una boccata di aria fresca, potevano vedere sull’altra sponda del fiume Miljacka altri ospiti, non invitati, i migranti che dormono per terra, girano scalzi, mangiano quello che ricevono dai sarajevesi e fanno i bisogni dove capita.
Ma quale astensione?
La gente locale si è messa subito ad aiutarli portando loro cibo e vestiario, li accoglie nelle proprie case, sistema i bisognosi negli ospedali, offre loro dei soldi. Poi si sono aggiunti i gruppi dei volontari e le organizzazioni non governative, cercando di aiutare i migranti in modo più regolare e organizzato.
Per due mesi le autorità hanno fatto finta di non vedere nulla. Ma dato che il numero dei migranti sta aumentando e che, secondo le stime, crescerà molto presto, le istituzioni bosniache si sono mosse, per ora, rilasciando dei comunicati.
Il ministero del Lavoro, Affari Sociali e dei Rifugiati ha ammonito i bosniaci-erzegovesi di non dare in alcun modo assistenza ai migranti.
Il che ci ha fatto ridere.
I bosniaci-erzegovesi hanno ancora fresca la memoria del proprio calvario, sanno bene cosa significhi essere profughi. Non c’è nulla di bello nello status di migrante e nulla di positivo legato al termine stesso. Migranti, profughi, immigrati, tutte queste parole evocano significati come brutto, sporco, straniero, criminale, pericolo, islam, terrorismo.
Abbiamo difficoltà ad astenerci dall’aiutarli, non possiamo guardare dall’altra parte per non vedere la loro miseria, non ci va di ignorare i loro bisogni, non possiamo non simpatizzare con la gente che scappa dalle guerre e dall’ingiustizia.
Siamo reduci del più grande esodo umano in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, quando due milioni e duecento bosniaci, quasi la metà della popolazione, sono diventati profughi/migranti. Ci ricordiamo ancora bene di quando siamo stati costretti a scappare dalle nostre case con una borsa di nylon, di fronte a un fucile, dopo le violenze e i bombardamenti, e di come già allora l’Europa abbia esitato ad accoglierci, noi bosniaci-erzegovesi, europei.
Come possono chiederci di “astenerci” dall’aiutare i nuovi migranti? Abbiamo ancora viva la memoria di essere “indesiderati”, soffrono ancora quelli che hanno subito i campi di concentramento. Nel novembre 1992 quando i campi di concentramento furono “scoperti” (tra virgolette perché già nei primi mesi di guerra si sapeva della loro esistenza) si è tardato per mesi prima di chiuderli e di rilasciare i detenuti perché i governi europei e di altri paesi, già allora, non riuscivano mettersi d’accordo sulla “quota”, cioè quanti profughi bosniaci accogliere.
La mia amica Diana, oggi in Italia e in procinto di diventare una cantante d’opera, si emoziona fino alle lacrime ricordandosi come da piccola con i fratelli e i genitori, stava per giorni all’aperto, nella terra di nessuno, tra la Bosnia Erzegovina e la Croazia, sotto il sole cocente dell’agosto 1992. Non potevano tornare a Jajce, da dove scappavano, e non li lasciavano proseguire.
E poi noi bosniaci-erzegovesi (a prescindere dalla religione), per tradizione, per educazione o per il senso del dovere civile e umano, siamo gente misericordiosa, che aiuta da sempre.
Mi ricordo che, da bambina, quando mia mamma tirava fuori i materassi di lana dall’armadio, significava che erano arrivati degli ospiti improvvisi e che a noi figli sarebbe toccato dormire per terra.
Succedeva che papà, passando per la città, trovasse dei turisti e li portasse a casa per una-due notti. E come i miei così facevano tantissimi altri.
A casa nostra abbiamo sempre soccorso i bisognosi. Nell’estate del 1968 mentre eravamo in vacanza a Podgora, un piccolo villaggio sulla costa dalmata, avevamo conosciuto una famiglia di Praga. Qui ci era giunta la notizia dell’intervento militare dell’URSS in Cecoslovacchia, così abbiamo portato con noi a Sarajevo i nostri nuovi amici praghesi e li abbiamo ospitati nel nostro piccolo appartamento finché la situazione a casa loro non si era calmata.
Confini
Con il rapido aumento dei migranti in Bosnia Erzegovina si comincia a parlare dei confini. Quelli orientali verso la Serbia e il Montenegro che, da quando è finita la guerra, non sono mai stati definiti. I varchi sono poco sorvegliati, e con la crisi migratoria ci si lamenta della mancanza del personale doganale, della polizia, dell’attrezzatura tecnica… Su alcuni punti la Serbia rivendica pretese sul territorio bosniaco.
Eppure negli ultimi 25 anni ci hanno circolato indisturbati sia i criminali di guerra che i comuni criminali, mentre la merce di contrabbando non ha mai avuto problemi nell’attraversare i confini, come pure intere greggi infette da brucellosi, la cui carne veniva poi venduta in Bosnia Erzegovina come “carne buona e locale”. Per non parlare del contrabbando di sigarette che non è mai cessato e continua alla grande, con i camion.
Non si è mai trovato il tempo né la voglia di definire le linee di confine, di assumere personale, di equipaggiare i posti di blocco. Ma adesso che i migranti, passando per la BiH, pressano i confini dell’UE, ecco che i confini non custoditi e non sorvegliati diventano tema di dibattiti e si cercano misure immediate.
I migranti che arrivano in BiH cercano di avvicinarsi ai confini dell’UE, si concentrano a nord-ovest, vicino alla Croazia. La zona confinante si chiama Krajina, che vuol dire limes, il territorio che nel medioevo separava il mondo cristiano da quello musulmano. Da secoli, compresi i tempi moderni, è una zona irrequieta.
Durante l’ultima guerra là hanno combattuto, tra l’altro, i musulmani contro i “musulmani autonomisti”, chiamati così perché il loro leader Fikret Abdić, una volta imprenditore di successo, li ha guidati contro il governo centrale di Sarajevo, facendo sì che i fratelli sparassero contro i fratelli, i figli contro i padri. Anche dopo la guerra la Krajina non si è placata.
Di recente la Croazia ha annunciato l’intenzione di ospitare un deposito di scorie nucleari in quella zona, a Čerkezovac, una località a meno di tre chilometri dal confine con la Bosnia Erzegovina. Il territorio è ricco di corsi d’acqua che costituiscono il bacino di utenza centrale per i fiumi Una e Kupa, due gioielli naturali. Da questa zona più di seicentomila abitanti da ambedue le parti del confine, cioè bosniaci e croati, ricevono l’acqua potabile.
Proteste
Le proteste della Bosnia Erzegovina (BIH) contro il deposito di scorie nucleari così vicino al confine e in una zona vitale, finora erano state snobbate dalla Croazia che si sente privilegiata, in quanto paese membro dell’UE, rispetto alla debole BiH. Ma adesso che l’ondata dei profughi nel territorio bosniaco potrebbe rappresentare un problema anche per la Croazia, il governo di Zagabria ha riavviato i discorsi sul buon vicinato.
La stragrande maggioranza dei migranti che si trova in Krajina ha già provato a entrare in Croazia, alcuni sono arrivati fino a Zagabria, Spalato, Karlovac e Fiume ma la polizia croata li ha riportati nella zona di confine e li ha costretti a tornare in Bosnia Erzegovina. Molti migranti hanno detto di essere stati picchiati, di essersi visti sequestrare gli oggetti personali, i telefoni, e di essere rimasti senza nulla. Ciò è confermato anche dalla signora Sara Kekus, attivista del Centro per le Iniziative di Pace di Sarajevo, che di recente ha visitato le zone confinanti con la Croazia.
Mentre scrivevo questo articolo è arrivata la notizia che i migranti che campeggiavano nel centro di Sarajevo sono stati caricati sui pullman e portati verso Salakovac, una località vicino a Mostar.
Ma la vera notizia è che il commissario di polizia del cantone dell’Erzegovina-Neretva (HNK), Ilija Lasić, ha bloccato i pullman con i migranti nel punto che si considera il confine geografico tra la Bosnia e l’Erzegovina. Ufficialmente perché non si vuole che la crisi migratoria si sposti dal cantone di Sarajevo (dove la maggioranza è costituita dai bosgnacchi) all’Erzegovina, abitata per lo più dai croati-bosniaci.
L’atto è qualificato come “colpo di stato” (perché è contro la decisione del Consiglio dei Ministri, cioè del governo). Si crede che dietro alla mossa ci sia il presidente del partito dei croati bosniaci (HDZ) Dragan Čović, attualmente membro della presidenza tripartita bosniaca. Dopo cinque ore i pullman sono ripartiti e i migranti sono stati sistemati nel centro di accoglienza.
Il presidente della Repubblica Serba (RS) Milorad Dodik, ha respinto ogni possibilità di accogliere i migranti in RS. "Ai bosgnacchi conviene l’immigrazione di siriani, afghani e altri musulmani. Sono popoli della stessa religione. Le autorità di Sarajevo stanno cercando di rafforzare con i migranti la maggioranza musulmana in Bosnia Erzegovina", dice Dodik.
Infatti, il ministro per la Sicurezza bosniaco Dragan Mektić dice di avere notizie che la Serbia vuole liberarsi dei migranti, sta chiudendo i centri d’accoglienza e in qualche modo li invia verso la BiH.
Il presidente bosniaco Denis Zvizdić ha annunciato di voler presentare due note di protesta contro la Serbia e il Montenegro che non sorvegliano a sufficienza i propri confini lasciando passare i migranti.
Intanto i migranti dicono di trovarsi bene in Bosnia Erzegovina. Lodano il comportamento dei cittadini che li aiutano, dicono che la polizia li tratta bene, e alcuni chiedono la possibilità di fermarsi.
Ignorano che in Bosnia Erzegovina, a 25 anni dalla guerra, ci sono ancora centomila sfollati e ventisettemila profughi nel proprio paese.
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