Tipologia: Reportage

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Area: Cipro

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Cipro nascosta

All’ombra della onnipresente divisione di Cipro, nella zona greca e in quella turca nascono realtà ibride che timidamente cercano di oltrepassare i rigidi schemi di divisione

24/02/2017, Giovanni Vale - Nicosia

Cipro-nascosta

“Sai, questa è la prima volta che vengo qui. Ho ordinato parecchie volte da mangiare, ma sempre tramite qualcuno. Oggi, invece, vengo per la prima volta di persona”. Con le mani nelle tasche e il bavero rialzato, Dimitri aspetta che la cameriera del Mey-Han, una taverna dalla cucina tradizionale turco-cipriota, porti i menù. Fuori, la piazzetta che si apre davanti al bel caravanserraglio “Büyük Han” è battuta da un vento freddo, che spinge gli avventori ad allungare il passo e ad entrare in fretta nei locali. “Grazie”, dice Dimitri in inglese dopo aver ordinato qualche piatto da asporto. Poi, attraversa anche lui il breve tratto di selciato e torna a rintanarsi nel bar di fronte, stretto nel suo cappotto. Gli spiedini di carne, le pite e le insalate arrivano poco dopo, accompagnati da humus, salse allo yogurt e patatine fritte. Nel giro di un attimo, tutti i presenti – una decina di persone di nazionalità diverse – si lanciano sulla portata più vicina, facendo improvvisamente silenzio attorno al tavolo.

Se non fosse per il luogo in cui si svolge, la scena appena raccontata non avrebbe alcun valore. Sarebbe una semplice serata tra amici in un locale senza cucina, da cui si parte in avanscoperta verso il ristorantino più vicino, perché, tra un brindisi e l’altro, bisogna pur mangiar qualcosa. In questo groviglio di strade che costituiscono la parte vecchia di Nicosia, queste immagini raccontano invece una storia più ampia, in cui anche le vicende di quartiere sono dense di significato. All’interno delle mura a stella che Venezia costruì (invano) per difendersi dagli Ottomani, la capitale cipriota è infatti attraversata da quella stessa “linea verde” che divide in due l’isola, sdoppiando anche la città in due entità gemelle: Lefkosia per i greco-ciprioti e Lefkoşa per i turco-ciprioti. Come la mappa, anche le relazioni sociali subiscono inevitabilmente questa separazione che dura da oltre 40 anni, trasformando così la breve corsa di Dimitri al Mey-Han in una spedizione che lui stesso non può fare a meno di notare.

Hoi Polloi

Dimitri Podaras è infatti un giovane greco, ha trent’anni ed abita da poco più di un anno in questa stradina di Nicosia Nord, ovvero nella “parte turca”. “Sono arrivato a Cipro nel 2006 e, secondo i miei piani iniziali, avrei dovuto restarci solo qualche mese, il tempo di mettere da parte dei soldi prima di un viaggio in Botswana… Invece sono rimasto”, racconta Dimitri sorridendo. “Ho lavorato perlopiù a Limassol, in hotel, bar e club, finché Simon mi ha contattato dicendo che voleva aprire una caffetteria a Nicosia”. Amico di lunga data di Dimitri, Simon Bahceli è il proprietario del locale in cui si trova ora la comitiva. Di padre turco-cipriota e madre inglese, è nato nel Regno Unito e si è trasferito sull’isola nei primi anni Duemila, lavorando come giornalista per l’agenzia Reuters e per il quotidiano greco-cipriota The Cyprus Mail. A 50 anni, ha deciso di dare vita al “Hoi Polloi” (in greco antico, “Le masse”), un caffè che da fine 2015 ha assunto greci, turchi, ciprioti di entrambe le comunità e stranieri, servendo dei clienti che, allo stesso modo, vengono da ogni dove.

Se il 2016 non è stato l’anno della svolta per i negoziati sulla riunificazione dell’isola, come si augurava la comunità internazionale, lo è stato perlomeno per questo piccolo caffè di Nicosia Nord. “Non so se è stata la nostra presenza a suggerire un intervento da parte del comune, o se siamo semplicemente arrivati al momento giusto, quando l’attenzione delle autorità per la città vecchia è aumentata, ma fatto sta che da diversi mesi la strada è illuminata ogni sera e pulita ogni mattina”, racconta Dimitri. Nella solitamente trasandata e buia parte nord della capitale, questa non è una cosa da poco. Un anno fa, però, l’inserimento nella realtà di Nicosia non è stato dei più semplici. “C’è sicuramente molto nazionalismo e poca apertura mentale da queste parti”, ammette Simon, che ricorda come i commercianti non abbiano inizialmente apprezzato il successo del Hoi Polloi, né la sua clientela. “C’è sempre un via vai di omosessuali e hippies qui da noi… Diciamo che c’è voluto un po’ perché lo accettassero”, conclude Simon, spostandosi i lunghi capelli biondi ai lati del viso.

La nazionalità di Dimitri ha poi rappresentato un altro scoglio da superare. “Era un valore aggiunto – scherza il giovane greco – un motivo di tensione in più, ma che in realtà si aggiungeva soltanto alla vera fonte di conflitto, ovvero al timore di una competizione commerciale”. Col passare dei mesi e grazie al fatto che il successo del caffè ha portato più clienti anche ai ristoranti vicini, le origini di Dimitri sono passate in secondo piano. “Hanno capito che siamo brave persone, ma non posso dire che i problemi siano finiti – avverte Dimitri – al contrario, ho l’impressione che senza un sostegno da parte delle autorità e senza che la politica vada in questa stessa direzione, sarà molto difficile cambiare questa società”.

Un’ora indietro

A pochi metri dal Hoi Polloi, camminando verso sud, si arriva al checkpoint di Ledra Street, il valico pedonale che dal 2008 permette di andare su e giù per la città vecchia. Mostrando un documento ai poliziotti annoiati, si può attraversare la “linea verde” ad ogni ora del giorno e della notte, rimanendo sempre all’interno dei bastioni veneziani. Decisamente più animata e sviluppata, la parte sud di Nicosia è anche l’unica ad essere internazionalmente riconosciuta dopo il 1974, ovvero da quando l’esercito turco ha invaso l’isola rispondendo ad un tentativo di annessione della stessa alla Grecia. Le diverse direzioni prese allora dalle due parti del paese si rispecchiano con evidenza nelle due metà della capitale, divise non solo nell’amministrazione e nella lingua, ma anche dal punto di vista monetario (l’euro a sud, la lira turca a nord) e persino “orario”, dato che dall’ottobre 2016 la Turchia (e di conseguenza Cipro nord) non applica più l’ora legale. A meno di cento metri dalle vetrate del Hoi Polloi, bisogna insomma portare indietro di un’ora le lancette dell’orologio.

Nicosia (foto G. Vale)

Nicosia (foto G. Vale)

Ma malgrado la sua maggiore apertura verso il mondo esterno e la sua superiore ricchezza, l’area a sud del confine non riesce comunque ad evitare l’assillante questione della divisione, che sovrasta come una cappa qualunque attività quotidiana. Nicosia è l’”ultima capitale divisa d’Europa”, si legge sul sito del comune, che paradossalmente trasforma questa pomposa definizione in una sorta di slogan turistico. “Quando nasci e cresci in una città divisa de facto (e da una separazione avvenuta molto prima che noi nascessimo), questa situazione “anormale” diventa parte della tua realtà e del tuo quotidiano”, fanno sapere i ragazzi di “Use-it Nicosia”, un gruppo di sette greco-ciprioti e un belga di età compresa tra i 25 e i 32 anni, che nel 2015 hanno dato vita ad “una mappa di Nicosia per giovani viaggiatori fatta da locali” (la si trova qui). “Ci sono delle restrizioni alla mobilità, delle questioni ancora aperte sulla proprietà e delle implicazioni legali che non esistono in nessun altro paese europeo”, proseguono gli otto giovani, che si dicono comunque “molto contenti di vedere i cambiamenti positivi che avvengono, come il fatto che le persone di entrambi i lati si incontrino per lavorare, divertirsi o interagire”.

Una mappa a metà

Nella mappa che hanno creato e che è già arrivata alla seconda edizione, Demetra, Savvas, Pantelis e gli altri propongono ai viaggiatori di scoprire i luoghi della loro adolescenza, i bar più animati e i take-away a buon prezzo, così come i migliori luoghi in cui baciarsi, o ancora le leggende urbane e i miti in circolazione. Anche la “questione cipriota”, com’è chiamata in gergo diplomatico, non è evitata, anzi. “La cooperazione è la cosa più importante”, scrivono gli autori della cartina, suggerendo a chi visita Nicosia di fare un giro all’Home Café, il bar e tavola calda del centro culturale Home for Cooperation (H4C), aperto nel 2011 nella cosiddetta “buffer zone”, la terra di nessuno situata tra i due confini. Tra i manuali di peace-building e i libri sulla storia dell’Irlanda del Nord, del Sud Africa o ancora della Jugoslavia, gli avventori possono in effetti farsi un’idea di cosa significhi ricostruire il dialogo dopo un conflitto. L’atmosfera è forse un po’ artificiale, ma le buone intenzioni ci sono tutte.

Date queste belle premesse, non può che sorprendere, dunque, il fatto che la mappa alternativa di Nicosia si fermi alla “linea verde”. La parte settentrionale, anche quella compresa all’interno della vecchie mura, non è infatti considerata. “Non era nostra intenzione tagliar fuori una parte della città – assicurano gli otto giovani di Use-it Nicosia – ma non appena abbiano iniziato a fare qualche telefonata per imbastire il progetto, ci siamo resi conto che è illegale anche soltanto nominare le ‘nuove’ strade (rinominate dopo il 1974, ndr.) nella parte nord della città”. I ragazzi però precisano di avere degli amici turco-ciprioti e di essere già andati “dall’altra parte”. Sulla cartina, hanno anche precisato di “non conoscere abbastanza bene la parte settentrionale”, dove fino al 2003 non potevano mettere piede, e di non voler quindi scrivere di ciò di cui non se ne intendono. A qualche centinaio di metri più a nord, quelle stesse righe e quella cartina lasciata a metà probabile facciano sbuffare Dimitri, che a quel progetto underground e alternativo avrebbe proprio voluto partecipare.

Calata la sera sulla parte sud di Nicosia, un uomo spinge un carretto fino all’inizio di Ledra Street, la trafficata via dei bar che comincia ad animarsi. Si chiama Elias ed è una delle “leggende urbane” che gli otto giovani cartografi hanno deciso di condividere con i viaggiatori. Nel suo piccolo chiosco mobile, Elias vende delle uova sode, dei tortini salati al formaggio o dei sottili dischi di pane coperti di carne tritata e speziata. Elias ne sfila uno dal suo carretto, ci strizza sopra un po’ di limone e poi lo arrotola in una carta per alimenti. “E’ un lahmacun”, spiega con naturalezza. Una “pizza turca”, com’è altrimenti nota. Una di quelle specialità con cui, a sud come a nord del confine, si concludono spesso le serate che tirano all’alba.

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