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Cipro, l’ultimo muro nel Mediterraneo

Il disgelo fra Atene ed Ankara e l’adesione all’UE avevano rimesso in moto, a Cipro, la diplomazia. Ora tutto sembra di nuovo bloccato. Un reportage di Paolo Bergamaschi ripreso da OB dalla Gazzetta di Mantova

12/05/2005, Redazione -

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Di Paolo Bergamaschi

Pochi sanno che il termine «linea verde» fu coniato a Cipro. Era il 1964. Qualche mese prima Nicosia era stata scena di violenti scontri fra la comunità Turco Cipriota e quella Greco Cipriota. La Gran Bretagna, la potenza coloniale che per ottant’anni aveva governato l’isola, era stata chiamata ad impiegare il proprio esercito, ancora presente nelle basi che tuttora mantiene, per monitorare il cessate il fuoco.

In un incontro fra le parti il generale Young prese un pastello verde e tracciò sulla cartina della città una linea per stabilire le zone cuscinetto fra i quartieri abitati in prevalenza dai Greco Ciprioti e quelli abitati dai Turco Ciprioti. Da allora il termine «linea verde» è entrato nell’uso comune per definire il confine provvisorio che separa due parti in conflitto. Ma mentre la linea verde in altri luoghi ha avuto vita breve a Cipro si è trasformata in una barriera insormontabile dalle fondamenta estremamente solide.

Nell’isola, indipendente dal 1960, i due gruppi etnici provarono, poi, ancora per alcuni anni a convivere fino al 1974 quando in seguito ad un tentativo di un colpo di stato promosso dai militari al potere a quel tempo in Grecia la Turchia inviò le sue truppe per difendere la comunità Turco Cipriota.

Da allora i soldati turchi non se ne sono più andati occupando stabilmente la parte settentrionale dell’isola che il governo di Ankara, unico al mondo, riconosce come Repubblica Turca di Cipro Nord. Il resto del territorio, corrispondente a più del 60% dell’intera superficie, è controllato dai Greco Ciprioti il cui governo è riconosciuto dalla comunità internazionale come il solo legittimo rappresentante di tutta la Repubblica di Cipro.

Le autorità greco cipriote «de jure» hanno giurisdizione su tutta l’isola ma «de facto» ne governano solo una parte. Quello di Cipro è uno dei conflitti più vecchi. Tanti sono stati i tentativi per trovare una soluzione complessiva ma tutti sono miseramente naufragati. La Turchia era un alleato troppo prezioso negli anni della guerra fredda ed i paesi occidentali non avevano alcun interesse a metterla sul banco degli imputati. Ai Turco Ciprioti, poi le cose stavano bene così al riparo dall’estremismo greco che voleva portare l’isola sotto il controllo di Atene. Con la fine dell’impero sovietico le condizioni sono cambiate. Il disgelo fra Grecia e Turchia e la domanda di adesione all’Unione Europea prima di Cipro (n.b. la Repubblica di Cipro, quella greco Cipriota) poi della stessa Turchia hanno rimesso in moto la macchina della diplomazia internazionale che aveva quasi dimenticato la questione.

Fino al 1999 il vecchio leader turco cipriota Rauf Denktash aveva di fatto ricattato l’altra parte opponendosi all’ingresso di Cipro nell’Unione nel caso il conflitto non fosse stato risolto. In quell’anno però le cose cambiano perché Bruxelles decide che l’isola può entrare comunque, indipendentemente dallo stato del processo di pace. Per risolvere il paradosso il segretario delle Nazioni Unite fa un ultimo tentativo prima della data di adesione. Convoca le due parti a Buergenstock, un centro sulle Alpi svizzere, e le sottopone ad un «tour de force» negoziale imponendo alla fine un piano di pace che nel referendum dell’aprile dello scorso anno la parte turco cipriota approva con il 65% dei voti la parte greco cipriota clamorosamente boccia con il 75% dei voti.

Il primo maggio 2004 la Repubblica di Cipro entra nell’Unione Europea anche se il diritto comunitario rimane sospeso nella parte settentrionale dell’isola. Un anno è trascorso dal fallimento di quell’ultimo tentativo delle Nazioni Unite. Se prima era sempre stata la parte turco cipriota ad opporsi alla riunificazione oggi è quella greco cipriota la più recalcitrante, forte del fatto di essere membro nell’Unione Europea e convinta quindi di poter spuntare condizioni più vantaggiose nel caso si riaprissero i negoziati di pace.

Papadopulos, l’attuale presidente, è un nemico dichiarato del piano dell’ONU. Contesta il fatto, come la maggior parte di Greco Ciprioti, che gli ex. rifugiati possono tornare alla loro casa in misura limitata con numeri contingentati e scaglionati nel tempo. Vorrebbe ritornare allo status quo ante 1974 ma le lancette dell’orologio nel frattempo hanno continuato a girare creando una situazione sul terreno che non può essere ignorata. Greco e Turco Ciprioti per vivere insieme hanno bisogno di un lungo periodo di adattamento in cui ricostruire le basi per un futuro comune. Il nuovo stato cipriota dovrebbe avere una struttura federale con due entità costituenti. Ai Greco Ciprioti non va giù il diritto di veto accordato alla controparte. Lo considerano una garanzia eccessiva per una comunità che costituisce solo il 20% della popolazione della isola. I Greco Ciprioti dimenticano però che all’origine del conflitto c’è il tentativo di colpo di stato partito da Atene ai danni dei Turco Ciprioti con una scia interminabile di eccidi e sopraffazioni. Nella primavera del 2003 con una decisione a sorpresa le autorità turco cipriote hanno aperto tre nuovi varchi nella linea verde oltre a quello dell’hotel Ledra Palace che dal 1974 era stato l’unico punto di passaggio, accessibile però solo agli stranieri. Nei giorni successivi migliaia di persone si sono riversate sulle strade per tornare a visitare i luoghi di origine dopo quasi trent’anni di reciproco isolamento. Greco e Turco Ciprioti hanno ricominciato a guardarsi negli occhi senza però riuscire a scalfire ancora gli stereotipi alla base dell’incapacità di comunicare capirsi. Nicosia (Lefkosia per i locali) è una città dai due volti.

All’interno delle mura i quartieri greco ciprioti ostentano lusso e modernità mentre dall’altra parte la vita continua a scartamento ridotto tra edifici fatiscenti che cercano di resistere all’incedere spietato degli anni. È qui però che il turista ritrova le ragioni della sua presenza. Quando cala la notte le poche flebili luci sembrano tagliare il buio lungo i vicoli silenziosi mentre nel lato greco cipriota l’illuminazione invadente scopre impietosa i tratti ruvidi e spigolosi dei condomini in cemento armato che sovrastano il chiasso dei locali notturni. Due facce della stessa medaglia. Un paese bifronte. Un paese che vuole dimenticare ma non ne è capace.

Osservo al check point nel primo pomeriggio il ritorno a piedi nella parte nord dei pendolari turco ciprioti. Sono ormai 5.000 da quando la linea verde si è fatta permeabile. Mai un incidente. Ci si vede, ci si conosce, poi però si ritorna nelle rispettive case impregnate di pregiudizi. Dicono che i corsi di lingua greca per turco ciprioti di turco per i greco ciprioti straripino di partecipanti. Sono piccoli segnali che ci obbligano a sperare. A volte si ha l’impressione che il muro più che fisico sia psicologico ma sono proprio i muri virtuali quelli più difficili da abbattere.

Gaston Neokleus mi accompagna a Famagusta. Una macchia gialla ininterrotta ci segue lungo la strada fino alla meta. L’esplosione primaverile dei fiori di mimosa è uno spettacolo unico mentre costeggiamo sul versante greco cipriota il reticolato della linea verde presidiata dalle torrette di guardia dell’esercito di Ankara. Famagusta, dalle chiare origine veneziane, era il maggior porto dell’isola prima del conflitto. Si trova nella parte nord poco oltre la linea verde che attraversiamo dopo che i doganieri turco ciprioti hanno controllato i documenti.

Il quartiere meridionale della città, all’esterno delle antiche mura, si chiama Varoscia. È questo il vero obiettivo della breve trasferta. Qui si può comprendere quanto sia assurda l’attuale situazione. A Varoscia vivevano 35.000 Greco Ciprioti che nel 1974 di fronte all’avanzata delle truppe turche scapparono in fretta furia abbandonando tutto per trovare rifugio in luoghi più sicuri. C’è chi dice che i Turchi non volessero invadere la città ma che di fatto se la trovarono consegnata su un piatto d’argento. In previsione di un eventuale equilibrio negoziale della spartizione dell’isola decisero di sequestrarla con una recinzione di filo spinato per impedire a chiunque di entrare. Varoscia da trent’anni è una città fantasma. Ci avviciniamo lungo la spiaggia fino al filo spinato. La vista si perde sul lungomare deserto tra le sagome dei grattacieli. Un tuffo al cuore, rabbia e tristezza. Provate a pensare che improvvisamente scoppi la pace, al reticolato divelto e 35.000 sfollati non tutti ancora vivi ma rimpiazzati o seguiti da figli e nipoti che tornano in massa alle proprie abitazioni.

Gaston è architetto. Mi spiega che il cemento armato rimasto per decenni senza manutenzione non è più affidabile. Chissà quanti edifici sono inutilizzabili e dovranno essere abbattuti. Lavora al Ministero degli Interni che da qualche mese sta pianificando e predisponendo le misure per un eventuale ritorno della popolazione. Un altro segnale incoraggiante che testimonia che c’è qualcuno che crede nella pace. Sono tornato a Cipro con Joost Lagendijk, euro-deputato olandese presidente della delegazione del Parlamento Europeo per le relazioni con la Turchia. Volevamo capire se esiste ancora la possibilità di un futuro comune per le due comunità e sostenere le forze del dialogo. Incontriamo così nella parte nord Mehmet Talat il nuovo leader Turco Cipriota (p.s. pochi giorni dopo verrà eletto presidente di Cipro Nord). È un convinto assertore della riunificazione. È soprattutto grazie a lui che la comunità turco cipriota ha detto si al piano delle Nazioni Unite superando trent’anni di sospetti. Vuole una risposta chiara dall’Unione Europea, gesti concreti in aiuto di chi si batte per la fine del conflitto.

La parte settentrionale dell’isola dal giorno dell’occupazione turca è isolata da un embargo internazionale che in pochi anni ha creato una forbice di reddito pro capite fra le due comunità di uno a quattro. Senza garanzie internazionali i Greco Ciprioti potrebbe comprarsi tutto annettendo di fatto la parte settentrionale. L’obiettivo dell’attuale presidente greco cipriota Papadopulos è proprio la capitolazione della controparte dettando unilateralmente le condizioni di pace. Dopo aver respinto la proposta ONU non si pronuncia nemmeno su quali sono i punti del piano che vorrebbe rinegoziare. Lo stesso Papadopulos sta bloccando da mesi con la Grecia in seno al Consiglio dell’Unione Europea un pacchetto di aiuti economici di 259 milioni di euro per la parte nord e la possibilità per questa di stabilire relazioni commerciali dirette con altri paesi senza passare per la parte meridionale. Il processo di adesione aveva rimesso in moto il processo di pace. L’ingresso di Cipro nell’UE l’ha bloccato. Ricatti, dispetti, incomprensioni e ripicche si sono succeduti con un ritmo disarmante.

La strada della pace sull’isola è piena di trappole, imboscate ed incroci sbagliati. Per trent’anni le parti hanno avuto sporadici contatti a livello di rappresentanti di governo. Gli stessi rappresentanti che poi per un pugno di voti una volta tornati nelle rispettive comunità hanno soffiato sull’odio etnico aggiungendo mattoni ad un muro che nel corso degli anni si è fatto sempre più alto. Le nuove generazioni sono cresciute coltivando il disprezzo per i coetanei oltre la barriera. È mancata l’educazione alla pace ed oggi è molto difficile colmare questo vuoto. Penso alle grandi manifestazioni contro la guerra in Iraq. Penso all mancata manifestazione per la pace a Cipro. Mi piacerebbe organizzare una marcia per la pace tra le due Nicosia che recida una volta per tutte la linea verde. Ma l’ombra del muro si sposta con il sole tra le due parti. E solo di notte c’è tempo per sognare.

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