Cipro, diffidare da chi ha certezze
La quarta e ultima lettera di Fabio Fiori che ci racconta un viaggio in bicicletta a Cipro. È anche disponibile una mappa interattiva, con tutte le cartoline e lettere che ci ha inviato
“Vieni, Desdemona, ancora una volta / Benvenuta a Cipro!”. È Otello che parla, nell’Atto Secondo dell’omonina tragedia di Shakespeare, scritta nei primi anni del 1600, quando ancora le terribili cronache della presa ottomana di Cipro erano vivissime. Pagine che sono andato a rileggere all’alba sulle antiche mura di Famagosta, l’odierna Gazimağusa, prima di rimettermi in sella per riattraversare le frontiere e ritornare nella Cipro greca. Servirebbe forse proprio l’acume di Shakespeare, la sua straordinaria capacità di disvelare realtà nascoste, di aggredire stereotipi fuorvianti, per raccontare anche la storia recente dell’isola. Una vicenda terribile e complicata, dove verità e menzogne si mescolano continuamente, dove credo sia necessario diffidare di chi ha certezze, qui forse più che altrove. Perché Cipro è da sempre un crocevia, un luogo strategico, un’isola che ammalia e che scatena sentimenti pericolosi.
“Quando non c’è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza. Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali. Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua offesa. Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro, ma chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso”. Così dice il Doge di Venezia, nella prima scena del dramma shakespeariano. Parole riprese da Pier Paolo Pasolini e cantate da Domenico Modugno in “Cosa sono le nuvole”. Ed è ascoltando e riascoltando questa canzone che pedalo nel tardo pomeriggio lungo la desolata strada Vahit Güner Caddesi, che costeggia la spettrale recinzione est di Varosha, in direzione del posto di frontiera di Deryneia, a soli 6 chilometri dal centro di Gazimağusa.
Arrivo al tramonto, dopo altri 8 chilometri, ad Ayia Napa, una delle più caotiche e modaiole località balneari di Cipro. Qui suv e quad intasano il lungomare, mare per altro reso invisibile da alberghi, residence e mille altre costruzioni ad uso vacanziero. Scappo all’alba in direzione est verso Larnaka, che prende il nome dalle sue antiche tombe e urne, the larnas, scrive Colin Thurbon, infaticabile camminatore e narratore inglese che nella primavera e nell’estate del 1972 percorse in lungo e in largo l’isola a piedi, raccontandola poi in Journey into Cyprus, purtroppo mai tradotto in italiano. Larnaka, come tutte le altre città cipriote, è un intricato coacervo di antichità e modernità, di cripte medievali, edilizia anni Settanta e grattacieli futuribili. Dopo settanta chilometri in direzione ovest, un lungocosta abbastanza trafficato, c’è la più grande Limassol, per dimensione la seconda città dell’isola, dopo la capitale Lefkosia.
Tappa meditativa e poetica sulle rovine dell’antichissima città dei re: Amathus. Secondo la leggenda fondata dal re Cinyras e scavata alla fine dell’Ottocento da un incredibile personaggio italiano: Luigi Palma di Cesnola. Di famiglia nobile, nato nel 1832 a Rivarolo Canavese, vicino a Torino, combatté per l’indipendenza italiana e la secessione americana. Divenne cittadino americano, poi console a Cipro e qui promosse anche importanti campagne di scavo, prima di diventare il primo direttore del Metropolitan di New York. Lì è conservato lo straordinario Amathus sarcophagus, che è decorato in maniera elegantissima con carri e processioni trionfali, figure simboliche religiose di Bes e di Afrodite-Astarte, risalenti al V secolo a. C.. Limassol è porto di mare, nell’accezione più generale, crocevia di genti ed economie d’ogni dove. Città di frontiera anche, perché limitrofa al territorio inglese di Akrothiri che insieme a Dhekelia sono le due basi militari appartenenti British Overseas Territory. Nessuna frontiera da superare, ma Union Jack, telecamere, ordine e asfaltature perfette, degne della miglior tradizione britannica.
Poi il percorso piega verso il mare e mi trovo inaspettatamente intrappolato sulla strada statale B6 chiusa per frana! Decido di verificare direttamente l’impossibilità di attraversare, anche con bici in spalla, anziché dover ritornare indietro, in salita!, e allungare il percorso di più di 30 km. Strada sbarrata, cantiere chiuso, barriera con jersey in cemento e alta inferriata. Non mi scoraggio, scendo dalla bici e m’arrampico per verificare la situazione. Si passa!… facendo scavalcare prima le borse e poi la bici. I restanti venticinque chilometri per arrivare a Paphos sono una piacevole pedalata, con una prima tappa alla Pietra d’Afrodite e nuotata celebrativa nelle acque cristalline che la circondano. Seconda tappa al Santuario di Afrodite, per godere di ombre antiche, propizie alla lettura delle ultime pagine della raccolta poetica di Konstantinos Kavafis. “Non muoiono gli dei. Muore la fede / della moltitudine ingrata dei mortali. / … / Negli dei, come in noi, fioriscono ricordi, / e i palpiti dei loro primi amori”.
PS
Per entrare magicamente nelle atmosfere seicentesche di Cipro si può vedere o rivedere, nella versione da poco restaurata, il capolavoro di Orson Welles, Otello (The Tragedy of Othello: The Moor of Venice), Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1952. Di tutt’altro genere, onirico e poetico, ma sempre legato all’Otello è Che cosa sono le nuvole? un episodio diretto da Pier Paolo Pasolini del film Capriccio all’italiana (1968), con un commovente Totò nella parte di Iago, la sua ultima magistrale recitazione. Un tragico racconto poetico, scritto in una Cipro dilaniata dalla guerra d’indipendenza dall’Impero Britannico, è quello composto dal greco Giòrgos Sefèris, Premio Nobel nel 1963: Giornale di bordo III, pubblicato nel 1955.
Il viaggio
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