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Cinema: da Pesaro a Sarajevo

Si è conclusa a fine giugno la 50ma edizione della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro. Una rassegna

07/07/2014, Nicola Falcinella -

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“I ponti di Sarejavo” ha vinto il Premio del pubblico per la sezione Cinema in Piazza alla 50° Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro. Il film collettivo a episodi che ha riunito 13 registi europei nel ricordare il centenario dell’attentato di Gavrilo Princip è stato proiettato in contemporanea a Sarajevo e ha colpito gli spettatori pesaresi con le sue storie che vanno dal 1914 ai giorni nostri e gli episodi firmati da grandi registi come Jean-Luc Godard, Cristi Puiu, Sergei Loznitsa fino ad Aida Begic e Ursula Meyer.

L’indiano “Liar’s Dice” di Geethu Mohandas ha invece vinto il premio Lino Miccichè tra i sei del concorso internazionale: in giuria anche l’attrice e regista portoghese Maria de Medeiros, nota soprattutto per l’interpretazione di “Pulp Fiction”. Una menzione è andata al colombiano “Tierra en la lengua” di Ruben Mendoza, che ha avuto anche il premio “Pesaro Cinema Giovane”. Il premio “Cinema e diritti umani” di Amnesty International è stato assegnato al documentario russo “Mamma, io ti ucciderò” di Elena Pogrebizhskaja, 
inserito nella sezione “Sguardi femminili russi”.

Una menzione speciale della giuria di Amnesty International è andata a “The Fall from Heaven” di Ferit Karahan, film turco coprodotto dall’italiano Gabriele Oricchio, con le musiche di Daniele Sepe e il montaggio di Marco Spoletini. Un’opera prima ambientata dopo gli scontri del 2001 e che racconta in parallelo due storie, di una bambina curda e una ragazza turca.

Emine, una giovane donna ingegnere inizia a lavorare in un cantiere edile a Istanbul, dove la maggior parte degli operai sono di origine curda. La piccola Ayse vive in un villaggio curdo, frequenta la scuola e sta perdendo la vista. Entrambe sono determinate a lavorare bene, fare la loro strada e affermarsi. La bambina ama leggere e sogna di andare a Istanbul. L’ingegnere vuole dimostare, a sè stessa, al padre, ai lavoratori del cantiere, di sapersela cavare in un ambiente completamente maschile che la guarda con scetticismo. Quasi tutti gli operai sono curdi, vivono per lo più ammassati in un locale sul retro e tra loro c’è un minorenne. E se Emine sente questa situazione sempre più respingente, le cose cambiano quando avviene un incidente e tocca a lei assumersi il peso di alcune scelte. Anche la storia di Ayse prende una piega drammatica, in un’atmosfera di tensione e di minaccia crescente che non risparmia suo fratello. Pur nelle differenze sociali, etniche e anagrafiche, le due protagoniste si confrontano con la durezza della vita e sono chiamate a scelte coraggiose e a mettere in discussione tutto.

Il curdo Karahan, a Pesaro, ha raccontato di essere stato imprigionato per tre mesi nel 2003 solo per aver insegnato la lingua del suo popolo. Il regista ha spiegato che "negli ultimi tempi il governo turco ha dichiarato di volere un percorso di pace con i rappresentanti del Pkk, ma la situazione non è cambiata molto e le persone continuano a morire negli scontri. Il mio film è un modo mostrare con rispetto il dolore di entrambe le famiglie". Il film stato finora visto solo in alcuni festival e a quello di Antalya il regista è stato accusato conferenza stampa “di essere un terrorista nonostante il film parli chiaramente di pacificazione”.

Altro protagonista del festival è stato il grande regista georgiano Otar Ioseliani, che ha tenuto un incontro pubblico molto seguito. Il regista ha parlato del suo amore per Vittorio De Sica: “Il mio film preferito tra i suoi è “Miracolo a Milano”, così semplice, normale, pieno di pensiero, di tristezza e di solidarietà”. Ioseliani ha parlato anche della censura. “Il mio amico Grigorij Chukhraj (“La ballata di un soldato”, ndr) mi consigliò di girare i film in poco tempo, meno del consueto, in modo che quando fosse arrivato un controllo il film sarebbe stato già completato. Fu così che iniziai a disegnare gli story-board inquadratura per inquadratura per arrivare sul set pronto”. “Anche il metodo capitalista di fare film l’ha reso molto costoso e difficile – ha aggiunto – la regola dello scavalcamento di campo introdotta da Hollywood ha rovinato il cinema: ha creato il dialogo e il mestiere di dialoghista. Se non capite la lingua, non capite nulla; ma se uno capisce la lingua, può chiudere gli occhi e ascoltare e non succede altro. E non sono dialoghi né da Goldoni né da Molière, tanto meno da Shakespeare!”. Al termine è stato proiettato il suo capolavoro “C’era una volta un merlo canterino ” del 1970, inserito nella rassegna di 15 grandi film degli anni ’60 e ’70 presentati nelle prime edizioni della manifestazione pesarese. E’ la storia di un percussionista di un’orchestra licenziato perché sempre in ritardo. Un inno alla libertà girato con lo stile leggero, inventivo e irriverente di quegli anni.

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