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Che fare, a Bucarest – IV

Un reportage sull’arte contemporanea nei Balcani. Dopo Belgrado e Novi Sad Luca Arnaudo, scrittore e critico d’arte, va alla scoperta di Bucarest. La quarta e ultima puntata: l’incontro con Nicu Ilfoveanu, giovane professore di fotografia

02/02/2006, Redazione -

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Di Luca Arnaudo

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"Io vedo le cose in questo modo e penso che non ci sia niente di sbagliato e a proposito dell’arte in un paese… arte e storia… in effetti sono la prima immagine che un paese dà di sé"

In una strada appartata del centro di Bucarest, nei pressi di Piata Romana, si trova lo studio di Nicu Ilfoveanu, giovane professore di fotografia alla locale Accademia di Belle Arti. Mentre la finestra della stanza inquadra nella luce del tramonto le cupole della chiesa ortodossa di Amzei, una delle poche scampate all’abbattimento, l’artista mi mostra alcune serie di fotografie di grande formato. Sono immagini di profonda bellezza, tutte caratterizzate da una grazia contemplativa e silenziosa. Periferie spoglie, campi da calcio deserti, scorci minimi di una natura inconsapevole e per lo più colta nel tempo trasparente dell’inverno si mostrano ora in un ricercato bianconero, ora nei colori personalissimi ottenuti combinando tecniche antiche come l’autochrome (il primo processo industriale di stampa fotografica a colori, inventato dai fratelli Lumière nel 1904 con l’impiego di pigmenti di colore) alle più aggiornate tecniche di trattamento digitale, applicate dopo lo scatto, e la stampa su una particolare carta matte. Forse il fascino delle immagini deriva anche dalla scelta di Nicu di utilizzare come mezzo di ripresa una box camera, ovvero un apparecchio fotografico di vecchia fattura per pellicole di medio formato (6/9 cm), ad apertura unica (f11) con soli due tempi di esposizione (30 secondi o bulb-B) e lenti non predisposte per la fotografia a colori. Quando si scatta con una macchina del genere, mi spiega, non si può preparare praticamente nulla, per questo tanto più forte si trasmette al fotografo l’impressione di stare rubando con destrezza ma anche imprevedibilità un frammento di vita reale, insieme recuperando la bellezza di una tecnica che, nella sua semplicità, può consentire una visione più chiara delle cose senza distrazioni tecnologiche inessenziali.

Spesso, nel corso della conversazione, ho l’impressione netta di avere a che fare con una sensibilità estrema e in definitiva poetica, attenta nell’uso delle parole quanto nella definizione delle immagini. Nicu mi parla, ad esempio, del suo sforzo di rispettare sempre ciò che gli appare attraverso la fotografia; del resto, di solito non utilizza le macchine digitali proprio perché – continua – con il mezzo analogico si inquadra, si scatta e poi si torna a guardare il soggetto, mentre con la nuova tecnologia quel che si guarda alla fine è la ripresa appena terminata sullo schermo, e questo semplicemente non è educato verso il soggetto dello scatto.

Una simile cura nel preservare un atteggiamento di attenzione Nicu la dimostra anche nel rapporto con il suo paese, di cui mi parla a lungo in relazione alla propria attività d’artista. Racconta, per esempio, di trovarsi bene a lavorare a Bucarest e di non volersene andare, tanto più ora che le informazioni si possono reperire con facilità, senza doverle più rincorrere al modo in cui erano invece costretti gli artisti del primo novecento, sradicandosi culturalmente per trasferirsi nei centri nevralgici dell’arte mondiale. Un artista dovrebbe viaggiare quanto più gli è possibile, continua, ma non perdere il contatto con il proprio paese, altrimenti perde anche una parte fondamentale di sensibilità. Inoltre, una periferia culturale come la Romania consente di concentrarsi meglio sulla propria ricerca, senza distrazioni: seguo semplicemente la mia strada, dice.

La mostra più recente di Nicu, tenutasi alla Galeria Posibila di Bucarest nel maggio 2005, esemplifica al meglio la sensibilità e le convinzioni dell’artista: Tourist You are the Terrorist. Il turismo inteso come una sorta di pigrizia mentale che distrugge la bellezza del mondo, mi spiega Nicu, è un pensiero che lo inquieta. Proprio per questo, in contrasto con il titolo aggressivo, le immagini esposte non avevano minimamente a che fare né con quelle a cui d’ordinario si associa il terrorismo, né con il turismo, ma consistevano di scorci minimali di vita quotidiana, interni di abitazioni o angoli dimessi di città e natura: posti dove viviamo, perché non viviamo in una cartolina, e la vita è nel mezzo, mi dice calmo.

Lascio lo studio del fotografo quando è già sera inoltrata, finita anche l’ottima bottiglia di vino transilvano rimasta sul tavolo accanto alla finestra. Sceso per strada ripenso intanto, nel buio che lotta con l’illuminazione sconnessa dei lampioni, alle parole di Nicu e a questo mezzo in cui tutti ci troviamo: un mezzo che gli incontri, anche attraverso l’arte, allargano con inaspettata generosità. Osservarlo più attenti, e riconoscenti per ciò che offre, mi pare infine una buona cosa da fare (naturalmente non solo a Bucarest).

Bucarest, agosto 2005
Roma, dicembre 2005
* Scrittore, traduttore, giurista e critico d’arte, vive e lavora a Roma. Nel 2005 ha pubblicato il libro Atelier Nord (ed. Nerosubianco). Per l’Osservatorio sui Balcani ha scritto, nel 2005, un reportage in cinque puntate su arte e artisti in Serbia.

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