Caucaso del nord: il caso Gvashev scuote il mondo circasso
L’organizzazione di una preghiera pubblica in ricordo delle vittime del massacro circasso del 1864 è costata una discussa sanzione all’attivista Ruslan Gvashev, che si difende appellandosi al diritto alla libertà religiosa
In un articolo apparso a metà ottobre sul quotidiano online Nezavisimaya Gazeta, l’autore Artur Priymak ha parlato di una “piccola rivoluzione” in atto nel mondo circasso, scatenata dalla battaglia in favore della libertà religiosa portata avanti negli ultimi mesi da Ruslan Gvashev, attivista appartenente al popolo shapsug, una delle dodici tribù circasse.
Per quanto possa essere esagerato associare il termine “rivoluzione” alla serie di eventi che questo caso ha generato, il titolo dell’articolo proposto da Priymak su Nezavisimaya Gazeta dimostra come il caso Gvashev, nato come semplice disputa amministrativa, sia riuscito a riportare all’attenzione dei vertici della Federazione Russa la questione circassa, incentrata sul problema del riconoscimento del processo di pulizia etnica subito da questo popolo nel XIX secolo.
La questione emerse per la prima volta negli anni Novanta, in seguito alla dissoluzione sovietica, con la formazione dei primi gruppi di attivisti che da allora si battono in difesa dei diritti delle minoranze circasse presenti all’interno del territorio della Federazione Russa, chiedendo a Mosca di riconoscere le proprie responsabilità in merito ai fatti del 1864, che gli stessi circassi definiscono genocidio.
Dopo anni di battaglie passate più o meno in sordina, la questione salì alla ribalta della cronaca nel 2014, in occasione delle Olimpiadi Invernali di Sochi, organizzate proprio nell’anno del 150° anniversario del massacro presso un luogo peraltro simbolo della tragedia circassa. Per l’occasione gli attivisti locali organizzarono una serie di manifestazioni di protesta, invitando atleti e spettatori a boicottare l’evento, sfruttando lo stesso per portare il proprio caso agli occhi della comunità internazionale. Terminate le Olimpiadi però, la questione circassa finì per perdere l’attenzione mediatica della quale aveva potuto godere fino a quel momento, tornando nell’oblio. Sino a questi ultimi mesi.
Una vita da attivista
Nato nell’agosto 1950 nel distretto di Lazarevsky, nel Territorio di Krasnodar, Ruslan Gvashev è stato per anni una delle figure più eminenti della comunità circassa del Caucaso. A cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta fu tra i protagonisti della fondazione dell’Assemblea (Khase) degli shapsug del Mar Nero e della Confederazione dei Popoli delle Montagne del Caucaso, organizzazione politico-militare attiva fino al 2000, ricoprendo inoltre il ruolo di vicepresidente dell’International Circassian Association.
Dal 1992 al 1993 prese parte alla guerra in Abkhazia, combattendo al fianco dei separatisti. Rientrato in Russia, nel 1995 venne arrestato a Nal’chik insieme ad altri attivisti circassi per avere organizzato una manifestazione contro la guerra in Cecenia, indicendo uno sciopero della fame portato avanti fino alla sua scarcerazione. Nello stesso anno partecipò alla stesura della Costituzione della Repubblica di Adighezia, istituita quattro anni prima. Infine, dal 2011 al 2013 esercitò la carica di presidente del Consiglio degli anziani degli shapsug del Mar Nero.
La battaglia di Gvashev
I problemi per l’attivista sono iniziati lo scorso 21 maggio, data nella quale l’intero popolo circasso ricorda le vittime del massacro del 1864, coinciso con la fine della Guerra caucasica. Per onorare la Giornata della Memoria, Gvashev ha organizzato una preghiera pubblica presso un liriodendro (o albero dei tulipani) situato nel villaggio di Golovinka, vicino Sochi, luogo considerato sacro dai circassi in quanto simbolo del loro sacrificio. L’albero secolare, ai piedi del quale vennero giustiziate migliaia di persone, è da tempo nota sede di pellegrinaggi e celebrazioni, finora sempre tollerate dalle autorità. Lo scorso maggio però, per la prima volta in tanti anni, le stesse si sono opposte alla cerimonia, intervenendo per disperdere la folla e arrestando il suo organizzatore. Rimesso in libertà, il successivo 2 giugno Gvashev è stato sanzionato con una multa di 10.000 rubli (circa 150 euro) dalla Corte distrettuale di Lazarevsky, per avere organizzato una manifestazione non autorizzata definita “estremista”.
L’attivista circasso, che fin da subito ha rifiutato di pagare l’ammenda, si è appellato alla legge federale n. 125 del 26/09/1997 “sulla libertà di coscienza e le associazioni religiose”, rivendicando la possibilità di celebrare riti religiosi e cerimonie pubbliche senza impedimenti. Per le autorità però, l’albero dei tulipani di Golovinka non rientrerebbe nell’elenco dei luoghi di culto del Territorio di Krasnodar, perciò l’evento organizzato da Gvashev non sarebbe da considerarsi una vera e propria funzione religiosa, bensì una manifestazione pubblica messa in atto senza l’esplicito consenso delle autorità; pertanto la sanzione comminata all’attivista circasso non rappresenterebbe una violazione dei principi stabiliti dalla legge sulla libertà religiosa. Secondo Gvashev, dietro alla decisione di vietare la celebrazione vi sarebbe in verità l’intenzione, annunciata dallo stesso sindaco di Sochi, di realizzare un centro turistico proprio nella zona dove sorge l’albero sacro.
Dopo un’iniziale sospensione dell’ammenda, richiesta dalla corte regionale di Krasnodar, il 30 agosto la corte distrettuale di Lazarevsky ha riesaminato il caso, confermando la sanzione amministrativa precedentemente imposta a Gvashev. Deciso a combattere quella che considera un’ingiustizia verso di sé e verso il suo popolo, a settembre l’attivista circasso ha presentato un’istanza di ricorso presso la corte regionale, avviando inoltre uno sciopero della fame a tempo indefinito in segno di protesta.
Alla notizia dello sciopero diverse comunità circasse si sono attivate per manifestare il proprio supporto all’attivista, che con il passare del tempo ha iniziato a raccogliere consensi anche all’estero, in particolar modo dal mondo della diaspora. Oltre alle proteste organizzate dai suoi sostenitori a livello locale, importanti manifestazioni si sono tenute anche in Turchia e Israele, paesi dove vivono tutt’ora consistenti comunità shapsug, giunte dal Caucaso nel XIX secolo in seguito alla repressione zarista.
Un’altra importante dimostrazione pubblica in difesa dell’attivista si è svolta a Sukhumi, capitale de facto dell’Abkhazia, paese dove Gvashev è considerato un eroe nazionale per avere preso parte negli anni Novanta alla guerra di liberazione. Non a caso, l’evento è stato organizzato il 27 settembre, giorno in cui in Abkhazia si festeggia la presa di Sukhumi, avvenuta nel 1993. Per calmare le acque, dopo che diversi cittadini abkhazi si sono detti pronti a rinunciare ai propri passaporti russi, è dovuto intervenire lo stesso vicepresidente del paese, Vitaly Gabniya, il quale si è recato a Sochi per convincere le autorità locali a confrontarsi con la popolazione circassa riguardo allo status dell’albero dei tulipani e dell’area circostante.
Ormai ridotto in condizioni critiche, a metà ottobre Gvashev, cedendo alle pressioni dei propri sostenitori, ha deciso di interrompere lo sciopero della fame, durato oltre tre settimane. Il 16 ottobre la corte regionale di Krasnodar ha però respinto il ricorso presentato dall’attivista circasso, che deciso a proseguire la propria battaglia ha fatto ricorso in appello presso la Corte Suprema russa, minacciando, se necessario, di portare il caso fino all’attenzione della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Secondo quanto previsto dalla legislazione russa, in caso di mancato pagamento dell’ammenda, Gvashev rischierebbe il carcere.
I suoi sostenitori intanto non si arrendono: Sima Gvasheva, cugina di Ruslan, ha promesso che le comunità locali si sarebbero impegnate a organizzare una seconda preghiera collettiva in occasione del prossimo 21 maggio, sempre presso l’albero dei tulipani di Golovinka. Gli attivisti circassi questa volta contano di ottenere il permesso dalle autorità, poiché, come sostiene Gvasheva, ricordare gli antenati periti nel massacro del 1864 non può essere considerato un reato.
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