Cartoline da Cipro: dal Monte Olimpo a Lefkosia
La seconda lettera di Fabio Fiori che ci racconta un viaggio estivo a Cipro. È anche disponibile una mappa interattiva, con tutte le cartoline che ci ha inviato
“Che ci faccio qui?”, si chiedeva Bruce Chatwin disteso su un letto d’ospedale del National Health Service. Aveva brividi e febbri; pregava e sperava fossero i sintomi della malaria. Era il 1988, di ritorno da un viaggio in Ghana, sul set di “Cobra Verde”. Un film dell’amico e regista tedesco Werner Herzog, tratto dal libro di Chatwin “Il viceré di Ouidah”.
“Che ci faccio qui, in bici?”, mi chiedevo invece io disteso su un lettino del pronto soccorso di Polis, costa nord di Cipro nell’agosto scorso. Zigomo destro tagliato e sanguinante, spalla destra sempre più dolorante, mentre continuava a ingrossarsi l’ematoma interno; irrilevanti i graffi alle ginocchia e alle mani. Ero caduto due ore prima sul primo tratto asfaltato della strada che va da Capo Akamas a Polis, scivolando forse sull’unico micro rigagnolo d’acqua dell’isola, desertificata dal sole d’agosto. Non più largo di dieci centimetri, ma esattamente di traverso alla fine di una breve discesa, in curva! Rigagnolo maledetto, che non ho fatto in tempo a vedere, perché davanti a me c’era un auto. “Gli dei sono presenti ovunque accada qualcosa di decisivo, che lo si compia o lo si subisca”, mi ripetevo seduto sul gradino di un baretto, mentre due figure celesti mi aiutavano a pulirmi la faccia dal sangue e a tamponare la profonda ferita allo zigomo.
Irresponsabile, forse, il mio rifiuto di chiamare l’ambulanza per portarmi al pronto soccorso, che ho invece raggiunto da solo in bici, a cinque chilometri. Così come irresponsabile è stato il secondo rifiuto, di un ricovero per rimanere in ospedale in osservazione, a causa dei traumi. Dopo essere stato ricucito, ho brevemente e malamente discusso in inglese con la gentile dottoressa cipriota, firmando la mia dimissione ospedaliera. Per inciso, per visita e medicazione non ho pagato nulla … viva l’Europa! Era solo il terzo giorno di un viaggio che avevo fantasticato e pianificato per anni. Perciò il dolore passava in secondo piano, rispetto alla preoccupazione di dover rinunciare all’esplorazione a pedali dell’isola.
Così tatuato a sangue dalla strada, praticamente insonne per il bailamme notturno del campeggio dove mi ero attendato, il giorno dopo sono risalito in sella e sono ripartito, direzione nordest, confine turco-cipriota. Negli auricolari una vecchia canzoncina di Bobo Rondelli. “Pa pa pa pa pa pa… / Ho picchiato la testa, lasciatemi stare / Non lo vedete? Non son più normale”, lasciatemi pedalare! parafrasavo io canticchiando. Una pedalatina, … si fa per dire considerando la mia situazione …, di una cinquantina di chilometri con circa settecento metri di dislivello. Senza dimenticare che già alle otto del mattino il termometro era salito sopra i 30° C.
Chissà cosa avrà pensato l’inappuntabile giovane poliziotto turco quando ha dovuto respingere alla frontiera il malconcio vecchio ciclista italiano, cioè il sottoscritto, che tentava invano di impietosirlo. Avrei voluto attraversare la frontiera con la Repubblica Turca di Cipro del Nord a Kato Pyrgos, evitandomi in quelle condizioni l’ascesa al Monte Olimpo per raggiungere i varchi di confine della capitale Nicosia. Ma il poliziotto è stato gentile e inflessibile: “This is the law!”. E la legge non permetteva agli europei l’attraversamento nei posti di frontiera minori, causa Covid-19 mi ha detto, neanche se in possesso del Green Pass che i turchi non riconoscevano, né dell’obbligatorio esito negativo del tampone.
Così sconsolato e molto preoccupato ho fatto dietrofront, per scalare le terribili e bellissime salite dei Monti Troodos, raggiungendo in due tappe la vetta a 1.952 metri. Sono poi sceso verso la capitale, nella sua parte greco-cipriota. Nicosia per noi, Lefkosia per i ciprioti. Città antichissima, ancora fortemente veneziana nell’impianto urbanistico interno alle possenti mura difensive. Città turca nei secoli successivi, poi inglese, finalmente indipendente nel 1960. Città ferita e divisa, da un muro alzato nel 1964, da una “Green Line” (nome che oggi appare ancor di più come una tragica beffa degli dei, perché del green nell’accezione odierna non ha niente, ma si ricollega solo al colore della penna con cui un generale inglese la disegnò per la prima volta su una mappa, a seguito dei violenti scontri tra greco-ciprioti e turco-ciprioti) che negli anni successivi dalla capitale si è estesa a tutta l’isola. Perché nel 1974 la “Green Line” o più precisamente la “United Nations Buffer Zone in Cyprus” ha di fatto diviso l’isola in due stati: Repubblica di Cipro e Repubblica Turca di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia.
Capitale torrida, con punte 100° Fahrenheit, corrispondenti a 38° C, comunque brulicante di vita sia a sud, dove sventolano bandiere bianco-azzurre, che a nord, dove invece garriscono quelle rosse con la mezzaluna bianca, oltre a quelle delle due repubbliche cipriote. Tre giorni sufficienti a farsi una prima idea della città, sui due lati del muro, facilmente superabile, con certificato negativo del tampone Covid-19, nei due varchi, quello pedonale della centralissima Ledra Street e quello anche automobilistico e storico del Ledra Palace Hotel.
PS
Bruce Chatwin non credo sia mai stato a Cipro, ma uno dei suoi autori preferiti, Robert Byron, dedica poche ma intense pagine all’isola. Era il 29 agosto 1933 quando sulla via per Oxyana, riprendendo il titolo del suo libro, fece tappa per qualche giorno a Cipro, proveniente in nave da Venezia. “Su quest’isola la storia è quasi sovrabbondante, tanto da procurare una specie di indigestione mentale”. Vi assicuro che è la stessa impressione mia che sull’isola sono arrivato in aereo, con bici al seguito, nell’estate scorsa. Per provare invece a capire la relazione degli antichi con Afrodite e i tanti altri dei dell’isola, ho letto “Teofania”, di Walter Friedrich Otto. Inaspettatamente ho trovato anche chiavi di lettura degli imprevisti accadimenti, benvenuti o malvenuti. Perché “La beata lontananza degli dei non esclude ciò che per noi è molto famigliare, la loro onnispresenza”. Per chi invece fosse interessato alla plurimillenaria storia dell’isola e ai suoi straordinari tesori archeologici, fino al 9 gennaio 2022, ai Musei Reali di Torino c’è la mostra “Cipro. Crocevia delle civiltà”.
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