Tipologia: Notizia

Area: Italia,Kosovo

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Cappuccetto rosso va dai rom

Sullo sfondo i fumi di una termocentrale. In primo piano alcuni bambini rom che raccontano la favola di Cappuccetto Rosso. Un modo per raccontare ai più piccoli la difficile vita delle minoranze in Kosovo

28/03/2008, Franco Juri -

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Esattamente tre anni fa veniva proiettato a Gorizia il documentario RealitieS Kosova/o di Eva Ciuk, regista e giornalista triestina, di madre lingua slovena, nota per il suo impegno civile e umanitario a favore delle minoranze e delle realtà sociali più emarginate.

A tre anni da quella esperienza che l’aveva portata a conoscere in prima persona le minoranze dimenticate del Kosovo, e che aveva fatto seguito ad un documentario realizzato nel 2002 in Salvador e dedicato alla condizione della donna in America centrale, Eva Ciuk torna sul tema Kosovo, riproponendo un segmento particolare di quanto la coinvolse nel suo viaggio del 2005 nella provincia, quasi a voler affrontare questa volta le pieghe di una società satura di contraddizioni e in continua ebollizione alla vigilia e dopo la sua indipendenza. Per rifletterci su.

Eva lo fa anche questa volta seguendo le tracce di una minoranza perennemente discriminata e ai margini della provincia/stato che a malapena la sopporta: i rom, o meglio, i bambini rom.

Il cortometraggio, combinazione di documentario e cartone animato, dal titolo "Chi è cappuccetto rosso?", ci racconta il modo in cui i bambini rom-kosovari – dimenticati in una baraccopoli all’ombra della mostruosa ciminiera fumante di una termocentrale alla periferia di Priština – vivono la popolare favola.

La novità della proposta è proprio nella rilettura che la sceneggiatrice e regista ne fa, offrendola questa volta anche ad un pubblico molto più giovane, quello delle scuole . L’alito feroce del lupo invade la fiaba e, nonostante la serenità dei piccoli rom, ci ricorda quanto sia lungo e tortuoso il percorso dei diritti umani e minoritari in quelle terre. Ma anche altrove, molto più vicino a noi. Un percorso su cui riflettere attentamente.

"Quando nel 2005 sono stata in Kosovo – scrive Eva Ciuk – per le riprese del documentario "RealitieS KosovA/O – voci di minoranze dimenticate" – produzione della KAIROS, Centro produzione video di Gorizia – mi ha colpito la serenità e l’allegria dei bambini e delle bambine del campo sfollati interni di Plementina/e, vicino a Pristina. Abbiamo stretto amicizia con i rappresentanti del campo ed abbiamo deciso di portare la testimonianza dei bambini del campo nelle scuole della nostra regione. Così abbiamo posizionato la nostra telecamera e sullo sfondo che era tutt’altro che da fiaba i bambini ci hanno raccontato Cappuccetto Rosso."

La presentazione goriziana del progetto, completato dalla proiezione di fotografie scattate dagli stessi bambini rom e sinti nei campi del Friuli Venezia Giulia dal titolo "Autobiografia dal campo" nonché dal virtuosismo musicale di Alessandro Simonetto e Roberto Daris, è stata organizzata da Osservazione- centro di ricerca azione contro la discriminazione e patrocinato da Kinemax-Transmedia, l’ Ufficio per la pace della provincia di Gorizia e l’ Unione dei Circoli Culturali Sloveni. Prima di essere presentato nella sua versione slovena a Gorizia, il progetto, nella versione italiana, era stato ospitato a Trieste dal Teatro Miela.
In Slovenia i rom sono trattati meglio che in Italia
A Gorizia si è voluto dire qualcosa di più anche sulle comunità rom e sinti che vivono in Italia e in Slovenia. Il confronto è stato inevitabile quando è intervenuto uno degli ospiti più attesi della serata: Jože Horvat -Muc, presidente dell’Union Romanì Slovenia, una delle principali organizzazioni dei Rom in quel paese. Com’è per i rom la Slovenia del dopo-Strojan? C’è ancora discriminazione e intimidazione, come nei giorni neri di due anni fa, quando una folla minacciosa scacciò, senza che le autorità lo impedissero, la numerosa famiglia rom degli Strojan dalle sue case di legno, sucessivamente rase al suolo, nei boschi di Ambrus?

A sentire Horvat in questi ultimi tempi molti sono i passi che lo stato ha intrapreso non solo per normalizzare la situazione della comunità rom slovena ma anche per offrire a questa possibilità di sviluppo finora inedite. La lezione Strojan – triste per tutti- ha quindi fruttato? Il presidente dell’Union Romaní preferisce non sbilanciarsi e, pur ricordando che la discriminazione esiste ancora, preferisce, optando per il politicamente corretto, sottolineare i tanti progressi fatti.

La Slovenia tutela i rom in base all’articolo 65 della Costituzione, varato già nel 1990, e ad una serie di leggi tra cui anche una apposita votata in parlamento circa un anno fa. La situazione tradizionalmente migliore per i rom sloveni è quella del Prekmurje, regione al confine con l’Ungheria e l’Austria, dove la comunità è ben integrata e organizzata e dove la convivenza multietnica è pressoché esemplare, a differenza di altre regioni slovene più restie ad accettare la convivenza con queste comunità.

In sala a Gorizia c’erano pure i redattori del programma romanì che ora anche la TV pubblica slovena si accinge a trasmettere regolarmente. Sono circa 10 mila i rom e sinti in Slovenia (quelli dichiarati tali molto meno), concentrati soprattutto nel Prekmurje, nella Dolenjska, in Bela Krajina, nella Gorenjska e nella zona di Lubiana. Horvat ha ribadito con orgoglio che il Prekmurje, la regione in cui l’Union Romanì ha sede, è stata considerata anche dall’Unione mondiale dei rom, un esempio per tutta l’ Europa.

E l’ Italia dove vivono circa 150 mila tra rom e sinti? Nel 1999, quando si varò la legge a favore dei gruppi minoritari, le comunità rom e sinti italiane vennero da essa escluse su esplicita richiesta della Lega Nord. La cosa più triste però – come a Gorizia ha ricordato Lorenzo Monasta di Osservazione – è che il ricatto xenofobo e anti-zingaro leghista ha dato i suoi frutti mentre al governo c’era una coalizione di centrosinistra. L’ Italia dovrà imparare dalla vicina Slovenia?

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