Canale di Otranto: il no dell’Italia alla riserva marina
Per ridurre l’impatto devastante della pesca a strascico, la FAO sta negoziando un insieme di nuove misure a tutela della sostenibilità della pesca nel basso Adriatico. Tra queste era prevista – al prossimo vertice di Atene – l’istituzione dell’area protetta più grande del Mediterraneo, ma il governo italiano ha posto il veto
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da MobileReporter/VoxEurop il 4 novembre 2019)
All’assemblea annuale di Atene del 4-8 novembre, la Commissione globale per la pesca nel Mediterraneo (GFCM), organo speciale della FAO che riunisce i 23 stati della sponda nord e sud del Mare Nostrum, dovrà approvare il nuovo piano d’azione sull’Adriatico. Il documento è ancora confidenziale, ma il nostro team d’inchiesta ha potuto visionarlo. L’obiettivo del piano è contrastare l’allarmante calo del pescato di profondità (o demersale) nel mare Adriatico. Questo, secondo uno studio del 2018 , è il mare più sfruttato al mondo dalla pesca a strascico. Secondo i dati FAO , in proporzione alla sua superficie, l’Adriatico è finora stato anche uno dei bacini più produttivi di tutto il Mediterraneo: dalle sue acque vengono ricavate annualmente poco meno di 200mila tonnellate di pescato, metà delle quali dai pescherecci italiani.
Il pacchetto sul tavolo negoziale di Atene comprende le seguenti misure principali: riduzione dei giorni di pesca, due mesi di fermo sotto costa ogni anno, divieto di pesca a strascico entro le 6 miglia nautiche dalla costa, riduzione delle taglia minima pescabile e conseguentemente delle maglie delle reti, e obbligatorietà di sistemi di geolocalizzazione a bordo per tutti i pescherecci oltre i 12 metri di lunghezza, così da facilitare i controlli da parte delle autorità costiere.
La bozza iniziale del piano d’azione sull’Adriatico includeva anche la creazione della più grande riserva protetta del Mediterraneo: un’area di 2.800Km2 (il doppio della superficie rispetto al comune di Roma) collocata nelle acque internazionali del Canale di Otranto, tra Italia e Albania, a 12 miglia nautiche (22km) dal litorale pugliese.
Il governo italiano ha tuttavia bocciato l’istituzione del santuario blu, giudicandolo affrettato. E ciò nonostante il fatto che le limitazioni alle reti a strascico nella riserva, proposta inizialmente dall’ong ambientalista MedReact, fossero state concordate con le cooperative e gli armatori di Monopoli e di Mola di Bari – le due marinerie più attive nell’area, con una quarantina di imbarcazioni ormeggiate a Brindisi e Otranto, affiancate da qualche unità del Salento.
La zona del canale di Otranto, molto pescosa, è ricca di specie molto redditizie ma gravemente minacciate, come il gambero rosa e il merluzzo nostrano (o nasello). Quest’ultimo, fino al 2011, è arrivato sulle nostre tavole per oltre il 40% proprio dal basso Adriatico, dove è catturato in quantità doppie rispetto ai suoi livelli di sostenibilità. In quelle acque si concentra il 18% della flotta e il 13% della produzione ittica a strascico dell’intera penisola, stando al Piano di gestione regionale approvato dal governo italiano nel 2018. Il veto italiano sulla riserva nel canale di Otranto ha, peraltro, colpito anche la mini-riserva del canyon di Bari.
La necessità del ripopolamento
I dati dimostrano che la pesca eccessiva, in particolare quella a strascico, compromette non solo la biodiversità negli ecosistemi adriatici (che ospitano quasi il 50% di tutte le specie marine mediterranee), ma anche gli interessi dei pescatori. Tra il 2004 e il 2015 gli sbarchi di gambero rosa e nasello lungo la costa orientale dell’Italia si sono ridotti rispettivamente del 48% e del 45% (sebbene il gambero sia ora in recupero). Le catture di nasello e gambero rosa, nel 2014, facevano guadagnare 28,5 milioni di euro l’anno al complesso delle flotte a strascico italiane dell’Adriatico. Ma nel periodo 2004-2015 si è registrata una diminuzione del 27% delle entrate e del 30% della capacità dei pescherecci (per numero, tonnaggio e potenza). La ricostituzione delle risorse ittiche, secondo gli scienziati, risolleverebbe le sorti della pesca nel lungo periodo, compensando i sacrifici imposti dai divieti nell’immediato.
La riserva di Otranto è parte della rete di habitat essenziali che MedReact e i centri di ricerca consorziati nella sua iniziativa AdriaticRecovery, lanciata nel 2016, intendono proteggere per ripopolare il mare. "Il fondale corallifero nel Canale di Otranto offre un luogo di nutrimento e riproduzione per tutte le specie commerciali", spiega Carlo Cerrano dell’Università Politecnica delle Marche, "le forti correnti sottomarine sparpagliano le larve dei pesci che generano esemplari adulti, disponibili per i pescatori nelle zone dove la loro cattura è consentita".
A dimostrare i benefici del ripopolamento è l’esempio di successo della fossa di Pomo, di fronte a Pescara, nell’Adriatico centrale. Istituita bilateralmente già nel 2016 da Italia e Croazia, è stata ufficializzata zona protetta dalla GFCM nel 2017. I recenti risultati dimostrano che in soli tre anni la biomassa (cioè il peso medio degli esemplari) del nasello si è triplicata da 60 a 180 kg/km2.
Le ragioni del veto italiano
Le dimostrazioni fornite dalla scienza trovano solo un accordo di principio da parte del governo italiano. Che deve tutelare al tempo stesso sia le zone di riproduzione, in base ai regolamenti dell’Unione europea, sia l’occupazione in un settore in crisi. Il governo ha formalmente motivato la sua obiezione alla chiusura dell’area di Otranto col mancato coinvolgimento degli operatori e dell’amministrazione da parte di MedReact, l’associazione ambientalista che nel 2018 aveva presentato la proposta iniziale per l’istituzione di un’area protetta al comitato sub-regionale sull’Adriatico della GFCM. Quest’organizzazione, che è competente a istituire le aree precluse alla pesca, aveva condizionato l’approvazione a un’analisi dell’impatto socio-economico.
"Abbiamo ripetutamente discusso la nostra proposta col Dipartimento per la Pesca del ministero dell’Agricoltura, che però tarda a eseguire le valutazioni richieste dalla GFCM", puntualizza Domitilla Senni di MedReact. Controbatte Riccardo Rigillo, direttore del Dipartimento Pesca: "La proposta deve prima passare al vaglio del Comitato consultivo del Mediterraneo (MEDAC) dove sono rappresentate tutte le parti interessate". C’è da precisare che il MEDAC è un organo esclusivo dell’Ue. In base alle regole in materia , sia le istituzioni europee che gli stati membri hanno facoltà di chiedere all’organo dei pareri su questioni relative alla politiche della pesca in ambito sia comunitario che internazionale. I governi però non possono usare i pareri del MEDAC per influenzare le decisioni della GFCM, che è un’organizzazione giuridicamente distinta dall’Ue. A precisare il perimetro delle competenze del MEDAC è stata la stessa Direzione per la Pesca della Commissione europea in una lettera recapitata lo scorso giugno a Gianpaolo Buonfiglio, presidente del Comitato stesso nonché dell’Alleanza delle cooperative italiane della pesca. Il quale continua a fare sponda al ministero dell’Agricoltura italiano: "È necessaria una consultazione strutturata con le associazioni di categoria".
L’impasse burocratica non ha impedito a MedReact, negli incontri organizzati a primavera, di trovare un accordo soddisfacente con le comunità pugliesi che pescano regolarmente al largo di Otranto. "Il divieto di strascico scatterà solo sotto i 600 metri, neutralizzando così l’impatto negativo: ci permette di raggiungere anche la specie che vive più in profondità, ossia il gambero rosso che in estate rappresenta circa l’80% del pescato", dichiara l’armatore monopolese Giuseppe Danese. Lo scorso maggio, MedReact ha sottoposto la proposta modificata per l’area protetta che, su insistenza italiana, è stata rinviata a un nuovo esame del gruppo di lavoro sull’Adriatico della GFCM per il 2020. Sono stati sollecitati ulteriori studi, a oggi non ancora avviati dal governo italiano. Ad appoggiare il rinvio ci ha pensato l’Albania, presidente di turno della GFCM, la cui flotta di pescherecci sta intensificando le attività nel Canale di Otranto.
Per sua ammissione, la Commissione europea (anch’essa membro della GFCM) è stata costretta dall’opposizione italiana e dalla decisione di rinvio del comitato sull’Adriatico della GFCM a ritirare l’istituzione della riserva dal piano che verrà negoziato ad Atene.
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