Buongiorno George
Non lo chiameranno più ”Georgakis” (”Giorgino”). L’ultimo esponente della dinastia politica dei Papandreu ha dominato la tornata elettorale in Grecia dello scorso 4 ottobre. I socialisti hanno ora la maggioranza assoluta in parlamento e si apprestano a governare
Ora nessuno lo chiamerà più "Georgakis" ("Giorgino"), come hanno fatto per anni i giornali ateniesi paragonandolo ai più grintosi papà Andreas e nonno George Papandreu, entrambi premier che hanno segnato – il primo negli anni Sessanta, il secondo negli anni Ottanta fino alla sua morte nel 1994 – la storia della Grecia moderna. Il terzo Papandreu, appunto l'(ex) Georgakis che è stato eletto primo ministro alle elezioni anticipate del 4 ottobre con una valanga di voti, 44 elettori su cento, conquistando 160 deputati sui 300 che siedono nel Parlamento monocamerale ellenico, si è dimostraro all’altezza della Dinasty politica di cui è l’ultimo (per ora) rampollo.
George Papandreu, 57 anni, ha anzi guidato il Pasok (Partito socialista ellenico fondato da suo padre Andreas) al miglior trionfo dal 1981 a oggi, anni in cui il centrosinistra greco è stato al potere ininterrottamente, se si esclude una parentesi di centrodestra fra il 1990 e il 1993 e gli ultimi cinque anni e mezzo di egemonia del primo ministro conservatore Kostas Karamanlis. Analogamente, la notte elettorale del 4 ottobre è stata la notte più cupa per il centrodestra di Nuova democrazia: due ore dopo i primi exit pool, Karamanlis si è dimesso da capo del partito, seguito a ruota da due pezzi grossi della sua coalizione, il ministro dei Lavor Pubblici Gorge Souflias e l’ex ministro dell’Economia Alogoskoufis.
A condannare Karamanlis è stata l’incapacità di gestire non solo la peggiore crisi economica dal dopoguerra, crisi che coinvolge tutto il mondo ma che altrove – ad esempio in Germania con la recente riconferma di Angela Merkel a Cancelliere – non ha tagliato le gambe ai governanti. A punire Karamanlis è stata soprattutto l’incapacità di scegliere con oculatezza i propri collaboratori, coinvolti in continui scandali finanziari eppure regolarmente protetti da lui: "Karamanlis è arrivato quest’estate perfino a chiudere la Camera in anticipo per ferie per impedire che arrivasse in Parlamento l’ennesima inchiesta su bustarelle incassate dai suoi ministri", ha ricordato il quotidiano ellenico TO VIma.
Per non parlare della vergognosa non gestione degli incendi che hanno devastato mezza Grecia rispettivamente nel settembre 2007 e nell’agosto 2008. Non dimentichiamo la rivolta che ha visto scendere in piazza, nel dicembre 2008, studenti e insegnanti dopo l’uccisione a freddo da parte di un poliziotto del quindicenne Alexandros Grigoropoulos nel quartiere ateniese di EXarchia. La rivolta è divampata in tutte le città greche, rendendo manifesto il malessere della generazione "700 euro" (i nostri milleuristi), ossia i ventenni e i i trentenni senza speranza di futuro. Karamanlis non solo non ha dato loro risposte, ma non ha neppure impedito agli "incappuciati" sedicenti anarchici in coda ai cortei di scatenarsi e distruggere piccoli e grandi negozi, sedi di banche o di saccheggiare supermarket trasformando intere vie di Atene, Salonicco e delle principali città elleniche in cumuli fumanti di macerie.
Per tutto questo i greci hanno scelto di cambiare pagina. Non perché Papandreu abbia la bacchetta magica per risolvere la crisi, ma perché almeno ha provato a presentare un programma non solo di provvedimenti economici all’insegna di "lacrime e sangue", come invece si è limitato a fare Karamanlis in questa campagna elettorale dopo avere portato il Paese a un deficit a livelli ufficiali del 6 per cento del Pil (ma ufficiosi dell’8 per cento) e a un debito pubblico che sfora il 100 per cento, con livelli di corruzione misurata da Transparency International – osservatorio internazionale super partes – al 56esimo posto nel mondo (era al 47esimo ai tempi del precedente governo Pasok).
Papandreu non ha nascosto l’estrema difficoltà in cui versano le finanze greche, e soprattutto dei greci, con i prezzi schizzati alle stelle e la disoccupazione che avanza. Ha stilato tuttavia una tabella di marcia che ha convinto i suoi connazionali a dargli fiducia: a cominciare dal sostegno ai redditi bassi e a un alleggerimento delle tasse per chi guadagna fino a 30mila euro lordi annui, affiancato a un aumento fiscale per i redditi molto alti. "Non è possibile che il lavoro sia tassato al 40% (per il ceto medio alto ndr) e i redditi da capitale solo al 15%" ha annunciato. Per continuare con un sostegno in denaro ai precari e ai disoccupati "per rimettere in circolo il potere d’acquisto", proseguendo con la riduzione del numero dei misteri e dei sottosegretari, con la lotta all’evasione fiscale e, soprattutto, con uno stimolo all’economia nazionale da parte dello Stato attraverso un’iniezione di tre miiardi di euro circa. Ma più che alle banche, questo stimolo sarà destinato soprattutto a incentivare lo "Sviluppo verde" ossia forme alternative di energia. Un piano che ricorda molto lo stile Obama, insomma. Non è un caso che il primo leader internazionale che gli ha telefonato per congratularsi con lui per la vittoria sia stato proprio Barack Obama, presidente degli Stati Uniti.
Del resto, George Papandeu, l’ex Georgakis, è stato considerato filoamericano fin dalle sue prime apparizioni politiche nel lontano 1981, quando fu eletto deputato mentre suo pade Andreas era primo ministro. IN effetti parlava un greco un po’ stentato, essendo tornato nella madre patria nel 1974 dopo la caduta del regime dei colonnelli. Ma soprattutto, Gorge è nato negli Stati Uniti, a Saint Paul nel Minnesota dove suo padre era docente universitario di Economia, da mamma Margaret Chant, americana. George in seguito ha studiato Sociologia nell’Amherst College (Massachussets), nell’Università di Stoccolma, specializzandosi a Harvard e alla London School of Economics.
Dopo la prima elezione a deputato, la sua carriera ha fatto un salto di qualità dopo la morte del padre nel 1996. E’ stato George a sostenere l’ascesa a capo del partito dell’ex premier socialista Kostas Simitis (primo ministro fino al 2004 e autore dell’ingresso della Grecia nell’euro), economista e convinto europeista, contro gli "elefanti", pezzi grossi del partito sostenuti dal vecchio Andreas. Proprio Simitis aveva guidato il dissenso all’interno del Pasok contro Andreas Papandreu. Il "figlio ribelle" fu ricambiato con la nomina a ministro degli Esteri, dove si è distinto per la politica di avvicinamento alla Turchia. Non per niente subito dopo la sua vittoria, il 5 ottobre molti giornali di Ankara hanno titolato "Kalimera George" ("Buongiorno George") come nel ritrovare un vecchio amico.
Resta da vedere dove troverà Papandreu i soldi per realizzare il suo programma. Basterà la lotta all’evasione fiscale, la dieta imposta alla burocrazia, la promessa di bloccare il decennale clientelismo su cu posa la società ellenica e l’aumento delle tasse ai più ricchi? Lui conta su questo come primo passo, per procedere ai suoi programmi di Energia verde. Del resto ha le mani libere per andare avanti: libere sia dai dissensi all’interno del partito (alle primarie del 2007 si è conquistato la leadership vincendo contro un calibro da Novanta fra i fondatori del Pasok, Evangherlos Venizelos) sia dall’opposizione. I veterocomunisti del KKE, che hanno impostato la loro campagna elettorale sullo slogan "Pasok e Nuova democrazia uguali sono: sacrifici per il popolo lavoratore & corruzione" restano terzo partito ma hanno subito una lieve flessione rispetto alle precedenti legislative (sono al 7,5 % contro il passato 8%), i Verdi sono rimati fuori dal Parlamento non avendo superato la soglia del 3 %. La coalizione riformista Syriza (Al 4, 5 %) si è detta pronta a collaborare su alcuni temi. Il primo segnale positivo per la nuova era Papandreu è venuta dalla Borsa di Atene, che ha chiuso per la prima volta dopo mesi con indice positivo.
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