Bulgaria, testimoni di pietra
Vere e proprie creature di pietra e cemento che giacciono, non di rado in rovina. Mastodontica eredità di una passato spesso rimosso. Un’intervista a Luca Ponchiroli autore, insieme a Nikolai Vukov, della pubblicazione "Testimoni di pietra"
Come è nata l’idea alla base del progetto “Testimoni di pietra”?
Come spesso accade, “Testimoni di pietra” è nato un po’ per caso. Nel 2003, insieme ad alcuni amici, ho dato vita ad un tour operator che organizzava viaggi nella regione dei Balcani. In questo contesto, abbiamo deciso di realizzare una guida della Bulgaria, visto che in lingua italiana non esistevano opere aggiornate. Mentre attraversavo il Paese per raccogliere dati e informazioni, ho incontrato per la prima volta alcuni dei mastodontici monumenti lasciati in eredità dal regime socialista bulgaro. E’ da questo incontro fortuito che è nata l’idea di raccogliere, fotografare e catalogare la miriade di lasciti monumentali di quasi cinquanta anni di regime. Poi, navigando sulla rete, ho trovato i contatti di Nikolai Vukov, l’unico studioso bulgaro che si è curato in modo specifico di questo tema . Gli ho chiesto quindi, via internet, se era interessato a lavorare insieme: la sua risposta è stata un entusiastico “sì”, e così nel 2008 siamo partiti.
Che rapporto si è instaurato, a livello personale, con i monumenti raccontati in “Testimoni di pietra”?
E’ stata, anche dal punto di vista emotivo, un’esperienza particolarmente coinvolgente… Col tempo, mi sono molto affezionato a queste “creature” che giacciono, spesso abbandonate e in rovina, negli angoli più disparati della Bulgaria, dalla capitale Sofia al più sperduto villaggio di provincia. “Vedere la Storia”, una storia conosciuta fino ad allora solo sui libri, attraversando un Paese sconosciuto: è questa l’opportunità unica che ho vissuto durante le ricerche sul campo dedicate alla preparazione del libro. Alla fine, con quei monumenti, si è venuto a creare un rapporto che definirei di familiare fraternità, quasi di gratitudine… Un’esperienza davvero straordinaria.
Perché in Bulgaria i monumenti socialisti sono ancora al loro posto?
Penso dipenda da più fattori. Innanzitutto da un elemento puramente quantitativo: il regime in Bulgaria ha prodotto un numero eccezionalmente elevato di monumenti, soprattutto se pensiamo alle sue limitate capacità economiche. Anche volendo, quindi, era impossibile abbatterli tutti. Un’abbondanza frutto probabilmente di una serie di diverse considerazioni politiche: da una parte il regime bulgaro, genuflesso davanti al grande fratello sovietico, attraverso i monumenti ribadiva la sua totale dedizione a Mosca. Dall’altra, con una serie tematicamente diversa di statue, mosaici, “sacrari” vari, il regime di Sofia voleva affermare concretamente la propria identità nazionale, attraverso la rappresentazione monumentale del proprio passato. Quasi sempre poi, sopratutto in una seconda fase, nei monumenti convivono i simboli dell’ideologia politica e riferimenti di orgoglio nazionalista. Una commistione interessante e a volte sconcertante.
Al tempo stesso, la Bulgaria è uno dei pochi Paesi in cui il crollo del regime è stato quasi del tutto incruento…
Questo è senz’altro un altro tassello determinante. Il regime in Bulgaria è caduto senza conflitto armato, né rivolta di piazza. Perché non ci sia stato il rito dell’abbattimento del dittatore, anche nella forma simbolica del monumento, è una domanda che resta aperta. Comunque, passato il momento dell’emotività, subito dopo la caduta del muro, tranne casi isolati come quello del Mausoleo di Georgi Dimitrov in centro a Sofia, la scelta del nuovo establishment è stata quella di lasciare i monumenti al proprio destino, un atteggiamento generalmente condiviso dalla popolazione. Si è trattato di una rimozione collettiva profonda ed “efficace”: molti bulgari, per esperienza diretta, nemmeno si accorgono più della compagnia silenziosa di questi simboli del passato.
Secondo te che destino attende nel futuro i “testimoni di pietra” del regime bulgaro?
In altri paesi ex- comunisti tutto o quasi è già stato deciso. I monumenti del regime sono stati in gran parte abbattuti, e sono spariti dallo spazio pubblico. Spesso sono stati confinati nei musei del comunismo, sorti un po’ dappertutto al di là dell’ex cortina di ferro, dove però sono del tutto decontestualizzati e perdono il loro valore di documento. In Bulgaria invece, sono rimasti, magari un po’ malandati, al loro posto. Spero che oggi prevalga l’idea di conservare questa eredità: nel loro insieme costituiscono, infatti, un documento storico straordinario. Dall’inizio del progetto ho notato una maggiore sensibilità ed una minore conflittualità politica e sociale sul tema; oggi, soprattutto a livello di élite intellettuale, si sta rafforzando, fortunatamente, l’idea di considerare i monumenti del comunismo una testimonianza preziosa, “oggetti” storici da utilizzare, in prospettiva, anche come risorsa. Ad esempio all’interno di percorsi dedicati al turismo culturale.
I monumenti del regime come attrazione turistica?
Certamente. La Bulgaria è un Paese ricco dal punto di vista paesaggistico, ma non in prima fila per quanto riguarda l’eredità monumentale. Utilizzare i monumenti come “filo di Arianna” per guidare turisti alla scoperta del Paese può essere una carta importante da giocare. Penso a percorsi dedicati non solo a studiosi, ma anche a curiosi di epoche passate come quella comunista, così vicina ma al tempo stesso, per certi versi, così remota. Naturalmente, accompagnati da chi possa raccontare e spiegare cosa hanno rappresentato queste opere, su cui il regime ha investito ingenti risorse economiche e simboliche. Spero che chi amministra il Paese si renda conto, per così dire, dell’enorme giacimento conservato quasi per caso nelle strade e nelle piazze della Bulgaria. Per poi valorizzarlo come merita.
In questi anni hai visitato migliaia di monumenti. Quali tra questi ti hanno colpito più degli altri?
Per me l’opera più straordinaria è la “casa-monumento” del partito comunista bulgaro a Buzludzha, sui Balcani centrali: da sola vale un viaggio in Bulgaria. Costruita nel 1980 a 1500 metri di altezza, è una vera e propria cattedrale del regime, con tanto di campanile sormontato da una corposa stella rossa. Dentro, mille metri di mosaici raccontavano la storia del partito in Bulgaria, tra falci, martelli ed enormi slogan marxisti. Oggi la struttura, abbandonata e in gran parte devastata, è visitabile attraverso una porta divelta. A Buzludzha non c’è bisogno di alcuno sforzo per capire cosa significa la fine di un regime. E’ una visione indimenticabile, una lezione di storia in cemento armato. Altro sito imperdibile è a Shumen: qui si trova l’enorme monumento dedicato ai fondatori della nazione bulgara. Una vera follia monumentale, costata 45 milioni di dollari nel 1979.
Secondo alcuni osservatori, sia interni che esterni, in Bulgaria il comunismo sarebbe ancora vivo. Cosa ne pensi?
Non sono d’accordo: il comunismo non è più vivo. Il regime, in qualche modo, sembra sopravvivere solo in alcune aree del Paese dove la presenza dei monumenti risalenti a quell’epoca, a volte restaurati da poco, è quasi onnipresente. Credo poi che la Bulgaria non sia esente da forme “gattopardesche”: parte dell’élite del periodo comunista, cambiando pelle, è rimasta al potere anche se il tempo che passa sta inevitabilmente cancellando quelle presenze. Mi sembra, anche se l’affermazione può risultare un po’ ridondante sulle labbra di un semplice “scopritore” di storia visuale come me, che la Bulgaria non abbia trovato ancora una sua strada dopo quella, già chiaramente fallimentare anche prima del crollo definitivo, del comunismo. Il passato che compare nei monumenti è quindi, oggi, nulla di più di un simulacro. Anche se, come dicevo, in alcune zone del Paese, quel simulacro sembra dare ancora qualche segno di vita.
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