Bulgaria: se essere un buon postino non basta
Tonislav Hristov si è aggiudicato il Premio OBC Transeuropa al 28° Trieste Film Festival con"The Good Postman", storia di rifugiati e vite marginali ai confine dell’UE. Un’intervista
Presentato in conconcorso documentari al 28° Trieste Film Festival, il documentario bulgaro “The Good Postman” di Tonislav Hristov si è aggiudicato il Premio Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa. Questa la motivazione: “Narrando in parallelo due storie drammatiche – di un mondo che fugge e di uno che scompare – “The Good Postman” ci accompagna alla periferia d’Europa rimettendo l’umanità al centro. Mentre ci accompagna con la musica tradizionale nella profondità della campagna bulgara, il film prova a riconciliare le speranze di una vita migliore dei migranti in transito con quella degli abitanti di un villaggio in stato di abbandono. The "Good Postman" è un film che crede nella democrazia, nel dialogo, che dà voce alla lungimiranza e alla generosità di persone semplici. È universale e locale allo stesso tempo e ci spinge a riflettere sulle scelte che ognuno di noi deve fare”.
Quella narrata da Hristov è la storia di Golyam Dervent,un piccolo villaggio bulgaro abitato quasi solo da anziani, alla frontiera con la Turchia e per questo interessato dal passaggio di profughi. Il postino Ivan, un uomo benvoluto da tutti per la sua disponibilità e per l’essere quasi un confidente delle persone cui consegna la posta, si candida a sindaco e propone di rivitalizzare il villaggio ospitandone alcuni. Molti lo appoggiano, soprattutto tra gli anziani, ma c’è anche chi pensa che i siriani siano “peggio degli zingari”. Il suo avversario è del partito socialista: vuole il ritorno del comunismo (“quando c’erano tre auto davanti a ogni casa”), internet ovunque come nella Russia di Putin e si oppone ai rifugiati.
Al contrario del rivale che propone una modernità (internet, skype…) illusoria, Ivan è concreto. Intanto si vedono da lontano gli agenti di Frontex fare controlli sulla frontiera. Alle elezioni Ivan prende 20 voti, ma Vesa, l’ex sindaco che non si vede quasi mai durante la campagna elettorale, ne prende 26 e viene riconfermata. Nelle settimane seguenti i due candidati sconfitti decidono di guadagnare qualcosa dando un passaggio a un gruppo di profughi fino a Sofia, ma notizie successive metteranno Ivan in crisi, a ripensare alle sue scelte.
Il regista, che si era già fatto conoscere con “Rules of Single Life”, prova a mostrare il cercare di ragionare, l’andare casa per casa da parte di Ivan, il guardare faccia a faccia i concittadini e confrontarsi direttamente con loro. Un film sulla democrazia, su ciò che ne è rimasto, che coinvolge e mette in discussione lo spettatore, anche quello occidentale, e meriterebbe una circolazione italiana. Ne abbiamo parlato con il regista.
Quando è nata l’idea per il documentario?
L’idea è nata poco più di tre anni fa, quando i profughi hanno iniziato a transitare in quella zona. Ero frustrato da ciò che diceva la gente sulle ragioni di quei passaggi. La loro mancanza di empatia mi faceva arrabbiare, mentre intanto le persone morivano cercando una vita migliore. Ricordo bene i tempi della guerra nell’ex Jugoslavia e il dolore che causò. Ci dovremmo sentire tutti europei, invece vedo le reazioni nell’est Europa e mi fanno male.
Cercavo una storia per dare un segno di speranza e creare un’empatia, cercavo notizie positive. Un giorno ho visto in tv un servizio su un’anziana che aiutava i profughi che avevano appena superato il confine dando loro cibo e dolci. Sono andato là, a incontrarla e conoscerla. Attraverso amici di Facebook sono arrivato a una persona che mi ha poi presentato il postino Ivan e altre donne. La prima idea era fare un documentario su queste donne, però nei mesi seguenti ho trovato sempre più interessante il postino e ho scoperto la sua intenzione di candidarsi a sindaco.
A quel punto ha iniziato a filmare?
No, ho cominciato a filmare solo una settimana prima delle elezioni. Conoscere già bene le persone mi ha aiutato a scegliere e selezionare. In tutto ho effettuato soltanto 15 giorni di riprese. Preferisco passare il tempo con le persone senza camera, a parlare e conoscerli, per avere le idee chiare quando filmo.
Nel film si vedono il postino Ivan e il suo avversario socialista, ma non si vede mai la candidata Vesa, che sarà eletta sindaco.
L’ho filmata, ma Vesa non aveva molto da dire o un programma particolare. Era il sindaco uscente ed è stata rieletta, ma era poco interessante e non contribuiva a raccontare la storia. Ho cercato di costruire qualcosa intorno a lei, ma la gente si lamentava del suo operato.
Però ha vinto!
È stata eletta perché ha una famiglia molto numerosa e nei paesi funziona così.
I vecchi sembrano i più attenti ai migranti, i difensori della solidarietà e dell’accoglienza.
I vecchi credono ancora in alcuni valori morali e hanno vissuto anche la guerra o prima del comunismo, per questo sanno che anche la libertà ha un prezzo. La signora dice: “Lasciateli venire”, a proposito dei migranti. Sono partecipi, parlano, votano, si danno da fare. La democrazia è importante e richiede la consapevolezza su ciò che le decisioni comportano. Servono brave persone e buoni politici, che convincano le persone a fare qualcosa. Invece molti politici sono furbi, ma non sempre sono buone persone.
Anche in Bulgaria c’è disillusione verso la politica?
Quando il comunismo crollò, la gente pensò che la democrazia avrebbe portato buone condizioni di vita, diritti e possibilità. Con il tempo sono però rimasti delusi, le cose non hanno funzionato come si aspettavano. Così hanno una diversa concezione della democrazia. I giovani non hanno vissuto il comunismo e non conoscono il passato, per questo sono così diffusi i sentimenti pro-Russia e pro-Putin. È facile accusare i migranti e i rifugiati di distruggere l’economia europea. Tutti vogliono una vita migliore e hanno grandi speranze, ma è facile incappare in delusioni.
Pensa che il postino continuerà con la politica?
No, non credo che avrà un futuro in politica.
Il suo film ha cominciato da festival molto importanti.
Il villaggio è un microcosmo di ciò che accade nel mondo, per questo funziona molto nei festival. Ho fatto la prima all’Idfa di Amsterdam, poi Sundance e Trieste è stato il terzo. E purtroppo non sono potuto essere presente a Trieste perché in quei giorni ero al Sundance, un grande concorso, molto prestigioso, scelgono solo 12 documentari da tutto il mondo.
Dopo la proiezione si sono avvicinate molte persone, dal Messico, dagli Usa e da altri paesi perché la gente sente il problema. È una questione universale ora, non importa dove sei. Tutto il mondo è sotto questa onda di populismo dovuta alla crisi economica. È un’avventura appena iniziata, ma credo che per queste ragioni avrà una buona vita festivaliera. Spero di venire a Trieste e in Italia presto, magari con il prossimo film. Al Sundance prendono pochi documentari, se non ci andavo ora non so se mi selezioneranno mai più!
C’è anche chi vuole aiutare, ma come mostra nel film le buone intenzioni possono anche causare guai.
Sì, ci sono anche persone che vogliono aiutare, ma spesso le buone intenzioni non bastano o portano a cattive conseguenze. I problemi vanno affrontati a un livello più alto, un paesino di 40 abitanti o un semplice postino non possono farlo. Ci sono tanti rifugiati che arrivano ed è possibile che accadano sempre e non c’è modo di essere sicuri che le cose andranno bene.
Ci troviamo davanti una situazione complessa, bisogna aiutare, ma anche controllare. Tra i rifugiati, solo il 25% fuggono dalla guerra e gli altri per ragioni economiche. Dobbiamo tenere in considerazione tutto e c’è molto lavoro, non c’è un bene o male. A volte le buone intenzioni non bastano, però le buone intenzioni dei cittadini dovrebbero spingere quelle dei politici. Se uno ha bisogno, bisogna provvedere. Serve empatia per migliorare la vita di tutti.
E i suoi prossimi progetti?
Sto lavorando a un nuovo film, un po’ sugli stessi temi, ma è presto per parlarne. Sono interessato alle questioni politiche, ma non ai politici, bensì alle persone comuni e ai fatti quotidiani. Mi occupo di storie e problemi piccoli che possono diventare universali.
Sarà sempre una coproduzione tra Bulgaria e Finlandia?
Sono bulgaro, ma ho studiato e vissuto 15 anni in Finlandia e ora vivo metà tempo da una parte e metà dall’altra. Così è naturale fare coproduzioni.
Gli ultimi anni sono stati un periodo buono per il cinema bulgaro, sia documentari sia finzione, che è sempre più presente nei festival e vince premi.
In realtà parliamo di 2-3 documentari l’anno e altrettante fiction che riescono ad andare all’estero. È vero che c’è una nuova generazione che sta emergendo e cerca di fare cose. Non è molto, ma è qualcosa. Spero che potremo andare avanti a consolidarci e crescere.
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