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Bulgaria, quando lavorare non paga

Il caso della "Gorubso-Madan", miniera in cui i 730 lavoratori non sono stati pagati per mesi, è solo l’ultimo di una lunga serie legata al discusso businessman Valentin Zahariev. Il suo è un modello di capitalismo rapace, fatto di acquisizioni facili, promesse non mantenute e stipendi arretrati o mai pagati. Un modello possibile anche grazie a solide protezioni politiche

11/04/2012, Tanya Mangalakova - Sofia

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Lo scorso 24 marzo è terminato lo sciopero, durato tre settimane e mezzo, dei 730 minatori della “Gorubso-Madan”, che protestavano contro il mancato pagamento degli stipendi dal maggio dell’anno scorso.

Il premier Boyko Borisov ha visitato i minatori nella cittadina di Madan, sui monti Rodopi, e come per incanto, un’ora dopo la sua apparizione, i salari arretrati sono stati accreditati sui conti ormai prosciugati dei lavoratori.

La crisi nella miniera della “Gorubso” è stata quindi “risolta” personalmente dal premier, che ha contribuito affinché la concessione passasse al nuovo proprietario Nikolay Valkanov, uomo d’affari noto per essere stato vice-presidente del conglomerato Multigrup (simbolo del capitalismo selvaggio e criminale anni ’90) e per aver pagato negli anni scorsi un onorario di 1,5 milioni di lev (circa 750mila euro) ad Ahmed Dogan, leader del Movimento per i Diritti e le Libertà (DPS) il partito di riferimento della minoranza turca, in cambio di una discussa consulenza.

Valkanov dovrà sborsare 30 milioni di leva (circa 15 milioni di euro) per ripianare i debiti della compagnia, fino ad oggi proprietà di Valentin Zahariev altro oligarca spesso al centro della cronaca. Il nuovo proprietario ha promesso di acquistare tutti gli strumenti necessari a rendere sicuro il lavoro in miniera, e di sistemare le pendenze arretrate con l’Istituto di previdenza nazionale bulgaro.

Valentin Zahariev, capitalista bulgaro

Non è la prima volta che Valentin Zahariev arriva sulle prime pagine dei giornali bulgari. I sindacati lo hanno accusato ufficialmente di “strozzare” le attività economiche di cui si appropria, per ricavare lauti guadagni alle spalle dei lavoratori. Secondo le accuse, Zahariev agirebbe secondo uno schema consolidato, concentrandosi su grandi “kombinat” con molti lavoratori, estremamente importanti a livello locale. Il tutto, naturalmente, grazie a solidi appoggi politici.

Proprio Zahariev, nel 1999, acquistò per la cifra simbolica di un lev il mega-kombinat di Kremikovtzi, alle porte di Sofia, promettendo mari e monti, ma portando poi il dinosauro costruito in epoca socialista a un nuovo fallimento.

In un lungo articolo apparso sul settimanale Kapital, dedicato al businessman, si ricorda l’inizio della sua carriera, con i primi milioni fatti con la sua “Daru Metals” col commercio all’ingrosso di ferro vecchio insieme ad Atanas Tilev (in seguito autore di un fallimento bancario), da cui però si separa in seguito a divergenze. Nel 1999, durante il governo di centro-destra guidato da Ivan Kostov, la “Daru Metals” acquisisce il 71% di Kremikovtzi al prezzo di un lev, con la promessa di investimenti per 300 milioni di dollari e il pagamento dei debiti pregressi, che ammontavano a circa 400 milioni di leva (200 milioni di euro).

Qualche mese più tardi, Zahariev chiede una dilazione nei pagamenti, copre alcuni mutui, ma non provvede a pagare le grandi compagnie energetiche statali, titolari della maggior parte del credito nei confronti del kombinat. Nel 2005 Zahariev vende Kremikovtzi alla “Global Steel” della famiglia indiana Mittal, guadagnando 135 milioni di dollari. Quell’anno il businessman dichiara entrate per 30 milioni di leva (15 milioni di euro) e viene dichiarato “contribuente numero uno” per il 2005.

Nel periodo 2001-2004, la compagnia Kremikovtzi, attraverso una ditta controllata avrebbe effettuato transazioni finanziarie con due compagnie off-shore, a Cipro e nel Regno Unito, per l’acquisto di costose materie prime e la vendita di prodotti finiti a basso costo. Alla guida delle compagnie off-shore siederebbero uomini vicini alla “Intertrust Holding BG”, registrata proprio da Zahariev.

Lo stesso schema viene applicato ad ogni nuova impresa che il discusso uomo d’affari acquista, tutti gli acquisti e le vendite passano attraverso ditte da lui controllate, mentre la compagnia madre non vede un soldo. “Zahariev rimane finché riesce a spillare soldi, poi abbandona”, ha dichiarato Lyudmil Pavlov, presidente della federazione “Metalurgiya” della confederazione sindacale Podkrepa.

Secondo i minatori, la “Gorubso-Madan” è sull’orlo del fallimento a causa delle forniture estremamente costose garantite dalle ditte di Zahariev. Tutto viene acquistato a prezzi superiori a quelli di mercato, e la “Gorubso-Madan ” non ha nemmeno un proprio conto in banca.

Zahariev opera anche nei paesi limitrofi. Aveva acquistato la NewKo Llamks Steel in Kosovo, ma avendo mancato gli accordi che prevedevano 15 milioni di euro di investimenti, l’Agenzia per le privatizzazioni del Kosovo ha poi nazionalizzato la compagnia. In Serbia ha comprato la Lemind, ma anche qui le cose non sono andate per il verso giusto, visto che i 150 lavoratori scioperano ad ondate a causa del ritardo nei pagamenti. L’ultimo sciopero è durato ben 52 giorni, e si è chiuso nel marzo 2012.

Il turno di Kardzhali

La situazione appare delicata anche nel kombinat di Kardzhali (Bulgaria orientale), acquisito da Zahariev con il denaro ricevuto dalla vendita di Kremikovtzi. Anche qui scioperi e niente stipendi. La compagnia ha debiti per 320 milioni di leva (160 milioni di euro), e i lavoratori si sono rivolti alla giustizia. Totyu Mladenov, ministro per il Lavoro e le Politiche sociali ha incontrato i metalmeccanici, annunciando che Zahariev rischia fino a tre anni di reclusione per i mancati pagamenti. Il 27 marzo Boyko Borisov si è recato in visita presso i lavoratori di Kardzhali. Qui ha dichiarato che l’esecutivo cerca un investitore straniero per la compagnia.

Valentin Zahariev risultava nel 2009 nella classifica dei dieci bulgari più ricchi, con un patrimonio valutato intorno ai 126 milioni di leva (65 milioni di euro). Una ricchezza accumulata attraverso acquisti a prezzi simbolici e mancate promesse di investimenti. Fino ad oggi, la strategia di spoliazione è andata sempre a buon fine, anche grazie alle protezioni politiche, e sempre a danno dei lavoratori. La domanda, naturalmente, è se l’attuale premier avrà o meno la volontà politica di mettere fine a tutto questo.

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