Bulgaria. Pistole, botte e punti interrogativi
L’ottavo congresso del DPS, che in Bulgaria rappresenta le istanze della minoranza turca, è stato sconvolto dalla drammatica aggressione al suo leader, Ahmed Dogan. Il politico, figura discussa e divisiva, è rimasto illeso, ma ha poi dato le dimissioni. Un incidente che solleva dubbi e perplessità e che farà discutere a lungo
Per i media internazionali, una notizia davvero ghiotta: non succede tutti i giorni che le telecamere riprendano l’aggressione a mano armata di un politico di rilievo, seppure di un paese periferico e poco conosciuto come la Bulgaria. Se poi al fallito attentato segue il tentativo di linciaggio dell’assalitore, ridotto a calci e pugni ad una maschera di sangue, il passaggio televisivo (o negli spazi più visibili dei siti di notizie online) è assicurato.
L’interesse internazionale all’aggressione di ieri ad Ahmed Dogan, leader del Movimento per i Diritti e le Libertà (DPS), partito che rappresenta in buona parte la minoranza turca di Bulgaria, è destinato a svanire in fretta. A Sofia e dintorni, invece, se ne parlerà ancora molto, molto a lungo. E per motivi diversi.
Un incidente che solleva domande
Il primo è legato ai dubbi e alle domande sollevati dalla dinamica dell’incidente [a questo LINK il video]. Il tutto è avvenuto all’interno del Palazzo nazionale della cultura, nel centro della capitale bulgara, poco dopo l’inizio dell’ottavo congresso del partito. Dogan aveva iniziato da poco il suo discorso quando un giovane (poi identificato come Oktay Enimehmedov, 25 anni, studente bulgaro di etnia turca, con precedenti per possesso di stupefacenti, furto e teppismo) è salito indisturbato sul palco.
Qui ha estratto una pistola, provando più volte (ma senza successo) a fare fuoco su Dogan. Andato a terra insieme al leader del DPS, Enimehmedov è stato fermato e immobilizzato da una decina di delegati. Sorprendentemente, nessun agente interviene né prima né dopo l’attacco. Per alcuni interminabili minuti, l’assalitore viene picchiato selvaggiamente da una decina di presenti in sala, finché il suo volto è rigato da sangue copioso. Continua ad essere malmenato anche mentre viene trascinato via da due agenti, intervenuti con inspiegabile ritardo.
Ma come è possibile che un uomo politico di prima importanza sia lasciato senza protezione? Nelle ore successive all’attentato, polizia, agenti speciali impegnati nella protezione di Dogan e la ditta privata incaricata dal DPS di sorvegliare il congresso si rimbalzano la responsabilità del flop nella sicurezza. A quanto pare, e questo solleva molte perplessità, per la prima volta a un congresso del DPS non erano stati approntati metal detector all’ingresso della sala.
Le dimissioni del “Falco”
Qualche ora più tardi, lo stesso Dogan torna nella sala del congresso, per annunciare le proprie dimissioni da leader del DPS (una mossa che, in realtà, era nell’aria prima dell’inizio del congresso), partito che Dogan ha fondato nel 1990, e di cui è stato capo indiscusso per più di due decenni. L'(ex) leader del DPS ha però negato che vi fosse alcun nesso tra l’attentato appena subito e la decisione di lasciare le redini del movimento. Per la scena politica bulgara, un piccolo terremoto. Dogan è un personaggio estremamente discusso e divisivo, che nel bene e nel male ha segnato profondamente almeno tre decenni della vita pubblica nel paese.
Ex agente e collaboratore dei servizi segreti comunisti, a metà degli anni ’80, nel pieno del cosiddetto “processo di rinascita” il tentativo delle autorità comuniste di cambiare con la forza i nomi e l’identità della comunità turco-bulgara (poi sfociato nella grande cacciata nota come “grande escursione”), Dogan è tra i fondatori del clandestino Movimento nazionale turco per la libertà, creato per resistere alle politiche assimilatorie. Viene arrestato, condannato a dieci anni e poi graziato al crollo del Muro.
Deputato fin dal 1990, viene presto soprannominato “Sokol” (“il Falco”) per la sua abilità e scaltrezza nel muoversi nelle acque agitate della prima transizione. Il suo grande merito sta nell’aver dato voce e rappresentanza politica alla comunità turca, un merito indiscusso, ma segnato da molte ombre. Noto per la scarsa propensione a recarsi in parlamento (“ho cose più importanti da fare”, la sua risposta a chi lo critica), ha diradato a poco a poco le proprie comparse e dichiarazioni pubbliche, fino divenire una vera e propria “eminenza grigia”. Secondo alcuni osservatori, Dogan si occuperà ora soprattutto dell’aspetto “business” del partito: un intreccio poco trasparente fatto di affari e politica, di cui Dogan è divenuto uno dei simboli. Lui stesso è stato più volte indagato, ma mai condannato, in inchieste di corruzione.
Quest’anno ci sono le elezioni politiche e il dietrofront di Dogan, divenuto un padre-padrone sempre più ingombrante, apre nuove strade al DPS e al nuovo leader Lyufti Mestan, suo fedelissimo. Certo che però era difficile immaginare un’uscita di scena più drammatica.
Teorie della cospirazione
Nella serata di sabato, la polizia ha comunicato che la pistola di Enimehmedov era a gas, specificando che i tre proiettili ritrovati sul palco non erano in grado di uccidere, ma al massimo di ferire (due erano a salve, il terzo pieno di liquido urticante). Addosso al giovane sarebbero stati ritrovati anche due coltelli. Nella giornata di domenica, la procura ha reso noto che Enimehmedov verrà accusato di “teppismo” e "minacce di morte", e non di tentato omicidio. Questa mattina, il vice-capo procuratore di Sofia, Borislav Safarov, ha annunciato che sotto indagine andranno anche i "delegati picchiatori", che si sono accaniti su Enimehmendov anche dopo che l’uomo era stato bloccato a terra.
Dai rappresentanti principali del mondo politico bulgaro è arrivata solidarietà a Dogan e al DPS. Ma una solidarietà con riserva, per così dire. C’è però chi non ha esitato a definire l’attentato come “una messinscena”, costruita ad arte per garantire a Dogan un’uscita di scena “da eroe” e ricompattare l’elettorato deluso del DPS, mettendo con le spalle al muro chi, all’interno della comunità turca, cerca strade e soluzioni politiche alternative al monopolio imposto dal partito, come il neonato movimento fondato dall’ex delfino, e oggi nemico giurato, Kasim Dal.
Una “teoria della cospirazione” sottoscritta anche da alcuni commentatori e politici, come l’ex generale Atanas Atanasov (del partito di destra Democratici per una Forte Bulgaria), che ha definito l’aggressione “un colpo di teatro, dai registi ancora ignoti”. Versione abbracciata a piene mani nei forum delle testate online, dove una larga maggioranza dei commenti propende per definire l’aggressione sul palco come "l’ultimo trucco del ‘falco’”. Dogan, oltre a rappresentare per molti bulgari il simbolo un sistema di potere grigio e autoritario, è da sempre nemico giurato degli ambienti nazionalisti, che vedono nel DPS la “longa manus” dei “giannizzeri di Ankara” negli affari interni della Bulgaria.
Quali conseguenze?
In attesa dei risultati delle indagini, e di un’eventuale confessione da parte di Enimehmedov, resta da vedere quali saranno gli effetti dell’aggressione di ieri. Non solo sugli equilibri politici, ma anche inter-etnici. Negli ultimi vent’anni, segnati nella vicina (ex) Jugoslavia dalla guerra civile combattuta (anche) sul principio del “sangue e suolo”, il DPS di Dogan, ha garantito in Bulgaria un modello di coesistenza non perfetto, ma almeno funzionante, dotando allo stesso tempo la comunità turca di uno strumento politico di grande efficacia.
Il prezzo da pagare al "modello- Dogan" è stato alto: gestione padronale del partito, pochissima democrazia interna, collusione opaca tra affari e politica. Ora col suo passo indietro, potrebbero aprirsi nuovi interessanti orizzonti. Ma, viste le circostanze in cui il dietrofront è avvenuto, ci sono anche rischi da mettere in conto.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua