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Bulgaria, incertezza dopo le elezioni

Le elezioni di ieri delineano in Bulgaria uno scenario incerto: GERB partito dell’ex premier Boyko Borisov conserva la maggioranza relativa, ma è isolato, i socialisti vogliono un "governo di programma" che però si prospetta fragile. Nel frattempo, le forze emerse dalle proteste di piazza dei mesi scorsi restano fuori dal parlamento. L’analisi del nostro corrispondente

13/05/2013, Francesco Martino - Sofia

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Con lo spoglio dei voti ormai (quasi) terminato, la situazione politica che emerge in Bulgaria dai risultati delle elezioni anticipate di ieri appare come un puzzle inedito e complesso, destinato forse a non trovare soluzione.

GERB, una vittoria zoppa

Per la prima volta nella storia recente del paese un partito, il movimento Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria (GERB), formazione di centro-destra guidata dal carismatico Boyko Borisov, riesce a confermarsi maggioranza relativa dopo aver governato nel precedente mandato.

Il governo Borisov è caduto prima della scadenza naturale a causa delle più grandi proteste di piazza dell’ultimo decennio, provocate dall’esasperazione popolare nei confronti di povertà, disoccupazione e corruzione endemica. Se aggiungiamo il grave scandalo delle intercettazioni illegali, che durante la campagna elettorale ha coinvolto “il motore del partito”, l’ex ministro degli Interni Tzvetan Tzvetanov, il 30,7% ottenuto da GERB è un risultato sostanzialmente positivo.

Eppure Boyko Borisov ha poco da festeggiare. La vittoria elettorale è arrivata al prezzo di un quasi totale isolamento politico. Un isolamento accentuato dal fatto che, oltre a quello di GERB, nel prossimo parlamento di Sofia sederanno i rappresentanti di solo altri tre partiti, il partito socialista (arrivato secondo col 27%), il Movimento dei Diritti e Libertà, che rappresenta le istanze della minoranza turca (10%) e il partito ultra-nazionalista Ataka (7,3%). Tutte formazioni che, alla vigilia, hanno escluso in modo categorico la possibilità di allearsi con l’ex premier Borisov.

GERB ha già dichiarato la propria volontà di tornare al governo, e riceverà nelle prossime settimane il mandato per la creazione di un nuovo esecutivo. La possibilità di ripetere la strategia vincente dello scorso mandato, con un esecutivo di minoranza appoggiato da forze esterne, e qualche deputato indipendente, sembra però stavolta da escludere.

Il BSP chiede “un governo di programma”

Ecco allora che gli sconfitti dai numeri, il partito socialista (BSP), potrebbe diventare il pilastro di una nuova formula politica. Nella conferenza stampa di ieri sera (per la cronaca, Borisov è rimasto chiuso in un mutismo rivelatore) il leader del BSP Sergey Stanishev, dopo aver rivendicato il successo di aver messo fine “al regime di GERB” ha chiamato le altre forze politiche ad un’alleanza programmatica, per guidare la Bulgaria nei prossimi anni.

Primo destinatario dell’appello è il Movimento dei Diritti e Libertà (DPS), che ha già governato insieme ai socialisti nel quadriennio 2005-2009. Un’eventuale alleanza BSP-DPS godrebbe però di una maggioranza molto risicata in parlamento. Secondo alcuni analisti, Stanishev potrebbe tentare di coinvolgere anche Ataka: un’operazione che consoliderebbe la possibile maggioranza, ma che potrebbe avere risvolti negativi nei rapporti della Bulgaria con l’UE, visto il profilo estremista e politicamente poco digeribile del partito ultra-nazionalista.

Al momento, la strada del “governo di programma” guidato dai socialisti, che hanno già annunciato come candidato premier l’ex ministro delle Finanze Plamen Oresharski sembra l’unica con qualche probabilità di riuscita. In caso contrario, sarà inevitabile un nuovo ricorso anticipato alle urne.

La protesta non entra in parlamento

La forte frammentazione politica seguita alle proteste di piazza dello scorso febbraio ha fatto sì che molti partiti, sia tradizionali che alternativi, non siano riusciti a superare lo sbarramento del 4%. Tra le vittime illustri di queste elezioni ci sono la destra democratica, che non sarà rappresentata in parlamento per la prima volta dall’inizio della transizione, ma anche il partito di ispirazione liberale creato dall’ex commissario europeo alla difesa dei consumatori Meglena Kuneva, che ha rassegnato le dimissioni nel pomeriggio di oggi.

A fallire l’ingresso in parlamento anche le numerose sigle e organizzazioni politiche sorte proprio dalla piazza nei mesi scorsi. La prossima composizione del parlamento, che non vedrà rappresentate le istanze di rinnovo politico emerse in questi mesi dalla società bulgara, rischia quindi di essere esposto non soltanto alla fragilità delle alleanze interne al sistema politico, ma anche alla rabbia di chi considera l’attuale establishment politico come irrimediabilmente corrotto ed incapace di rispondere ai problemi reali del paese.

Un primo assaggio è arrivato già nella serata di ieri, quando alcune centinaia di manifestanti si sono radunati di fronte al Palazzo nazionale della Cultura, dove tradizionalmente i partiti bulgari si riuniscono per commentare i risultati elettorali, per chiedere a gran voce (e a lume di fiaccole) l’annullamento delle elezioni. Richiesta legata soprattutto alla scoperta, nella giornata di sabato, di 350mila schede illegali che, secondo la procura, avrebbero potuto essere utilizzate per manipolare l’esito del voto. A confermare una situazione di fiducia profondamente incrinata tra partiti ed elettorato, i dati dell’affluenza, che ieri si è fermata ad uno striminzito 53%.

Non è un paese per “vergini morali”

Quando le passioni politiche della campagna si saranno posate, il sistema politico bulgaro dovrà affrontare in tempi rapidi nodi di difficile soluzione. Entro un mese il presidente dovrà convocare la prima seduta del nuovo parlamento, ed affidare ai leader politici il compito di trovare una soluzione al rebus emerso dal voto.

A rendere la soluzione ancora più complessa, lo stato di crisi endemica nell’Unione europea. L’UE non è più l’ancora sicura che la Bulgaria aveva afferrato nel 2007 per assicurarsi stabilità interna ed internazionale e al tempo stesso un catalizzatore in grado di mettere all’angolo corruzione e criminalità organizzata e rendere possibile la modernizzazione dello stato.

Nel corso degli ultimi anni i momenti di incomprensione tra Sofia e le principali capitali europee si sono moltiplicati, basti pensare al mancato ingresso della Bulgaria nell’area Schengen, o alle forti polemiche sulle comunità rom bulgare presenti in Francia o Inghilterra. L’UE per la Bulgaria resta una strada senza alternative, ma l’Unione a perso in buona parte il ruolo di pilastro morale a cui appoggiarsi in momenti di difficoltà.

La Bulgaria si è ormai resa conto che, per cambiare le cose, deve fare innanzitutto affidamento sulla propria leadership politica. Paradossalmente, però, nel prossimo parlamento le forze messe sotto accusa da centinaia di migliaia di manifestanti per l’attuale difficile situazione socio-economica saranno ancora più dominanti.

“Sono rappresentate solo forze che hanno già governato in Bulgaria”, ha commentato l’attuale premier ad interim Marin Raykov. Che ha poi chiosato, “tra di loro non ci sono vergini morali”. Saranno proprio queste “vecchie facce” a gestire quello che si preannuncia come un periodo delicato e gravido di rischi.

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