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Bulgaria, divieto in fumo

In Bulgaria il divieto di fumo nei locali pubblici rimane una chimera, almeno fino al 2013. Dopo aver affossato la legge che lo prevedeva, il governo guidato da Boyko Borisov ha approvato nel 2010 una nuova normativa sul fumo dalle evidenti lacune, guidato da istinto populista e interessi di lobby

03/02/2011, Francesco Martino - Sofia

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Proibire il fumo in Bulgaria? Missione (quasi) impossibile. Negli scorsi anni sono cadute, ad una ad una, molte delle tradizionali roccaforti del fumo nell’Europa sud-orientale. Nel giugno 2009 era stata la Turchia ad imporre, con insperato successo, il divieto assoluto di fumo nei locali pubblici. Più recentemente, lo stesso passo è stato fatto dalla Grecia (settembre 2010), anche se ad Atene e dintorni molti fumatori sembrano inclini a non rispettare la norma.

La Bulgaria, invece, dopo un tentativo abortito di imporre il divieto totale nel 2009, sembra decisa a restare l’ultimo paradiso dei fumatori nell’Unione europea o, a seconda dei punti di vista, l’inferno di chi non vorrebbe respirare passivamente il fumo nei locali aperti al pubblico.

La polemica sul tabacco, in un paese da sempre ai primi posti in Europa per consumo di sigarette e numero di fumatori (secondo le ultime statistiche, quasi il 40% della popolazione bulgara) si è riacutizzata nelle ultime settimane.

Nuova norma, vecchi problemi

A metà novembre 2010, infatti, è entrata in vigore una nuova e farraginosa normativa sul fumo. Secondo la legge, i locali sotto i 50 metri quadri possono decidere se permettere o meno di fumare, mentre quelli più grandi devono approntare sale separate per non fumatori e fumatori, queste ultime attrezzate con sistemi di aerazione.

Il governo guidato dal primo ministro Boyko Borisov e dal suo partito GERB (Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria) ha già annunciato che le carte in tavola stanno nuovamente per cambiare, anche se però, come spesso succede a questo esecutivo, i segnali lanciati alla società sono ondivaghi e contrastanti.

Entro l’estate 2011, infatti, il fumo dovrebbe essere finalmente proibito, ma solo nei locali più piccoli. Il divieto assoluto di fumo nei locali pubblici, anche quelli più grandi, viene invece rinviato a data da destinarsi. “Succederà nel 2013. Forse a metà anno, forse alla fine. Vedremo”, ha dichiarato laconicamente ai giornalisti lo stesso Borisov.

L’annuncio ha subito riscaldato gli animi delle fazioni pro e contro fumo, ma non solo. L’annoso dibattito sul tabacco, vizio e passione viscerale di milioni di bulgari, è spesso una perfetta cartina tornasole su altri vizi del paese, stavolta sociali e politici.

Nel marzo 2009, ad esempio, era rimbalzata sui media per settimane la storia del licenziamento in tronco di Valeria Petrova, giovane esperta della direzione “Coordinazione europea” del ministero dello Sviluppo Regionale. La Petrova aveva “osato” far notare all’allora ministro (socialista) Asen Gagauzov che, fumando all’interno del ministero, entrava in palese violazione delle circolali da lui stesso firmate. Un modo coraggioso per mettere fine al proprio contratto di collaborazione.

Secondo il settimanale economico “Kapital”, la questione del fumo dimostra per l’ennesima volta il carattere populista del governo Borisov, incapace di imporre riforme non appena queste rischiano di diventare impopolari.

Oggi Borisov si dice convinto che “la Bulgaria dovrebbe seguire le orme di Europa, Giappone e America, andando verso il divieto totale di fumo”, ma allontana strategicamente il giorno in cui questo accadrà. La data del 2013 non sembra casuale. Si terranno allora le prossime elezioni politiche: nel caso, il peso politico del divieto ricadrebbe sul prossimo esecutivo.

Fino all’ultima sigaretta

Qualche mese dopo la vittoria elettorale, proprio il nuovo governo Borisov si era mosso per cancellare la decisione, presa tra accese polemiche dal precedente parlamento, di introdurre il divieto totale di fumo nei locali pubblici a partire dal giugno 2010.

In tempi di crisi, argomentavano i deputati di GERB, non possiamo permetterci di limitare il fumo nei locali pubblici. Il business ne verrebbe danneggiato e poi, una riforma su un tema così “scottante” non può essere imposta all’improvviso. C’era bisogno a loro avviso di qualche anno per far abituare i cittadini (e gli elettori) all’idea.

Sulla decisione sembravano pesare anche interessi diversi da quello di difendere il “diritto” di una sigaretta in libertà. Il portavoce più accanito dell’abrogazione del divieto è stato infatti il deputato Emil Dimitrov, che prima di entrare in politica nel partito di Borisov è stato presidente dell’Associazione dei produttori e rivenditori di tabacchi.

La nuova normativa “liberale” sul fumo è stata approvata a metà maggio 2010, anche se per aspettare i decreti attuativi si è arrivati appunto alla metà di novembre. Fino alla prossima, annunciata riforma, l’attuale normativa presenta problemi evidenti, tra cui la disparità di trattamento nei confronti di locali grandi e piccoli, che rende la situazione confusa e rischia di rendere difficili, se non impossibili, controlli efficaci. Ma non solo.

Visto che i locali più piccoli possono permettere le sigarette, e che al tempo stesso il fumo fa male anche se passivo, soprattutto ai giovani, si è arrivati alla decisione surreale di vietare l’ingresso ai minorenni nei locali dove si fuma. Tra le sigarette e i bambini, sono questi ultimi a rimanere fuori dalla porta…

Una questione di soldi?

Paradossalmente, tutti i sondaggi individuano in Bulgaria una consistente maggioranza di persone a favore del divieto di fumo nei locali e nei luoghi pubblici. I gruppi contrari a un provvedimento del genere, però, hanno forti interessi economici da difendere, anche se la loro battaglia, almeno sul medio-lungo termine sembra senza prospettive.

A puntare i piedi, insieme ai produttori di sigarette, sono soprattutto i proprietari di bar, ristoranti alberghi e locali. Nelle parole dei rappresentanti di queste categorie il divieto di fumo è il nemico assoluto, e sarebbe un’apocalisse economica.

Secondo una loro analisi, il divieto porterebbe al fallimento del 10% dei locali, e di conseguenza almeno 15mila persone resterebbero sulla strada, mentre il giro d’affari nella ristorazione perderebbe circa 550 milioni di leva (270 milioni di euro) su base annuale. Come se non bastasse, lo stato rischia di dire addio a 136 milioni di leva (170 milioni di euro) di entrate, tra IVA non realizzata, imposte sugli utili, e contributi non pagati.

I sostenitori del divieto, soprattutto organizzazioni della società civile, rivendicano invece il diritto individuale alla salute. Nessun partito politico però, almeno per il momento, si è affrettato a raccogliere la loro bandiera. Né qualcuno si è dato pena di spiegare all’opinione pubblica bulgara i danni economici provocati dal fumo passivo, e dalle spese sanitarie rese necessarie per curare le malattie che questo provoca.

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