Bosnia: tonnellate di verdura buttate nella Neretva
L’ingresso illegale di verdura dai paesi confinanti mette in ginocchio gli agricoltori locali. Luciano Centonze, dell’ONG italiana CEFA, illustra alcuni progetti di sostegno al settore.
Tonnellate di patate e di altre verdure, prodotte negli ultimi mesi lungo la Valle della Neretva e rimaste invendute, sono finite nelle acque del fiume. Il motivo è legato alla concorrenza sleale di prodotti che entrano illegalmente dai paesi confinanti (Montenegro, Serbia e Macedonia) e poi vengono immessi sul mercato a prezzi più bassi dei prodotti locali, senza che venga effettuato alcun controllo fiscale. Una situazione che ha obbligato gli agricoltori a vendere a prezzi stracciati la maggior parte dei propri prodotti, con le patate che sono state svendute a 5-10 centesimi di Euro al chilo e a 1,50 Euro i sacchi da venti chili (Pogled di Oslobodjenje, 31.08.02).
Nonostante siano passati quasi sette anni dalla fine della guerra, il settore industriale e agricolo della Bosnia Erzegovina fatica ancora a ripartire. La maggior parte delle industrie e della fabbriche sono state inattive per anni, tantissimi ettari di terreno agricolo sono andati bruciati o devastati. Questo forse spiega l’attenzione che Paddy Ashdown, Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina, sta rivolgendo al settore.
Risale infatti a pochi giorni fa una sua visita a Gnojnice, presso Mostar, al laboratorio agricolo avviato e sostenuto dall’organizzazione non governativa di Bologna CEFA (Comitato Europeo per la Formazione e Agricoltura), con il co-finanziamento del Ministero degli Affari Esteri del Governo Italiano.
"Il laboratorio è nato grazie ad un progetto finanziato dal MAE, conclusosi nel dicembre 2001" – ci racconta Luciano Centonze, responsabile desk Bosnia del CEFA – "con lo scopo iniziale di offrire agli agricoltori l’assistenza nell’analisi delle acque e del terreno agricolo".
Il progetto ha previsto quindi la formazione di tre tecnici locali e "le attrezzature fornite al laboratorio per le analisi fisico-chimiche e batteriologiche sono tutte all’avanguardia".
Tanto che oggi il laboratorio effettua anche il costante monitoraggio delle acque di un allevamento di trote e delle acque dei bagni austroungarici di Mostar, ricostruiti e riaperti al pubblico, oltre a collaborare con istituzioni pubbliche locali come L’Università e l’Istituto di Igiene della città.
"Il problema del mercato esiste" – continua il responsabile del CEFA – "e quindi, per dare continuità e sostenibilità al progetto, ci siamo anche indirizzati al sostegno dello sviluppo di colture biologiche", che rappresentando un prodotto di nicchia, per ora in Bosnia Erzegovina non ha concorrenti. La cooperativa AGROPLOD di Stolac, coinvolta in questo progetto, oggi produce e distribuisce i suoi prodotti – che possiedono anche la certificazione di qualità dell’AIAB (Associazione Italiana per l’agricoltura Biologica) – soprattutto a Sarajevo, dando da lavorare a profughi rientrati Bosgnacchi e Serbi, come anche a Croato-bosniaci.
Per il futuro il CEFA ha già pensato ad un "nuovo progetto triennale presentato assieme ad altre due ONG italiane – COSPE (Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti) e ARCS (ARCI Cultura e Sviluppo) – indirizzato allo sviluppo della produzione agricola a basso impatto ambientale", per proseguire quindi sulla strada dei prodotti biologici e sul controllo dell’uso dei pesticidi.
Nel frattempo aumenta il malcontento degli agricoltori nei confronti dello Stato da cui non si sentono tutelati, continua il contrabbando di prodotti agricoli e la loro vendita in nero, mentre gli agricoltori locali si ritrovano senza i necessari guadagni utili alla restituzione dei prestiti ottenuti per la ripresa dell’attività.
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