Tipologia: Intervista

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Bosnia: la politica della divisione e del sabotaggio

Il desiderio del Plenum di Sarajevo di un’articolazione di lungo periodo delle istanze di giustizia sociale, le strategie dell’establishment politico di screditarle e le opportunità nuove e inaspettate della democrazia diretta. Uno sguardo "da dentro" il Plenum di Sarajevo: intervista a Valentina Pellizzer

04/03/2014, Hrvoje Šimičević -

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(Articolo pubblicato originariamente da H-Alter il 24 febbraio 2014)

Venerdì 21 febbraio il Consiglio dei Deputati del Cantone di Sarajevo ha accettato le richieste dei cittadini articolate dal Plenum, e adesso sarà l’Assemblea parlamentare a decidere. Cosa ti aspetti?

 La tattica scelta è la stessa del 12 febbraio, quando ebbe luogo il primo Plenum. La presenza di centinaia di persone nel piccolo spazio delle assemblee del campus universitario sta mostrando i suoi effetti. I media parlano di richieste accettate. Ma dovrebbe essere sottolineato che si tratta di una tattica e di un modo per il governo di presentare se stesso come attento alle richieste dei cittadini continuando, nello stesso tempo a non fare niente. Da un lato, da parte delle persone al potere, c’è un’indicazione di "volontà ed apertura" nei confronti dei manifestanti, mentre la polizia e i media continuano a diffondere il panico su potenziali gruppi di dimostranti pronti all’uso della violenza. In questo senso, la pressione su chi partecipa a questo processo è enorme. Ma, dall’altro lato, c’è una crescita di consapevolezza di qualcosa di completamente nuovo, di un nuovo modo di comunicazione libero dal consueto linguaggio politico. In tutto questo, nonostante la continua criminalizzazione della protesta e dei manifestanti, sento il desiderio dei cittadini di articolare le loro richieste di giustizia sociale nel lungo periodo.

Quali sono le ragioni dietro l’ostruzionismo di cui parli?

La strategia è piuttosto chiara: dividere i manifestanti in piccoli gruppi in modo da rendere facile la loro rimozione dalla pubblica attenzione. I Plenum e le proteste si legittimano a vicenda, sono una spina costante nei fianchi del sistema perché incoraggiano le persone ad unirsi e pensare. Il sistema è stato scosso, e la sua unica risposta è diffondere paura ed intimidazione. A questo riguardo, la notizia del giorno è la denuncia di Human Rights Watch , che ha ufficialmente confermato che la polizia ha usato violenza in modo ingiustificato contro 19 cittadini bosniaci, tra cui donne e alcuni minori.

Quali questioni hanno avuto il più grande consenso tra i cittadini di Sarajevo e quali, invece, saranno abbandonate presto?

Tre richieste sono state approvate all’unanimità, mentre una, sulla costituzione di un "parlamento di esperti", è passata con il voto di maggioranza. Dopo la prima ondata di "moralizzazione" in seguito alla diffusione delle immagini degli edifici danneggiati, i cittadini presenti al Plenum e alle manifestazioni hanno riconosciuto le ragioni e le cause della violenza. La "decriminalizzazione" delle proteste e dei manifestanti, le responsabilità della polizia e del sistema che la sostiene, insieme alle altre due richieste – la revisione degli accordi di privatizzazione e la riduzione degli stipendi e dei benefici della classe politica – sono definitivamente le questioni che costituiscono le fondamenta di queste proteste. I cittadini non hanno condiviso le tesi che tutti i politici hanno propugnato fino ad ora e la solidarietà e la comprensione sono sentimenti chiave, non solo a Sarajevo ma in tutte le città in cui si tengono i Plenum. Il sistema è marcio e corrotto, e i cittadini hanno riconosciuto questa "cupola mafiosa" e non la tollereranno più a lungo.

In cosa consiste esattamente la creazione  di un "parlamento di esperti" e cosa implicherebbe la sua realizzazione nel caso in cui il Parlamento accogliesse la richiesta?

Si tratta di una delle questioni più discusse dal Plenum e richiede una maggiore elaborazione. I tentativi di implementazione da parte degli attuali politici implicherebbero la formazione di un proprio governo di esperti e la continuazione del loro "furto esperto". Al contrario, il Plenum non vuole vedere gli attuali politici a lavoro grazie ad un mandato tecnico, ma piuttosto vuole individuare persone competenti, indipendenti e preferibilmente senza alcun legame con nessuno dei partiti, la cui funzione sarebbe di proporre ed assicurare che il governo lavori all’implementazione del "programma di rilancio".

C’è poi la richiesta di una revisione delle privatizzazioni. Secondo la tua personale opinione, ci sarà l’opposizione dei politici che di fatto hanno permesso questo tipo di privatizzazioni?

Certamente ci sarà opposizione. Tutte le richieste che incoraggiano lo smascheramento del sistema politico-mafioso incontreranno resistenza. La pratica di iniziare le indagini è diffusa in Bosnia. Tuttavia, esse generalmente si concludono senza portare a niente, oppure con accuse formali che assicurano la continuazione del "business as usual". Un altro aspetto interessante è la questione delle "reazioni incrociate" che di fatto implicherebbe il riposizionamento di una nuova élite al posto della vecchia. 

Il Plenum ha avvertito che l’accettazione delle richieste non implica automaticamente la loro implementazione. Cosa può accadere se il Parlamento del Cantone di Sarajevo non dovesse accettare le richieste del Plenum?

Le richieste non possono che essere accolte. Il processo che si è messo in moto non può essere fermato. Se le domande dovessero essere rigettate, il messaggio sarebbe l’assoluta resistenza del sistema a qualsiasi cambiamento. Sarebbe comparabile all’indifferenza del sistema alle richieste formulate in tutta la Jugoslavia nel 1968. Se, all’epoca, il sistema si fosse aperto un po’ per volta, probabilmente sarebbe sopravvissuto più a lungo. Dal 7 febbraio i politici hanno espresso comprensione nei confronti dei manifestanti. Naturalmente ci aspettiamo costanti tentativi di sabotaggio e delegittimazione delle manifestazioni e dei manifestanti. In queste circostanze è praticamente impossibile prevedere cosa accadrà. Ci sono diversi scenari, ma la cosa più importante è fare il possibile per assicurare il funzionamento del Plenum. Il Plenum offre spazi di dialogo e decisione, mentre le proteste sono una forma di pressione pubblica. Sono anche uno spazio di politica e "guarigione", per canalizzare energia e rabbia attraverso la formulazione di richieste e di soluzioni.

Qual è l’attuale situazione a Sarajevo? Come vedono i residenti le proteste e i Plenum?

Io ho la sensazione di stare in una stanza con molti specchi distorti. Euforia, speranza, silenzio, paura, inerzia… c’è tutto. Una parte della popolazione partecipa alle proteste, mentre la restante parte le osserva da lontano come se fossero un inconveniente. Ogni giorno, dalle 200 alle 300 persone scendono in strada di fronte al palazzo presidenziale, con una disinformazione costante, che ha trattato i manifestanti come un impedimento al traffico.

Il Plenum è molto partecipato e dai 1000 ai 1200 cittadini vengono regolarmente al centro giovanile. Dal primo Plenum, dove ci fu il maggior ostruzionismo, le autorità hanno sviluppato un modo di "accettazione" delle richieste dei cittadini come è avvenuto a Tuzla. Ma Sarajevo non è Tuzla: l’ossatura di questa città non sono i lavoratori lasciati a casa dalla bancarotta delle loro aziende, ma gli impiegati dell’apparato amministrativo e delle sue agenzie, dipartimenti e ministeri a tutti i livelli: dai municipi, ai cantoni e alle entità fino al governo della Federazione. Questa macchina è il freno più grande, che osserva e borbotta dai margini. Ovviamente non tutte le persone all’interno di questo apparato pensano allo stesso modo. Ci sono anche quelli che guardano con favore ai Plenum come l’unica possibilità per il cambiamento. Tuttavia, questo gruppo di persone è un mistero. Decideranno di essere ostaggi delle burocrazie per cui lavorano? Capiranno che anche loro possono essere nelle strade a nei Plenum perché senza correre rischi anche personali nessuna "rivoluzione" è possibile?

Perché hai deciso di prendere parte alle proteste e di partecipare all’organizzazione del Plenum?

Ho deciso di partecipare osservando le proteste a Tuzla e la spirale di violenza nella mia città, guardando i politici accusarsi l’uno l’altro mentre contemporaneamente accusavano i cittadini, mentre ascoltavo Lagumdžija dire che i cittadini di Sarajevo sono peggio di Karadžić, o quando ho visto con i miei occhi la rabbia della polizia anti-sommossa e la volontà di spazzare via tutto per "eseguire gli ordini".

Ho deciso di partecipare per cambiare l’attuale stato di arroganza, paternalismo… Sono anche stata costretta dalle sensazioni che ho provato fuori dalla stazione di polizia, insieme a quei genitori che non sapevano dove fossero i propri figli e che avevano paura di chiedere, di avvicinarsi… Semplicemente mi sono sentita chiamata. Non potevo, non volevo, solo osservare questi eventi, criticarli da lontano. Sono consapevole del fatto che ogni persona che si oppone al sistema  è un "nemico" e sono consapevole della complessità e della fragilità del Plenum e della dinamica delle proteste. E’ per questo che mi sono unita ai manifestanti. Volevo dare il mio contributo, per quanto piccolo potesse essere. E’ iniziato tutto il 14 febbraio, quando questa storia ha iniziato ed essere scritta. Ed io mi sono ritrovata, insieme a molti cittadini di Sarajevo, ad alzare la mano e votare a favore di quelle quattro famose richieste. Sono orgogliosa di essere qui e di testimoniare la resistenza alle menzogne e alle manipolazioni.

Quanti cittadini ci sono attualmente al Plenum? Sono aumentati rispetto al primo Plenum? Come vedi l’esperienza della democrazia diretta? Quanto è efficiente il Plenum nel giungere ad una decisione collettiva?

Sin dall’inizio, il Plenum ha circa 1000 partecipanti, e le richieste ricevute sono state più di 2200. I gruppi di lavoro coinvolgono attivamente un minimo di 300 persone che lavorano volontariamente. Il Plenum è uno degli "spazi" più persistenti che io abbia mai avuto modo di osservare. La democrazia diretta è un’esperienza incredibile, diversa e difficile da immaginare. Ogni giorno imparo qualcosa su me stessa e sugli altri. Le proteste hanno posto un freno simbolico al "collettivismo etnico" e mostrato che il coraggio individuale basato sulla solidarietà personale e politica esiste. La domanda di giustizia sociale è ciò che unisce i manifestanti, dimostrando che la società della BiH può pensare e mostrare il lato della storia raccontato dai cittadini, senza le solite colorazioni etno-nazionaliste.

Le proteste hanno aperto il processo di lustrazione a tutti i livelli, non solo nel governo, ma anche nel settore privato e in quello non-governativo. Siamo tutti sotto esame ogni giorno, ogni decisione ed ogni errore è parte di una pratica politica collettiva. Ciò che è in corso è una formulazione di nuovi discorsi e la ricerca di un modello funzionale, trasparente ed aperto. 

Qual è il tuo commento rispetto ai tentativi di ridurre le proteste ed i Plenum a questioni etno-nazionali, e di sostenere che solo i bosgnacchi stanno protestando mentre croati e serbi non sono in alcun modo coinvolti nelle proteste?

Si dice che quando un regime è in pericolo, colpisce nei modi che meglio conosce. I romani lo hanno descritto al meglio con l’espressione "divide et impera". La realtà è che le attuali manifestazioni sono parte di un più lungo processo e ciclo di proteste. Già durante la Bebolucija i cittadini hanno mostrato di essere in grado di distinguere e articolare nonostante e oltre l’etno-nazionalismo. E’ normale che all’interno di un movimento di massa esistano differenti opinioni e credenze, incluse diverse forme di patriottismo. E’ importante, tuttavia, sottolineare il dialogo, la comprensione, l’accettazione reciproca, la differenza e la creazione di una consapevolezza collettiva del fatto che esiste una "bandiera" delle proteste e dei Plenum, che è quella della giustizia sociale. Negare le differenze è come negare la democrazia genuina dei Plenum la cui apertura può essere strumentalizzata, ma che resta la migliore strategia per creare un fronte di solidarietà senza nazionalismi o altri "ismi". E’ necessario comprendere che nessuno parla nel nome di qualcun altro e che ciascuno ha il diritto di parola ed il dovere di portarne avanti il messaggio.

Esiste la possibilità che le proteste si diffondano in Republika Srpska (RS), dove le élite socio-politiche hanno lavorato duramente, negli ultimi giorni, per dimostrare ai cittadini che l’obiettivo delle proteste è la distruzione della loro entità?

Come ho già detto, quello che sta accadendo è una lotta universale per la giustizia sociale, non un tentativo di colpo di stato. I tentativi di presentare gli eventi come uno sforzo coordinato per distruggere gli accordi nazionali sono falsi. Le persone non sono più interessate alla retorica degli interessi nazionali vitali. Le persone vogliono istituzioni che funzionino nell’interesse dei cittadini. Questa è una protesta contro l’egemonia dei partiti politici, che sono stati come sanguisughe negli ultimi venti anni, succhiando dalla fibra economica, culturale e sociale del paese. Le proteste vogliono restituire il messaggio che il bene pubblico è davvero un bene pubblico. Quello che la maggioranza non sa o non vede è che ci sono state e ci saranno proteste anche in RS. C’è una spirale di resistenza che si diffonde ogni giorno. Le proteste attuali nella Federazione sono idealmente connesse con gli eventi della Bebolucija, dove per la prima volta i cittadini bosniaci hanno smesso ciecamente di credere che l’appartenenza etnica e nazionale sia la chiave di ogni evento. LA RS è in crisi e anche lì i cittadini sono arrabbiati e affamati. Ma lì c’è un sistema diverso ed un diverso controllo del territorio. Più centralizzato: quelli che governano, lo fanno in modo più brutale ed efficace.

Un Plenum ha iniziato ad aggregarsi anche a Brčko, e le proteste hanno avuto luogo anche a Banja Luka e Prijedor, e persino il fatto che dopo le proteste da parte dei veterani di guerra e i soldati smobilitati, il governo si sia affrettato a fare promesse ed accordi al di là delle porte chiuse è il segno che persino in RS il conto alla rovescia è iniziato.

Sei in contatto con i manifestanti in altre città? C’è una comunicazione regolare con altri Plenum e ci sono strategie di azione comune?

Ci sono numerosi canali orizzontali di comunicazione e contatto. All’ultimo Plenum di Sarajevo hanno partecipato attivisti di Tuzla, e sono arrivate delegazioni da Konjic, Fojnica e Mostar. Le informazioni stanno fluendo, ma noi stiamo lavorando di più alla comunicazione "formale" con l’obiettivo di definire ed implementare le richieste comuni. Personalmente ritengo che i Plenum stiano formulando richieste che non riguardano soltanto cantoni specifici, ma che sono di interesse comune. Tutto questo è fatto con lo spirito di costruire una struttura migliore, e non per distruggere qualcosa. La domanda corretta da porsi non è se l’attuale sistema è necessario o no, ma come trasformarlo in un sistema funzionante. Venti anni di retorica sulla riforma della Costituzione ha condotto la società bosniaca all’attuale situazione.

Tu sei italiana, ma vivi a Sarajevo da quindici anni ed hai trascorso gli ultimi venti anni nei Balcani. Come vedi da questa posizione la complessità della società bosniaca e le condizioni sociali in questo paese?

Vengo dal sud Italia, da un piccolo paese della Calabria, dove la mafia, il ladrocinio e la corruzione sono sempre presenti. So cosa significano paura e silenzio, e quanto sia difficile dire qualcosa apertamente allontanandosi dall’"anonimato di sicurezza". In questo senso, non credo che la Bosnia sia così diversa, eccetto che per la particolare costruzione dell’etno-collettivismo, una sorta di "malattia" che soffoca ogni tentativo di cambiamento, o per lo meno così è stato fino ad ora. Per questo credo che una scintilla di democrazia quale è il Plenum possa soltanto provenire da posti che non hanno niente ma hanno tutto da inventare, costruendo un sistema a partire da zero.

Quanto sono simili le proteste bosniache rispetto a quelle che hanno avuto luogo a partire dal 2011 in molti paesi europei e dell’America Latina?

Siamo tutti uniti dalla condizione dell’ingiustizia. In tutti i paesi la democrazia diretta ha mostrato limiti, disfunzionalità e corruzione. I politici hanno tessuto il loro mondo e non permettono a nessuno di entrarci. Collaborano a vicenda, si imitano e si sostengono l’un l’altro. E’ sufficiente osservare a livello globale la macchina politico-economico-corporativa e diventa chiaro che le élite politiche perseguono soltanto i propri interessi personali, politici e di partito, mentre i cittadini sono lì soltanto per esprimere un voto pro-forma, per pagare le tasse e diventare carne da cannone quando osano ribellarsi. Anche se non mi piacciono le divisioni del tipo "noi" e "loro", penso che tutte queste proteste abbiano in comune il fatto che i cittadini si sentono sfruttati e i politici dichiarano di sostenere la democrazia oltre i confini, ma soffocandola in casa.

Che ruolo hanno giocato i social media in queste proteste, ed in generale nelle manifestazioni nel mondo negli ultimi anni?

Se ci fosse stato un blocco completo di Internet – Facebook e soprattutto Twitter – niente sarebbe accaduto. Il mondo ha cambiato la sua posizione rispetto agli eventi in Bosnia grazie agli attivisti che su Twitter hanno diffuso informazioni e dialogato con i giornalisti stranieri, hanno ispirato le persone in altre città, e che continuano a giocare un ruolo alternativo. Video, immagini, attitudini, sostegno… tutto questo è parte di una conversazione orizzontale, bi-direzionale e costruttiva tra cittadini e politici, a livello locale ed internazionale. Ogni Plenum, grazia alla sua pagina web, può fornire ai cittadini informazioni accurate, mentre i social network provvedono alla comunicazione informale; gli streaming video dei Plenum permettono a chi non può partecipare di seguire le discussioni e le azioni.

Esiste la possibilità che, come sostengono alcuni analisti, si possa raggiungere un punto di saturazione e le proteste termineranno?

Si tratta di un processo totalmente aperto, che richiede un’incredibile quantità di energia, tempo, disciplina, fiducia, e tutto questo viene costruito, ogni giorno. Ciò che è incoraggiante è la trasparenza del sistema dei Plenum, che non ha leader e dove ciascuno dà e contribuisce come meglio può.

Come giudichi le accuse secondo cui dietro alcuni Plenum e proteste in Bosnia ci siano certe élite e gruppi di interesse? Dichiarazioni simili si sentono nei media e da parte di alcune figure pubbliche…

Se consideriamo che a Sarajevo il Plenum è seguito da circa 1000 cittadini, è ovvio che oltre alle persone oneste, ci sono poliziotti in borghese, elementi infiltrati, provocatori e tutto quanto fa parte di un processo di massa. Ma la reazione delle élite al governo è stata una reazione disperata. Credo che all’inizio, non riuscivano a credere che non ci fosse nessuno dietro al Plenum, nella loro convinzione che le persone siano semplicemente pronte ad accettare un nuovo modello. Poi hanno tentato di bloccare il Plenum. Queste pressioni sono ancora presenti, e l’unico modo per contrastarle è fare in modo che sempre più persone si uniscano al lavoro del Plenum, mantenendolo sempre vivo attraverso suggerimenti, discussioni e voto.

Quanto la rivolta dei cittadini ha smascherato l’impossibilità fondamentale di funzionamento dell’attuale modello politico in Bosnia, e quanto questo modello è da accusare per la difficile situazione sociale in questo paese?

Il sistema non funziona e la sua disfunzionalità è usata strategicamente da tutte le parti. I blocchi etno-nazionalisti hanno paralizzato per anni la riforma sanitaria, portato avanti privatizzazioni disastrose, e distrutto il sistema di welfare. La novità di queste proteste è che la giustizia sociale è diventata qualcosa di concreto e reale, qualcosa per cui qualsiasi organismo di governo è chiamato a lavorare, indipendentemente dal livello di giurisdizione e di costituzione. Quando parliamo di un modello politico, dobbiamo capire che non stiamo parlando di una costituzione, di una entità o di un cantone, ma di una ruberia sistematica, nascosta dietro la cortina etnica. I cittadini hanno visto che il re è nudo, e questa volta hanno deciso di fare qualcosa, assumersi le responsabilità e costruire qualcosa che molti credevano impossibile. In questo senso, gli avvenimenti del 7 febbraio sono stati un punto di svolta. La violenza non risolve i problemi, ma il fuoco, il fumo, gli arresti e la brutalità hanno di fatto creato un vuoto riempito dal Plenum che si è trasformato in qualcosa di assolutamente inaspettato: un esercizio di democrazia diretta dove i cittadini ripensano l’intero sistema e lo fanno a proprio nome.

* Valentina Pellizzer è direttrice di OneWorld-SouthEast Europe , femminista e attivista per i diritti umani

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