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Bosnia, il caso Mehmedović

Il caso Mehmedović è il tema caldo di questa estate bosniaca. Vicepresidente dell’SDA, arrestato il 19 luglio scorso per crimini di guerra e poi rilasciato, ora accusa le forze di polizia della Bosnia Erzegovina di operare al di fuori della legge

07/08/2013, Rodolfo Toè - Sarajevo

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L’SDA contro la SIPA. In un rovesciamento di fronte copernicano, rispetto a quando mesi fa il presidente dell’SDA Sulejman Tihić aveva deciso di abbandonare il governo proprio per protestare contro il taglio dei fondi all’Agenzia investigativa e di sicurezza statale (State Investigation and Protection Agency), oggi il principale partito dei bosgnacchi (bosniaco musulmani) è ai ferri corti con le forze di polizia, giudicate troppo vicine agli interessi dei serbi bosniaci e colpevoli di agire nel più totale disprezzo della legge.

L’arresto di Semšudin Mehmedović

I fatti: la mattina del 19 luglio gli agenti della SIPA arrestano Semšudin Mehmedović, accusandolo di crimini di guerra. L’operazione avviene senza un regolare mandato da parte dell’ufficio del procuratore di Bosnia Erzegovina. Non appena al procuratore capo, Goran Salihović, viene notificato l’accaduto, egli dispone il rilascio immediato del sospettato, che quindi è libero di tornare alla sua vita normale senza che nei suoi confronti vengano messe in atto quelle misure che sarebbero di routine in caso di sospettati di crimini di guerra: una su tutte, la perquisizione dell’abitazione.

La notizia provoca un vespaio: da una parte, i serbi di Bosnia Erzegovina rinfacciano alla giustizia di essere, una volta di più, da una parte sola; dall’altra, l’SDA rimprovera alla polizia di agire nel disprezzo della legge e con fini esclusivamente politici.

Mehmedović criminale di guerra?

Semšudin Mehmedović, cinquantadue anni, è un parlamentare dell’SDA, partito che contribuì a fondare assieme al suo leader storico e primo presidente della Bosnia Erzegovina, Alija Izetbegović. Negli anni della guerra, occupava il ruolo di capo della polizia di Tešanj, località a sud di Doboj che, per una lunga fase del conflitto, era al centro di una sacca circondata da truppe serbe .

È dal 2005 che la SIPA raccoglie informazioni sulle responsabilità che Mehmedović avrebbe avuto nei crimini commessi ai danni di decine di civili serbi, che l’indagato avrebbe fatto imprigionare e picchiare tra l’autunno 1992 e la primavera 1993, come pure sul suo coinvolgimento nelle azioni delle formazioni di mujaheddin attive nell’area e macchiatesi di crimini quali la decapitazione di prigionieri serbi nella zona del monte Ozren. Sempre Mehmedović avrebbe infine fatto nascondere, nel 2002, una grande quantità di armi ed esplosivi nel villaggio di Kolaševići, vicino a Tešanj. Tutte queste informazioni sono contenute in un dossier al quale l’agenzia, secondo la testimonianza della procuratrice Vesna Ilić, starebbe lavorando da tempo.

Otto anni di indagini sarebbero stati vanificati in poche ore. La liberazione di Mehmedović ha scatenato una nuova ondata di indignazione che Banja Luka ha immediatamente riversato su Sarajevo: “E’ una prova ulteriore che in Bosnia Erzegovina non c’è nessun bisogno di avere un procuratore di stato”, ha ironizzato Milorad Dodik. “Anzi, tra un po’ non ci sarà proprio bisogno di avere neppure i tribunali”. Il sospetto dei serbi bosniaci è che Salihović abbia utilizzato il suo potere per rimettere in libertà un responsabile di crimini di guerra per motivi etnici.

La versione di Semšo

La situazione diviene molto più complessa, e oscura, nei giorni successivi. In un’intervista rilasciata la scorsa settimana al quotidiano Oslobodjenje , Mehmedović ha respinto ogni accusa prendendosela con le forze di polizia bosniache le quali, secondo le sue parole, sarebbero “dominate da elementi serbi”. “L’SDA non ha mai capito l’importanza di queste agenzie, che sono indipendenti anche dallo stesso ministero. È stato un grave errore”, ha sottolineato, sostenendo però che “se la principale occupazione di un’agenzia pubblica è costruire menzogne per screditare un avversario politico, allora di questa agenzia non c’è nessun bisogno e la si deve chiudere”.

Mehmedović descrive come si sono svolte le cose dal suo punto di vista il giorno dell’arresto: “La polizia mi ha prelevato senza comunicarmi nemmeno il motivo. Nessuno mi ha telefonato per chiarirmi la situazione in cui mi trovavo. Solo quando la SIPA mi ha consegnato alla procura di stato mi hanno comunicato la ragione per cui ero stato arrestato”.

Il vice dell’SDA ricusa con convinzione i sospetti che altri “hanno gettato su di me”. Si tratta “dello stesso tipo di propaganda göbbelsiana che continua dal 1996, che ha l’obiettivo di confondere sullo stesso piano aggressori e vittime. Si arriverà al punto in cui dovremo vergognarci di avere difeso la nostra patria. Mi accusano di aver trattato disumanamente dei prigionieri serbi tenendoli in detenzione presso celle orribili a tal punto che le usiamo regolarmente anche oggi come carceri”.

La lunga eredità dei crimini di guerra

Oltre al semplice calcolo politico e all’opposizione tra partiti serbi e bosgnacchi, tuttavia, ci sarebbe altro. Mehmedović è stato arrestato attorno alle otto del mattino del 19 luglio. Alle dieci di quello stesso giorno, egli avrebbe dovuto a sua volta presentarsi al procuratore di stato, per deporre la propria cruciale testimonianza in un altro caso di accusa per crimini di guerra, riguardante proprio il numero uno della SIPA, Goran Zubac. Durante la guerra questi avrebbe ucciso a sangue freddo un bosgnacco nel quartiere di Ilidža, controllato dai serbi, al solo scopo di “provare il corretto funzionamento di una pistola”. Era stato lo stesso Mehmedović, qualche mese fa, a denunciarlo.

L’arresto del 19 luglio sarebbe quindi un escamotage per impedire al parlamentare di testimoniare. L’accaduto finisce così per gettare pesanti sospetti sull’imparzialità dell’agenzia e delle forze di polizia bosniache. Oltre al caso di Zubac, c’è quello del suo predecessore, Sredoj Nović, che Carla Del Ponte, all’epoca procuratrice presso il TPI dell’Aja, accusava di proteggere i criminali di guerra.

Il direttore dell’operazione del 19 luglio scorso, Mario Kapetanović, è stato più volte accusato di “cedere” informazioni riservate sulle indagini per crimini di guerra “a clienti interessati”, dietro compenso. Il responsabile dell’unità che ha materialmente effettuato gli arresti di Mehmedović, è Jovica Miroslavljević.

L’SDA ha chiesto la formazione di una commissione d’indagine parlamentare che dovrà fare luce su possibili abusi e violazioni della legge da parte della SIPA.

Nel frattempo, tra accuse e controaccuse, ciò che è certo è che il processo di riconciliazione in Bosnia Erzegovina resta appannaggio di singole forze politiche che lo utilizzano come un grimaldello contro i propri avversari. Impedendo la fine del lungo dopoguerra bosniaco.

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