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Bosnia, giudici internazionali sotto esame

Numerose indagini per corruzione avviate da giudici internazionali in Bosnia Erzegovina non sono approdate a nulla. La debolezza delle ipotesi accusatorie e una scarsa conoscenza della legislazione locale tra le ragioni dei fallimenti. L’esperienza bosniaca è stata poi trasferita al Kosovo. Il nostro approfondimento

15/03/2011, Eldina Pleho - Sarajevo

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Uscendo dal palazzo  che ospita la Corte della Bosnia Erzegovina, libero, il presidente in carica dell’HDZ BiH (Unione democratica croata della Bosnia Erzegovina) si è rivolto così ai giornalisti: ”Mi spiace aver trascorso così tanto tempo qui dentro”, indicando l’edificio in cui lui, Dragan Čović, è stato processato già due volte per reati di abuso d’ufficio e abuso di potere.

Era l’aprile 2010. Čović, già ministro delle Finanze della Federazione di Bosnia Erzegovina e ex membro della presidenza del Paese, veniva processato insieme a Edhem Bičakčić, ex premier della Federazione, per abuso d’ufficio e appropriazione indebita di una somma pari a 7,8 milioni di KM (circa 4 milioni di euro).

I due erano accusati di aver utilizzato tale somma senza il consenso del governo per l’acquisto e la ristrutturazione di case e appartamenti di 64 funzionari delle istituzioni della Federazione.

L’accusa sosteneva che la somma era stata ripartita senza alcun criterio, e che il governo non si era mai pronunciato ufficialmente per giustificare una spesa di tale cifra.

Il giudice del Tribunale della BiH, Esad Fejzagić, ha emesso una sentenza di primo grado in cui afferma che l’accusa non ha portato prove sufficienti a carico degli imputati. Stando alla sentenza, il giudice Fejzagić ha rimproverato l’accusa per il fatto che, nell’arco di 4 anni, tempo di durata delle indagini, non ha confermato l’identità di 12 persone a cui sarebbe stata indirizzata parte della somma, nonostante fosse in possesso dei loro recapiti. Inoltre il giudice ha criticato l’accusa per non aver chiamato nessuno di questi testimoni a deporre durante il processo.

Processi istruiti in fretta

La sentenza di proscioglimento non ha stupito la giornalista Renata Radić, del Centro di giornalismo investigativo di Sarajevo . Già da qualche anno segue casi giudiziari simili, e il trend delle assoluzioni si dimostra costante. “Le accuse vengono costruite in fretta, senza molte prove, e cadono regolarmente in sede processuale. Questo ha recato più danni che altro alla lotta contro la corruzione, dato che ora le stesse persone, se sono state in carcere, fanno causa allo Stato per danni alla persona”, afferma la giornalista.

Negli ultimi sei anni numerosi politici di alto livello sono stati processati dalla Corte della Bosnia Erzegovina. Oggi sono tutti in libertà, e la maggior parte di loro continua ad essere molto attiva in politica. L’elemento comune a tutti questi casi è il fatto che le accuse sono state mosse dal pool internazionale di inquirenti del Dipartimento per il Crimine organizzato della Procura di Bosnia Erzegovina.

Dragan Čović (dal sito dell'HDZ BiH)

Dragan Čović (dal sito dell’HDZ BiH)

Dragan Čović è comparso per la prima volta davanti al Tribunale nel 2005. Al tempo era stato accusato insieme ai quattro fratelli Lijanović, proprietari di una delle più grandi aziende di produzione di carne della Bosnia Erzegovina, al giudice della Corte Costituzionale Mate Tadić e al professore di diritto all’Università di Sarajevo Zdravko Lučić, per abuso di potere e associazione a delinquere. L’accusa era rappresentata dal canadese Jonathan Ratel.

La Corte assolse in primo grado i fratelli Lijanović, Mate Tadić e Zdravko Lučić, mentre Čović fu condannato a cinque anni di carcere. In seguito al ricorso della difesa di Čović, però, la Corte venne ritenuta non competente. Non era infatti la Corte di Bosnia Erzegovina a dover decidere, ma quella cantonale (Sarajevo), che però ad oggi non ha ancora avviato un nuovo processo.

Lo stesso anno anche Hasan Čengić, vice ministro della Difesa, venne accusato di abuso di potere. Anche in questo caso l’accusa era rappresentata da un procuratore straniero, e la Corte assolse Čengić per i capi d’accusa a lui imputati.

Un altro alto esponente politico messo sotto accusa fu Asim Fazlić, vice direttore dell’Interpol in Bosnia Erzegovina. Anch’egli accusato di abuso di potere, oltre che di partecipazione in estorsione e mancata denuncia di reato. Assolto a sua volta. Il procuratore in questo caso era il canadese John McNair. Dopo il processo, Fazlić ha accusato lo Stato di Bosnia Erzegovina per il tempo che ha trascorso in carcere.

I procuratori internazionali hanno accusato anche Mirko Šarović, ex presidente della Republika Srpska (RS), già membro serbo della Presidenza di Bosnia Erzegovina e esponente di spicco del Partito democratico serbo (SDS). Šarović è stato accusato di crimine organizzato, abuso d’ufficio e concorso in reato. Anche nel suo caso vi è stata una sentenza di assoluzione. Al momento Šarović ha avviato una causa contro lo Stato di Bosnia Erzegovina per il tempo trascorso in carcere.

Un altro politico bosniaco di alto livello che è stato accusato da un pool di procuratori internazionali è Mladen Ivanić, ex ministro degli Affari Esteri della BiH. Accusato nel 2007 insieme ad altre 11 persone per abuso d’ufficio e associazione a delinquere nel caso della società pubblica Srpske Šume, anche lui è stato prosciolto.

L’ultimo caso è quello dello scorso anno contro Bičakčić e Čović, ex premier e ministro delle Finanze, assolti come si diceva per mancanza di prove.

Il ruolo dei giudici internazionali in Bosnia Erzegovina

I giudici internazionali assegnati alla Corte di Bosnia Erzegovina, Dipartimento per la lotta al crimine organizzato, hanno terminato il proprio mandato alla fine del 2009. Nel Paese restano i giudici che lavorano nel Dipartimento per i crimini di guerra, ma solo fino alla fine del 2011. La presenza di giudici e procuratori internazionali in Bosnia Erzegovina era stata decisa dall’Ufficio dell’Alto Rappresentante nel 2003, nel quadro della riforma del sistema giuridico nazionale, per rafforzare le capacità locali.

Zlatko Knežević è un avvocato di grande esperienza, ed è membro della Corte Suprema e del Consiglio della Magistratura della Bosnia Erzegovina, l’organismo che nomina ogni giudice e procuratore del Paese. Durante la sua carriera professionale ha avuto occasione di conoscere molti procuratori internazionali che hanno lavorato nei tribunali bosniaci. Ad esclusione di alcuni che hanno lavorato ai processi per crimini di guerra presso il Tribunale dell’Aja, gli altri non gli hanno dato l’impressione di conoscere la legislazione del Paese.

“La Bosnia Erzegovina ha una propria tradizione giuridica secolare, che i giudici internazionali non hanno saputo e voluto rispettare. Hanno sollevato accuse e polveroni senza avere le prove necessarie e senza pensare a cosa si può e non si può dimostrare davanti ad una Corte. Un giudice che rispetta il sistema giudiziario si presenta davanti alla Corte solo se è in possesso di prove rilevanti. In questi casi, invece, questo semplicemente non è avvenuto”, sostiene Knežević.

I giudici internazionali riconoscono che ci sono stati degli errori, ma sostengono il proprio operato.

Jonathan Ratel, il giudice canadese che ha rappresentato l’accusa nel caso contro Čović e Lijanović, ora lavora in Kosovo ed è a capo del Dipartimento per il Crimine organizzato della Procura locale. Nonostante gli esiti dei processi in Bosnia Erzegovina, Ratel afferma che l’impegno dei procuratori internazionali nelle società post-conflitto è positivo e che, come nel caso della Bosnia Erzegovina, si sarebbe dovuto andare avanti.

“I giudici internazionali avrebbero dovuto restare in Bosnia e aiutare i propri colleghi nei processi più delicati, mentre la comunità internazionale ha deciso di focalizzare la sua attenzione su altri paesi, come l’Iraq”, afferma Ratel.

Secondo Knežević, però, le argomentazioni di Ratel non hanno molto fondamento. Egli sostiene che proprio in casi come quelli della Bosnia e del Kosovo i procuratori locali hanno lavorato meglio rispetto a quelli stranieri.

“Ho conosciuto diversi avvocati kosovari, sono figli della buona vecchia scuola giuridica di questi luoghi; sono sicuro che farebbero il proprio lavoro meglio dei loro corrispettivi stranieri”, sostiene Knežević.

La cosa preoccupante nel caso della Bosnia Erzegovina e del Kosovo, due Paesi della regione balcanica in cui la corruzione è molto forte, è il fatto che la comunità internazionale, nell’inserire i pool stranieri nelle procure locali, non ha avuto una strategia chiara per il loro lavoro e alla fine, almeno nel caso della Bosnia, tutto questo non ha portato un contributo decisivo alla lotta contro la corruzione.

William C. Potter è un avvocato americano che ha lavorato tre anni all’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR), occupandosi del sistema di nomina dei giudici internazionali. Potter riconosce che nemmeno la stessa comunità internazionale era convinta di quanto stava facendo.

“La comunità internazionale ha evitato di sostenere questo processo fino in fondo, per il fatto che il programma costava (anche se personalmente ritengo che i costi fossero relativamente modesti) e per il fatto che molti ritenevano che questo intervento interferisse con la sovranità della Bosnia”, afferma Potter.

Il flagello della corruzione

Oggi, dopo l’esperienza dei procuratori internazionali in Bosnia Erzegovina, tutte le indagini dimostrano che il livello di corruzione non è diminuito, e che il tasso di percezione del fenomeno da parte dei cittadini è maggiore di anno in anno.

Secondo Transparency International (TI) , però, il lavoro dei pool internazionali in Bosnia ha portato dei vantaggi. Ivana Kolajilić, rappresentante di Transparency, ritiene che i procuratori internazionali non sono esposti a pressioni da parte dei politici locali, e che questa è una delle ragioni per cui TI non ha appoggiato la loro dipartita dalla Bosnia. Allo stesso tempo, gli esponenti di Transparency International sono consapevoli che i risultati non possono ritenersi del tutto soddisfacenti.

“Una delle ragioni dell’insuccesso può essere il fatto che è molto difficile lavorare in un Paese straniero di cui bisogna conoscere molto bene le leggi e il sistema giuridico. Probabilmente alcuni di loro sono rimasti intrappolati in questa complessità“, afferma Kolajilić.

In futuro si potrà valutare se l’operato dei procuratori internazionali sarà stato più efficace in Kosovo di quanto non lo sia stato in Bosnia. Ratel però, facendo un confronto tra il lavoro in questi due paesi, sostiene che in Bosnia la comunità internazionale si è dimostrata più unita nelle sue posizioni rispetto al Kosovo, dove la situazione è ancora più complessa.

Nel frattempo, entrambi i Paesi sono flagellati dalla corruzione. Nella classifica mondiale del 2010 sul tasso di corruzione, la Bosnia occupa il 91° posto su 178 paesi. Il Kosovo è 110°.

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