Bosnia Erzegovina, tra l’incudine e il martello: un’analisi dei programmi dei tre principali partiti etno-nazionali

Mettendo a confronto i programmi dei principali partiti bosniaco-erzegovesi è possibile non solo spiegare l’attuale paralisi del sistema politico della Bosnia Erzegovina, ma anche intuire a quali strumenti politici e mediatici potrebbero ricorrere i principali attori politici nel loro tentativo di cambiare l’attuale ordinamento della BiH

11/02/2022, Dražen Barbarić -

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I programmi politici – intesi come espressione delle intenzioni generali degli attori politici – hanno una duplice funzione: valoriale e pragmatica. Attraverso i loro programmi, gli attori politici espongono il quadro normativo e i principi valoriali che stanno alla base del loro operato, al contempo proponendo azioni concrete e coordinate volte al raggiungimento di determinati obiettivi politici e ideologici. Ogni programma politico ha un potenziale comunicativo: si tratta infatti di uno strumento che permette agli attori politici di far conoscere all’opinione pubblica la propria concezione della realtà politica e, allo stesso tempo, di presentare le proprie posizioni con cui poi gli altri attori politici dovranno misurarsi. I programmi politici offrono all’opinione pubblica una dose di certezza, semplificando la complessa realtà riducendola a idee facilmente comprensibili che gli attori politici si prefiggono di perseguire. Non c’è da stupirsi quindi se i programmi dei principali partiti politici di regola suscitano grande scalpore mediatico e attirano l’attenzione dell’opinione pubblica. Sulla questione dei programmi politici si versano fiumi d’inchiostro, se ne parla ampiamente nelle trasmissioni televisive, ricorrendo a vari strumenti interpretativi per analizzare, esaltare o screditare le idee in essi esposte.

Mettendo a confronto i programmi dei principali partiti bosniaco-erzegovesi – Partito di azione democratica (SDA), Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD) e Unione democratica croata della BiH (HDZ BiH) – è possibile non solo spiegare l’attuale paralisi del sistema politico della Bosnia Erzegovina, ma anche intuire a quali strumenti politici e mediatici potrebbero ricorrere i principali attori politici nel loro tentativo di cambiare l’attuale ordinamento della BiH.

Il principale obiettivo dichiarato dei tre partiti di cui sopra – sottolineato nei loro programmi – è quello di portare avanti il percorso di integrazione europea della Bosnia Erzegovina. L’SDA e l’HDZ citano tra i loro obiettivi anche l’ingresso della BiH nell’Alleanza atlantica, mentre l’SNSD si oppone fortemente all’adesione del paese alla Nato ritenendola potenzialmente dannosa per la Republika Srpska. Se tralasciamo la tendenza, ormai ridotta a pura formalità, a invocare alcuni valori – quali diversità culturale, pluralismo, ordinamento democratico, sensibilità sociale – , l’integrazione europea rimane l’unico punto che accomuna i programmi dei tre principali partiti bosniaco-erzegovesi.

Da un’analisi comparata di questi programmi emerge in modo inequivocabile che la scena politica bosniaco-erzegovese è dominata da tre forze intransigenti, estranee ad ogni compromesso.

La prima forza si riflette nella tendenza, centrifuga e separatista, che caratterizza il programma dell’SNSD, i cui esponenti considerano la Republika Srpska come un’entità statale, cercando di indire un referendum popolare che confermi l’idea dell’esistenza di un’identità intrinsecamente autonoma della Republika Srpska, per poi eventualmente dare il via ad un processo di ridefinizione dell’unione tra la RS e la Federazione della BiH verso la creazione di uno stato confederale.

In una dichiarazione programmatica pubblicata nel 2015, l’SNSD aveva proposto un’idea radicale, quella appunto di indire un referendum sull’indipendenza della Republika Srpska, al contempo invitando la Federazione BiH ad accettare “una separazione pacifica e un riconoscimento reciproco” [1] tra le due entità. L’intero processo, così come concepito dall’SNSD, avrebbe dovuto portare alla creazione di una nuova unione statale fondata su un modello confederale dell’organizzazione amministrativa e territoriale. Inizialmente era previsto che tale processo venisse concluso entro il 2017, quando l’Assemblea della Republika Srpska si sarebbe dovuta esprimere su eventuali violazioni della Costituzione di Dayton, per poi decidere se indire o meno un referendum [sull’indipendenza della RS]. Tuttavia, nella dichiarazione in questione non viene citata alcuna norma di legge in cui potrebbe trovare fondamento un’eventuale decisione di indire un referendum, né tanto meno vengono elencati i criteri di valutazione di eventuali violazioni dell’ordinamento di Dayton. Pertanto la tendenza separatista messa in atto dall’SNSD rimane ridotta ad una retorica populista e al tentativo di preparare il terreno per un negoziato nel corso del quale l’SNSD potrebbe assumere una posizione più favorevole ad una soluzione molto meno radicale rispetto a quella proposta nella dichiarazione di cui sopra.

La tendenza separatista dell’SNSD nega anche l’importanza della comunità internazionale che sicuramente non permetterebbe che la Bosnia Erzegovina venisse dissolta, essendo consapevole che tale scenario aprirebbe il vaso di Pandora innescando processi simili nell’intera regione, e oltre, processi che nessuno sarebbe in grado di tenere sotto controllo. Così facendo, l’SNSD nega anche la realtà politica del momento in cui è nata la Bosnia Erzegovina, e il suo programma funge da strumento ideologico per “compattare” la Republika Srpska, ma anche da strumento pragmatico utilizzato nei negoziati con i partiti della Federazione BiH allo scopo di assicurare ai rappresentanti politici e alle istituzioni della RS una posizione di vantaggio rispetto al governo centrale. Inoltre, l’SNSD pone un forte accento sull’importanza dell’Accordo di pace di Dayton e sulla Costituzione della BiH in esso contenuta, considerati come fondamenta dell’attuale ordinamento costituzionale della BiH e della RS, al contempo però ignorando quasi completamente il concetto di popoli costituenti.

D’altra parte, la forza centripeta, contrapposta a quella dell’SNSD, si basa sul concetto di unitarismo esposto nella Dichiarazione programmatica del Partito di azione democratica (SDA) del 2019. Secondo l’SDA, la Bosnia Erzegovina dovrebbe diventare una repubblica con tre livelli di governo (centrale, regionale e locale) e con Sarajevo come capitale politica, amministrativa, economica e culturale del paese. Quindi, l’obiettivo dichiarato dell’SDA è quello di creare la Repubblica della Bosnia Erzegovina in cui i cittadini siano titolari del potere sovrano, organizzata secondo un modello di decentramento che non sia basato sul concetto di comunità etno-nazionali, mirando invece alla creazione di regioni multietniche. Tale modello di decentramento, secondo l’SDA, dovrebbe essere applicato in entrambe le entità che attualmente compongono la BiH, un’idea che quindi mette in discussione l’attuale status e ordinamento della Republika Srpska. Quindi, l’SDA si oppone a qualsiasi riorganizzazione territoriale che riguardi solo la Federazione BiH.

Nella Dichiarazione programmatica dell’SDA l’Accordo di Dayton viene citato in primo luogo come un accordo che ha posto fine alla guerra in Bosnia, e poi nel contesto degli obblighi che ha comportato per la Serbia e per la Croazia, e di altre questioni, come il ritorno di profughi e sfollati e lo statuto della città di Mostar, senza nemmeno menzionare la Costituzione della BiH contenuta nell’Accordo. Il concetto di popoli costituenti viene citato solo nel contesto della necessità di raggiungere l’uguaglianza tra i membri dei popoli costituenti e tra tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina, senza fornire ulteriori chiarimenti sull’argomento.

Entrambe le posizioni, sia quella dell’SNSD sia quella dell’SDA, sono stato centriche. L’idea proposta dall’SDA, ossia la creazione di una repubblica unitaria che includa varie identità culturali e religiose, è basata sull’esaltazione della “plurisecolare” statualità bosniaca, resuscitata durante il periodo del Consiglio nazionale antifascista per la liberazione popolare della Bosnia Erzegovina (ZAVNOBIH), per poi essere definitivamente riconfermata con gli Accordi di Dayton.

L’SNSD, dal canto suo, è interessato esclusivamente all’ordinamento istituzionale della Republika Srpska, invocando solo diritti e responsabilità politiche legate alla RS. Quindi, l’operato istituzionale dell’SNSD, così come la sua immaginazione, non va oltre i confini della Republika Srpska, basandosi sull’idea di un’entità particolaristica, mentre l’SDA propone un’idea astratta di uno stato unitario.

La differenza più evidente tra la dichiarazione programmatica dell’SNSD e quella dell’SDA riguarda la concezione dell’identità. Se da un lato l’SNSD non ritiene necessario mettere particolarmente in evidenza il radicamento e il predominio dell’identità nazionale serba nel territorio della Republika Srpska, dall’altro lato insiste sullo sviluppo della RS e sulla sua modernizzazione, anche attraverso l’adesione all’Unione europea. Per quanto riguarda le relazioni con la Federazione BiH, l’SNSD ha assunto un atteggiamento ostile, ponendo l’accento sui difficili rapporti tra i principali gruppi ento-nazionali, difficoltà che, secondo l’SNSD, sarebbero ormai insuperabili e danneggerebbero innanzitutto i serbi.

L’SDA invece fa il doppio gioco sulla questione dell’identità: non perde occasione di sottolineare l’importanza della diversità culturale, considerandola una risorsa, prestando particolare attenzione all’affermazione e alla difesa dell’identità bosgnacca; al contempo, però, continua ad insistere su una politica identitaria imperniata sull’affermazione dell’identità bosniaca – intesa come identità comune di tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina – pur mantenendo le specificità etniche. [2] L’SDA pone l’affermazione e la difesa dell’identità bosgnacca come conditio sine qua non per lo sviluppo di un’identità sovraetnica e patriottica.

Quindi, l’obiettivo dell’SDA è quello di preservare la tradizione, la cultura e l’identità dei bosgnacchi all’interno di un più ampio processo di affermazione dell’identità bosniaca quale identità comune di tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina. Le specificità etniche verrebbero mantenute solo nell’ambito culturale, senza incidere sulla sfera politica, dove, secondo l’SDA, dovrebbe prevalere l’identità comune bosniaca. Tale strategia potrebbe però rivelarsi una lama a doppio taglio, perché se da un lato è vero che, respingendo il concetto di popoli costituenti e le identità nazionali ad essi legate, si apre la possibilità di equiparare l’identità nazionale ad un’identità bosniaca (ed erzegovese) sovraetnica, è altrettanto vero che, se l’SDA dovesse farsi promotore di tale identità comune, conquisterebbe sì un dominio assoluto sul piano politico e sociale, ma al contempo metterebbe in discussione l’identità nazionale bosgnacca. Per evitare di cadere in questa trappola identitaria, gli esponenti dell’SDA insistono sul concetto della cosiddetta etnia titolare: l’identità bosgnacca, pur mantenendo le sue specificità culturali, religiose e politiche, diventerebbe fonte generatrice di un’identità nazionale comune, ossia dell’identità della nazione bosniaco-erzegovese (bosniaci ed erzegovesi). Tale identità troverebbe la sua perfetta realizzazione in uno stato territorialmente riorganizzato così da essere suddiviso in regioni abitate da diverse etnie, senza che nessuna etnia mai prevalga sulle altre. Il problema però è che gli altri due popoli costituenti, ossia i croati e i serbi, non hanno alcuna intenzione di accettare l’idea di una nuova identità nazionale e una riorganizzazione territoriale come quella proposta dall’SDA.

Le posizioni politiche della leadership croato-bosniaca si trovano tra l’incudine dell’unitarsimo pseudo-laico dell’SDA e il martello del separatismo dell’SNSD. I programmi dell’Unione democratica croata della BiH (HDZ BiH) e dell’Assemblea popolare croata della BiH (HNS BiH) propongono un modello federale come una via di mezzo tra forze politiche centripete e centrifughe, affermando che la Bosnia Erzegovina può sopravvivere solo come un’unione di popoli costituenti eguali tra loro, garantendo pari diritti a tutti i cittadini, compresi i membri delle minoranze nazionali. Si sottolinea chiaramente il principio di costitutività come principio fondamentale dello stato bosniaco-erzegovese che dovrebbe garantire l’uguaglianza politica dei tre popoli costituenti. Quindi, riconoscendo la diversità anche a livello politico, e non solo a quello religioso e culturale, si cerca di far valere i principi legati al potere di rappresentanza che la Costituzione conferisce ad alcune istituzioni e ai titolari di alcune cariche pubbliche. I partiti croato-bosniaci non nascondono che il loro scopo ultimo è quello di garantire la sopravvivenza e l’uguaglianza dei croati in Bosnia Erzegovina, dicendosi però convinti che, difendendo i principi di cui sopra il godimento di uguali diritti possa essere garantito a tutti i cittadini della BiH, e non solo ai croati, contribuendo così alla stabilità, all’integrità territoriale e alla funzionalità dell’intero paese.

L’obiettivo dei principali partiti dei croato-bosniaci non è quello di mantenere lo status quo o di rafforzare i meccanismi consociativi in modo da aumentare la possibilità di fare ostruzionismo e di bloccare le istituzioni, bensì quello di porre fine alla tendenza ad abusare della legge elettorale, ossia ad aggirare la volontà dei popoli costituenti espressa alle urne.

In pratica, ciò significa che le questioni legate al complesso ordinamento e al malfunzionamento delle istituzioni della Bosnia Erzegovina non possono più essere affrontate appoggiandosi esclusivamente agli attori internazionali, bensì impegnandosi a trovare una soluzione di compromesso che porti alla creazione di un sistema politico stabile e sostenibile. La Bosnia Erzegovina, per via del suo ordinamento costituzionale e della sua complessa storia, può sopravvivere solo come uno stato decentrato in cui tutti i livelli di governo siano coordinati e complementari tra loro, così da evitare la sovrapposizione delle competenze e la diffusione della responsabilità.

Occorre infine sottolineare che la visione politica della Bosnia Erzegovina, sia nella sua dimensione pratica che valoriale, proposta nei programmi dei principali partiti croato-bosniaci, si richiama alla tradizione europea e ai vari modelli di stato multinazionale dimostratisi funzionali. L’idea di uno stato bosniaco-erzegovese funzionale ed egualitario, proposta nella Dichiarazione dell’HNS, presuppone il mantenimento del sistema di Dayton, che però andrebbe modernizzato adottando alcuni principi dell’UE, compresi “i principi di federalismo, decentramento, sussidiarietà e legittima rappresentanza politica, come sottolineato nelle risoluzioni del Parlamento europeo del 2014 e del 2017” [3]. Solo quando la Bosnia Erzegovina otterrà ufficialmente lo status di paese candidato all’adesione all’UE sapremo con maggiore chiarezza se l’insistenza su un federalismo equilibrato potrà essere (l’unica) strada giusta verso uno stato bosniaco-erzegovese sostenibile e funzionale.

[1] La Dichiarazione “Republika Srpska – slobodna i samostalna, budućnost i odgovornost” [La Republika Srpska – libera e indipendente, il futuro e la responsabilità], Unione dei socialdemocratici indipendenti, Istočno Sarajevo, 25 aprile 2015, p. 6.

[2] La Dichiarazione programmatica del Settimo congresso del Partito di azione democratica, Sarajevo, 14 settembre 2019, p. 8.

[3] La Dichiarazione del Ottavo congresso dell’Assemblea popolare croata della BiH, Mostar, 26 gennaio 2019.

 

Dražen Barbarić è ricercatore presso la Facoltà di Scienze umanistiche e sociali dell’Università di Mostar. Attualmente è direttore del Dipartimento di Scienze politiche e guida un team di esperti dell’Istituto per la ricerca sociale e politica di Mostar (IDPI). I suoi interessi di ricerca riguardano la teoria politica, la geopolitica, le teorie della nazione e il nazionalismo, l’uso politico della storia e la cultura della memoria.

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